"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 11 settembre 2024

Piccolegrandistorie. 97 Malcom Pagani: «Raccontarci il passato senza cercare il presente a ogni costo».


Politica&Memorie”. 1“La ragazza in minigonna”, testo di Concita De Gregorio pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 7 di settembre 2024: Sono andata a casa di Oliviero Toscani, la sua casa nella campagna toscana, senza conoscerlo. Sono partita da Roma guidando una vecchissima Fiat Uno, distrutta, ma passava sempre le revisioni e poi era la mia macchina, ci avevo portato i figli a scuola vent'anni prima poteva portare me ovunque, pensavo, e difatti. Avevamo un appuntamento senza orario, una mail che diceva ''vieni giovedì". Stavo per assumere la direzione dell'Unità e volevo chiedergli di aiutarmi in una campagna di lancio del nuovo giornale, che sarebbe stato nuovo nella forma (lo avevamo già ridisegnato, insieme al grande Toni Cases e alla sua squadra) e, speravo, nella proposta editoriale. Non avevo molto da offrire, entravo in un'azienda piegata da una drammatica crisi economica, non c'era abbastanza denaro per il compenso che professionisti di quel calibro avrebbero chiesto - Cases, Toscani - ma invece: l'Unità era il giornale di Antonio Gramsci, "salvare l'Unità", riportare in ogni edicola l'Unità (erano gli anni dei Bunga Bunga, del Berlusconi ruggente) e raggiungere una generazione nuova era una specie di missione, per molti, una sfida professionale e una missione. Così è stato, in quei tre anni: dal 2008 al 2011 camminammo insieme a Oliviero e a moltissimi altri artisti, intellettuali, giornalisti di gran fama, scrittori, attori, scienziati. Arrivarono Margherita Hack con la rubrica Pan di Stelle, Nicola Piovani a parlare di Tempo, Paolo Villaggio con la sua parodia della Lega, Lorenzo Jovanotti con una rubrica che si chiamava Pesci rossi a New York, Beatrice Alemagna con il personaggio "Piccoletta", una bambina dai capelli rossi che ogni giorno compariva coi suoi commenti in una diversa pagina del giornale, Francesco Costa, Francesco Piccolo, Malcom Pagani, ogni riunione del mattino era entusiasmante. Oliviero irrompeva ogni tanto senza annunciarsi, poi restava a fare il giornale. Quando sono arrivata al casale, quel giorno, ho aspettato. Non c'era nessuno. Cani e cavalli in lontananza. Dopo una decina di minuti è arrivato lui, con degli stivali di gomma sopra i pantaloni, da un campo. Mi ha chiesto: questa è la tua macchina? Sei venuta da Roma con questa? Ho detto sì, perché? Va bene entra. Oliviero ha disegnato per l'Unità una campagna che faceva eco alla sua celebre "chi mi ama mi segua" ma con una minigonna, questa volta. Una ragazza in minigonna: perché il giornale usciva rinnovato in versione mini perché la minigonna di Mary Quant negli anni Sessanta era stata per le donne una rivoluzione, perché aveva coinciso coi miei anni di bambina e dunque raccontava una storia politica, personale e editoriale, quella foto. Ne abbiamo parlato tanto, infine lo scatto è stato uno. La modella è una delle figlie di Oliviero, Lola. (Ovviamente tutti i detrattori scrissero che quella ragazza fossi io, cosa obiettivamente impossibile anche solo a colpo d'occhio, e che Oliviero si fosse fatto pagare una somma esosa, e che la minigonna fosse un richiamo sessuale che avrebbe fatto rivoltare Gramsci nella tomba). Lui rideva con quella risata stupenda, rideva dicendo ma non lo sai, che non bisogna mai ascoltare quello che dicono di te? Come pensi che sarei arrivato fin qui se avessi ascoltato?

