“Degli Esclusi”. Ha scritto Filippo Ceccarelli in “Non cancellate Marco Cavallo”
pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 4 di novembre 2022: Sarà
un lungo inverno. A Muggia, comune dell’Istria italiana, hanno dato lo sfratto
alla grande statua di Marco Cavallo, emblema itinerante della battaglia che
grazie all’opera di Franco Basaglia ha portato a considerare la malattia
mentale con un altro sguardo, una diversa cura e una maggiore umanità. Dinanzi
all’iniziativa del sindaco leghista Paolo Polidori, che ha accampato questioni
di regolarità amministrativa riguardo agli spazi nel deposito comunale dove la
scultura era parcheggiata, non si può che alzare gli occhi al cielo con
sconsolata rassegnazione; già nel 2019, allora vicesindaco di Trieste, il
personaggio si era segnalato alle cronache per aver raccolto da terra coperte e
stracci entro cui si avvoltolava di notte qualche senzatetto e come gesto
dimostrativo li aveva buttati nell’immondizia. Nella stessa direzione va ora il
ripudio di Marco Cavallo rivelando però una scelta che non è solo di ordine, ma
si pone contro il progresso, l’umanità, la memoria e un po’ anche contro la
poesia. (…). Quasi mezzo secolo è passato e quasi tutti i protagonisti di
quell’avventura sono scomparsi. Per Marco Cavallo toccherà alla coscienza
civile trovare una nuova sede. Ma resta difficile ignorare che la nuova
stagione politica si annuncia rimuovendo, con selvaggi pretesti
logistico-burocratici, un pezzo di Storia fra i più degni di questa nazione,
come piace chiamarla ai nuovi potenti autonominatisi conservatori. Provino loro
adesso a spiegare che la goffa cultura della cancellazione sta solo a sinistra.
Quanto all’inverno che arriva, per fortuna – ma qualcuno potrebbe evocare
persino la Provvidenza - esiste sempre il cappotto. Di seguito, “Il posto del cavallo” di Elena
Stancanelli pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 5
di novembre ultimo: (…). Marco Cavallo (…) si sposta parecchio, tra festival, congressi,
carceri. Da quel giorno, il 25 febbraio 1973, è uscito dal manicomio di
Trieste, seguito da un corteo di pazienti, infermieri, medici, familiari dei
degenti... seicento persone che avevano partecipato al laboratorio teatrale
tenuto dallo scrittore Giuliano Scabbia (…). Molti dei quali non uscivano
dall'ospedale psichiatrico di San Paolo da anni, da quando erano stati
rinchiusi e da quel momento trattati come carcerati. "Le conigliere",
le chiamavano, quei reparti dove stavano stipati, appesi alle grate delle
finestre, che adesso sono stati recupera - ti e sembrano addirittura eleganti.
Guidava il corteo Franco Basaglia, che per permettere a Marco Cavallo di
lasciare l'ospedale psichiatrico e uscire per strada aveva personalmente
abbattuto con una panchina un pezzo di muro. Tutti si accorsero in quel momento
che stava accadendo qualcosa di storico, una riforma totale della psichiatria
che sarebbe diventata legge 180, che prevede appunto la chiusura dei
manicomi. Marco Cavallo, prima di
diventare la grande statua blu che tutti conosciamo, era un cavallo vero.
Tirava un carretto che trasportava i panni sporchi dentro il manicomio. I matti
si erano affezionati a lui e quando era diventato vecchio, per evitare che
fosse mandato al macello, chiesero di poterlo adottare. La lettera con cui si
rivolsero all'amministrazione era firmata Marco Cavallo. Nella sua pancia, nella
pancia della grande statua blu, avevano messo uno sportello. Nel quale potevano
essere nascosti disegni, lettere, fotografie, qualunque cosa i matti
intendessero portare fuori, o mettere in salvo. La storia di Marco Cavallo è
rimasta nella immaginazione di tutti, più delle fotografie, spaventose, che
ritraevano i pazienti legati, nudi, sporchi. Più dei racconti che filtravano,
delle pompe di acqua gelata con cui venivano ogni tanto lavati, o sedati, delle
terapie violentissime, di come si continuava a tollerare che la malattia
mentale fosse un motivo per ridurre esseri umani in uno stadio di schiavitù,
privati degli elementari diritti della cittadinanza senza aver commesso il
minimo reato. Non voglio dire di come la legge 180 sia stata attuata solo in parte,
di come sia ancora molto difficile per i familiari occuparsi di una persona con
sofferenza psichica. Mancano le strutture, mancano i medici, mancano gli
infermieri, mancano i soldi... manca sempre qualcosa in
questo Paese per riuscire a portare a termine le imprese che il coraggio di
qualcuno ha reso possibili. Non voglio parlare di questo: voglio parlare di
simboli. I simboli non si possono scegliere, nessun algoritmo sarà mai in grado
di trasformare un gesto - un meme - o una persona in un simbolo, a prescindere
dal numero di follower o fan o estimatori. Il simbolo è un'aggregazione
cellulare che contiene ragione ed emozione e agisce su una parte del nostro
cervello che è collettiva. Il simbolo vale a prescindere dalla cultura che ti
ha formato, dal Paese dove sei nato e anche dalla tua condizione sociale. È
comprensibile a chiunque, da un bambino e da un adulto e anche dai matti.
Soprattutto dai matti, che decifrano il mondo grazie a una lingua diversa da
quella che usiamo noi. Marco Cavallo è un simbolo, e rappresenta la libertà, la
fuga dall'orrore. Si porta addosso tutta la sofferenza di chi l'ha costruito, e
il coraggio. Che in quel mondo non ci sia più posto per lui è un simbolo, un
brutto simbolo.
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