"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 11 novembre 2022

Piccolegrandistorie. 31 Elena Stancanelli: «Manca sempre qualcosa in questo Paese per riuscire a portare a termine le imprese che il coraggio di qualcuno ha reso possibili».

Degli Esclusi”. Ha scritto Filippo Ceccarelli in “Non cancellate Marco Cavallo” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 4 di novembre 2022: Sarà un lungo inverno. A Muggia, comune dell’Istria italiana, hanno dato lo sfratto alla grande statua di Marco Cavallo, emblema itinerante della battaglia che grazie all’opera di Franco Basaglia ha portato a considerare la malattia mentale con un altro sguardo, una diversa cura e una maggiore umanità. Dinanzi all’iniziativa del sindaco leghista Paolo Polidori, che ha accampato questioni di regolarità amministrativa riguardo agli spazi nel deposito comunale dove la scultura era parcheggiata, non si può che alzare gli occhi al cielo con sconsolata rassegnazione; già nel 2019, allora vicesindaco di Trieste, il personaggio si era segnalato alle cronache per aver raccolto da terra coperte e stracci entro cui si avvoltolava di notte qualche senzatetto e come gesto dimostrativo li aveva buttati nell’immondizia. Nella stessa direzione va ora il ripudio di Marco Cavallo rivelando però una scelta che non è solo di ordine, ma si pone contro il progresso, l’umanità, la memoria e un po’ anche contro la poesia. (…). Quasi mezzo secolo è passato e quasi tutti i protagonisti di quell’avventura sono scomparsi. Per Marco Cavallo toccherà alla coscienza civile trovare una nuova sede. Ma resta difficile ignorare che la nuova stagione politica si annuncia rimuovendo, con selvaggi pretesti logistico-burocratici, un pezzo di Storia fra i più degni di questa nazione, come piace chiamarla ai nuovi potenti autonominatisi conservatori. Provino loro adesso a spiegare che la goffa cultura della cancellazione sta solo a sinistra. Quanto all’inverno che arriva, per fortuna – ma qualcuno potrebbe evocare persino la Provvidenza - esiste sempre il cappotto. Di seguito, “Il posto del cavallo” di Elena Stancanelli pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 5 di novembre ultimo: (…). Marco Cavallo (…) si sposta parecchio, tra festival, congressi, carceri. Da quel giorno, il 25 febbraio 1973, è uscito dal manicomio di Trieste, seguito da un corteo di pazienti, infermieri, medici, familiari dei degenti... seicento persone che avevano partecipato al laboratorio teatrale tenuto dallo scrittore Giuliano Scabbia (…). Molti dei quali non uscivano dall'ospedale psichiatrico di San Paolo da anni, da quando erano stati rinchiusi e da quel momento trattati come carcerati. "Le conigliere", le chiamavano, quei reparti dove stavano stipati, appesi alle grate delle finestre, che adesso sono stati recupera - ti e sembrano addirittura eleganti. Guidava il corteo Franco Basaglia, che per permettere a Marco Cavallo di lasciare l'ospedale psichiatrico e uscire per strada aveva personalmente abbattuto con una panchina un pezzo di muro. Tutti si accorsero in quel momento che stava accadendo qualcosa di storico, una riforma totale della psichiatria che sarebbe diventata legge 180, che prevede appunto la chiusura dei manicomi.  Marco Cavallo, prima di diventare la grande statua blu che tutti conosciamo, era un cavallo vero. Tirava un carretto che trasportava i panni sporchi dentro il manicomio. I matti si erano affezionati a lui e quando era diventato vecchio, per evitare che fosse mandato al macello, chiesero di poterlo adottare. La lettera con cui si rivolsero all'amministrazione era firmata Marco Cavallo. Nella sua pancia, nella pancia della grande statua blu, avevano messo uno sportello. Nel quale potevano essere nascosti disegni, lettere, fotografie, qualunque cosa i matti intendessero portare fuori, o mettere in salvo. La storia di Marco Cavallo è rimasta nella immaginazione di tutti, più delle fotografie, spaventose, che ritraevano i pazienti legati, nudi, sporchi. Più dei racconti che filtravano, delle pompe di acqua gelata con cui venivano ogni tanto lavati, o sedati, delle terapie violentissime, di come si continuava a tollerare che la malattia mentale fosse un motivo per ridurre esseri umani in uno stadio di schiavitù, privati degli elementari diritti della cittadinanza senza aver commesso il minimo reato. Non voglio dire di come la legge 180 sia stata attuata solo in parte, di come sia ancora molto difficile per i familiari occuparsi di una persona con sofferenza psichica. Mancano le strutture, mancano i medici, mancano gli infermieri, mancano i soldi... manca sempre qualcosa in questo Paese per riuscire a portare a termine le imprese che il coraggio di qualcuno ha reso possibili. Non voglio parlare di questo: voglio parlare di simboli. I simboli non si possono scegliere, nessun algoritmo sarà mai in grado di trasformare un gesto - un meme - o una persona in un simbolo, a prescindere dal numero di follower o fan o estimatori. Il simbolo è un'aggregazione cellulare che contiene ragione ed emozione e agisce su una parte del nostro cervello che è collettiva. Il simbolo vale a prescindere dalla cultura che ti ha formato, dal Paese dove sei nato e anche dalla tua condizione sociale. È comprensibile a chiunque, da un bambino e da un adulto e anche dai matti. Soprattutto dai matti, che decifrano il mondo grazie a una lingua diversa da quella che usiamo noi. Marco Cavallo è un simbolo, e rappresenta la libertà, la fuga dall'orrore. Si porta addosso tutta la sofferenza di chi l'ha costruito, e il coraggio. Che in quel mondo non ci sia più posto per lui è un simbolo, un brutto simbolo.

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