Eran le sei e mezzo di sera del 26 settembre, quando il tuonar dei cannoni e lo squillar di trombe di un’allegra marcia annunciarono che le L.L. Reali Maestà, accompagnate dalle L.L. Altezze il Principe Johann Georg di Sassonia e la signora Principessa sua Madre, alla testa di un lungo corteo di nobili uomini e di nobili dame di rutto il Regno, stavano scendendo giù dal Castello verso il giardino, per assistere al balletto a cui si doveva ora dare principio. Una serie di fiaccole a bengala gettava una luce rossa d'incendio contro i rossi muri della facciata sul giardino, e anche le piante di tasso e di bosso sembravano accendersi in un rossastro splendore di bronzo, e tutte le guance dei presenti ne restavan tinte in un color brunito, che dava un'impressione fisica di forza e di vigore e di salute. Ed ora, ecco: le guardie del corpo, in abito rosso scarlatto, si dispongono ai lati in doppia fila e reggono in alto nell'aria oscura, grandi candelabri inghirlandati di fiori e grandi bracieri ardenti e lampioncini multicolori, e ogni tenebra si dissipa a terra e, su, fra le fronde ingiallenti degli alberi, e lentamente il corico maestoso avanza in mezzo a un'abbagliante via di luce. (Tratto da “Maria Grubbe” – 1876 – di Jens Peter Jacobsen).
“Perché oggi l’atomica è di nuovo possibile”, testo di Barbara Spinelli pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, giovedì 26 di settembre 2024: (…). Le guerre del 900 sono ricordate, non senza timori, ma stranamente c’è una guerra che non sembra suscitare autentica e durevole paura nei politici: il conflitto nucleare, scatenato magari dall’uso russo di atomiche tattiche nel teatro di guerra ucraino e seguito non improbabilmente da uno scontro nucleare tra Russia-Occidente. Per quanto riguarda le guerre dello Stato israeliano (Gaza, Libano, Cisgiordania, Siria, Yemen, in prospettiva Iran) quel che viene occultato, più che dimenticato, è il potenziale atomico di cui Israele dispone dagli anni 60: oggi tra 100 e 200 testate. C’è da domandarsi se questo grande lamento dei politici nasca da una memoria sepolta ad arte di quel che fu il bombardamento del Giappone nel 1945, prima a Hiroshima poi a Nagasaki, nonostante Tokyo fosse già pronta alla resa. A deciderlo fu il presidente Harry Truman. Poi durante la Guerra di Corea (1950-53) l’uso dell’atomica fu nuovamente contemplato dal generale Douglas MacArthur. Il comandante delle truppe nella zona di guerra supplicò Truman di colpire Corea del Nord e Cina con 34 bombe nucleari. Per fortuna fu licenziato. Già in Corea dunque l’atomica era banalizzata. In Europa si moltiplicavano i movimenti anti-nucleari ma l’esperienza di Hiroshima e Nagasaki finì nel dimenticatoio. Fu certamente un crimine contro l’umanità se non un genocidio, ma molti esperti e politici continuano a dire che la guerra con il suo strascico di morte sarebbe durata per anni, se non fosse stata provvidenzialmente interrotta da “Little Boy” e “Fat Man”, i due nomi scherzosi dati alle ogive. Negli anni successivi il governo giapponese preferì nascondere il fatto che Tokyo prima di agosto era disposta alla resa, e che le atomiche furono sganciate per mandare un segnale all’Unione Sovietica, in vista delle imminenti spartizioni d’Europa. Uno dei motivi per cui la banalizzazione e gli occultamenti sono stati possibili e accettati dai vincitori del ’45, secondo lo storico di diritto internazionale Richard Falk, è la “sbalorditiva coincidenza”, nel dopoguerra, di due eventi cruciali: la decisione dei vincitori di convocare il tribunale di Norimberga contro i crimini nazisti, l’8 agosto 1945, e i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki due giorni prima e uno dopo, il 6 e 9 agosto dello stesso anno. Non solo il Tribunale adottò una giustizia dei vincitori, mettendo appropriatamente sotto accusa la Germania di Hitler, ma sorvolando sui crimini di guerra degli alleati (distruzione totale e indiscriminata di Dresda e di molte città tedesche, lucidamente descritta da Winfried Sebald in “Storia naturale della distruzione”). Ancor più gravemente, il Tribunale fu muto sulle atomiche impiegate in Giappone. Il misfatto dei vincitori occidentali – responsabile Usa in testa – perdura nonostante le ripetute commemorazioni, e le due bombe non ricevono la denominazione che meritano: un delitto condannabile accanto a quelli nazisti. A tutt’oggi gli Stati Uniti non sono chiamati a rendere conto, e come minimo a scusarsi, di quello che fu un inequivocabile crimine contro l’umanità: né militarmente giustificato, né legale, né legittimo.
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