Politica&Memorie”. 2 “Quei ricordi ancora in me”, testo di Malcom Pagani pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 31 di agosto ultimo: In piena estate mi scrive un vecchio amico. È solo nel quartiere deserto e mi propone di prendere un caffè.  Lo raggiungo superando la pigrizia e la santa immobilità del Ferragosto. Il caffè non lo beviamo, ma arriviamo non so come a parlare del G8 di Genova. «Ti ricordi?» mi domanda. Avevo la metà dei miei anni, ma non ho dimenticato niente. All'epoca maneggiavo dignitosamente la telecamera e con la casualità involontaria che spesso mette di fronte alla storia chi la storia vorrebbe leggerla soltanto sui libri avevo finito per accettare di collaborare con un gruppo di registi che su quell'esperienza avrebbero girato un documentario. In città tirava una bruttissima aria: nervosi i manifestanti, nervosi i poliziotti e nervosissimi i cittadini costretti a subire un'invasione di cui per indole, ma non solo, avrebbero fatto volentieri a meno. Il giorno prima dell'omicidio di Carlo Giuliani si tenne una manifestazione senza incidenti. Il Genoa Social Forum e tutte le altre sigle confluite in Liguria per protestare contro i grandi del mondo organizzarono una marcia attraverso le vie presidiate dai blindati e dagli agenti in tenuta antisommossa, ma nonostante i canti e i sorrisi quella dimostrazione di apparente serenità mi appariva sinistra. Non c'era bisogno di essere esperti di piazze per intuire che non sarebbe finita bene. Poche ore ancora e avrei visto la guerra. Una guerra di cui i miracolati come me, nati a metà degli anni 70, avevano soltanto sentito parlare. Ne sapeva qualcosa in più Paolo Pietrangeli, regista di Porci con le ali e del Costanzo Show, cantante di lotta quando non esserlo somigliava a un'eresia, fumatore indefesso, uomo spiritoso e pragmatico. Ci conoscevamo da anni. Scegliersi reciprocamente alla vigilia della partenza da Roma fu consolante. In Liguria sarei stato il suo Sancho Panza e così andò. Con Paolo partimmo dallo Stadio Carlini e dopo circa mezz'ora, forse meno, ci trovammo in una specie cli inferno. Cariche, lacrimogeni, camionette incendiate, assalti indiscriminati, pestaggi, fumo, urla, bestemmie. Con la massicciata della stazione di Brignole in alto alla sua destra e una fila di palazzoni alla sua sinistra, Paolo fu rapido. Suonò a un campanello qualsiasi e spiegando che stava per fare la fine del topo ottenne un gesto di pietà. Ci aprirono il portone e salimmo in un appartamento abitato da sconosciuti. I padroni di casa, indignati, avevano la televisione accesa, ma nonostante il caldo, tenevano le finestre chiuse. I lacrimogeni rendevano l'aria irrespirabile. Prendemmo tempo e dopo aver ringraziato con la stessa riconoscenza che si deve a chi ti ha lanciato una boa in mare aperto tornammo nuovamente in mezzo alla strada. Camminammo per pochi minuti e ci trovammo in Piazza Alimonda. Giuliani era stato appena ucciso. Intorno al suo corpo, ancora non coperto da un telo, un gruppo di poliziotti in cerchio, occupava la scena. Qualcuno urlava. Qualcuno taceva. C'era l'incredulità che precede la rabbia. Iniziai a piangere. Non ero pronto a vedere la morte. Pietrangeli fu paterno. Capì che la battaglia stava per ricominciare e si preoccupò di metterci in sicurezza. Racconto tutte queste cose di getto al mio amico e mi accorgo che i ricordi sono ancora con me, nitidi. Mentre parlo mi passano davanti le immagini di quei giorni e sono frammenti perfettamente conservati, concatenazioni esatte di eventi cronologici, volti, voci e avvenimenti che sono rimasti lì, in fondo alla memoria. Posso ricordare gli elicotteri che volano sopra la Diaz, il sangue sui termosifoni, il viaggio allucinato tra le aule percorse nella notte in cui sembrava finalmente finito tutto e non si era concluso niente. È quasi sera e la tv trasmette la prima partita del campionato di serie A. Al mio amico il calcio piace forse più della sua stessa vita, ma questa volta non cerchiamo telecomandati. Siamo da un'altra parte. A raccontarci il passato senza cercare il presente a ogni costo.

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