"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 27 novembre 2022

ItalianGothic. 16 V*T*: «Presidente Meloni, le racconto tutti i miei lavori di fannullona».  

“Presidente Meloni, le racconto tutti i miei lavori di fannullona”, lettera “aperta” di una lettrice de’ “il Fatto Quotidiano” pubblicata nella edizione di ieri, sabato 26 di novembre 2022: Per lei, signor Presidente Meloni, il povero è un fatto di correità, sfiga e indolenza insieme. Ancor peggio se siciliano. (…). La speranza che al Sud con i poveri diventa scambio di voti. Di cosa dobbiamo morire? Tra la carità e la disperazione, signor presidente, preferisco la carità. Io appartengo alla categoria dei colori smorti, il miserabile pitocco, archetipo delle vostre idiosincrasie. Sono povera, sissignore. Non ho mai macchiato la mia divisa della mostrina del fannullone, sorry. Vi piace immaginarci così, generazioni di parassiti, in panciolle. Non conosco privilegi, il destino mi ha inchiodato al Sud, non sono siciliana, mane vivo il peso, una certa iattura. Non conosco privilegi. Una ragazzina intelligente. Diplomata liceale, non frequento l'università. Mio padre, uomo colto e curioso, si è spezzato la schiena in fabbrica, per una vita. Nessun privilegio. Mai. Comincio a lavorare subito. L'università è per i ricchi, famiglie borghesi con un bilancio abbordabile. Non è il mio caso. Una città cimitero, allora, con luci fasulle di brillii illegittimi, economie poggiate su disarmonie, illegalità. Solite cose, al Sud. Una impossibilità latente si impossessa di chi ci vive, un orizzonte sterminato di privazione. Sterminato come il blu dei mari che si incontrano sullo Stretto di Messina. Molto suggestivo. Disperante e suggestivo. Venditrice di libri. Vendevo, ero brava, mai visto un soldo, impreparata, era facile finire in mano a cialtroni di vario genere. Vendevo contratti per tomi enciclopedici. Ero gentile, educata, le persone si fidavano di me. Mai visto un soldo. I cialtroni, ricordo un paio di nomi, fecero il sacco e sparirono dalla circolazione, fantomatiche agenzie di lavoro. Lavapiatti, centinaia di bicchieri, posate, pentole, acqua fredda, gelata, piegata sul lavabo fino alle due del mattino, con il fiato sul collo del capo-cameriere sessista che si eccitava insultando le ragazzine come me. La prima sera di prova includeva l'opzione: non pagata. Gli altri trenta euro (c’erano ancora le lire, tuttavia) il sabato e la domenica. Banconista in un pub di marrani, uomini perlopiù, avventori di spettacolini sui generis, tipo giovinette mezze nude imbrattate di panna. Serate ben pagate. Cinquanta euro, il sabato e la domenica. Cameriera, durante i ricevimenti, i matrimoni, bisognava avere gambe solide e una buona schiena. Venditrice di tappeti. Drappi pesanti, manti di lana cachemire, da srotolare e ripiegare, una specie di yak nella sostanza, sa quei bovini tibetani da soma. A fine giornata ti sembrava di avere un gomitolo in gola. Bastava abituarsi, al gomitolo in gola. Ero bravina. Soprattutto nelle fiere campionarie, c'era una sola breve pausa, o il pranzo, al volo, o la sigaretta. Un'estate provai l'ebbrezza di condividere l'abusività, in un parcheggio, con altri poveri, poveri più che mai, posteggiatori non regolari insomma. Cercavano di fregare la vita, come si dice. Abbiamo imparato a farlo, quiggiù, o muori. Devi scegliere di cosa: pregiudizio altrui, ignoranza, albagia nordista. Disperazione. Ho sempre lavorato. Lo chiama lavoro lei, signor presidente? Fino a qualche anno fa, mi deve credere, non ho mai visto mille euro tutte insieme. Non si commuove? O è il solito schifo che sale piuttosto, non è così? Una specie di mal di povero, la nausea che guida ogni disequazione e che riguarda noi, i colori smorti, i parassiti, i pitocchi. Però scrivo. Ed è una gran fregatura. Vorrei firmarmi: la fannullona. Preferisco il mio nome, però. V* T* Di seguito, “Quel legame di sangue fra miseria e corruzione” di Alberto Vannucci pubblicato sul mensile “Millennium” del mese di novembre 2022: La povertà è la madre della ribellione e del crimine", afferma Aristotele nella Politica. Un sano pragmatismo, piuttosto che l'improbabile benevolenza, dovrebbe spingere i ceti abbienti a moderare le proprie pretese, a salvaguardia dell'ordine sociale. Eppure, a ogni latitudine, è proprio un'attività criminale il terreno privilegiato di caccia al profitto dei colletti bianchi e delle classi dirigenti. Nessun altro crimine come la corruzione può vantare un vincolo di sangue così stretto con la povertà, in un intrico di cause ed effetti che si alimentano a vicenda. Una ricerca del 2003 spiega che la crescita della corruzione di una deviazione standard si associa a un incremento dell'11 per cento dell'indice di diseguaglianza di Gini e a una riduzione del 5 per cento del reddito dei più poveri. La "trappola della povertà" è una metafora appropriata di questo processo: un circolo vizioso generato dalle condizioni precarie della popolazione e dalla gracilità delle istituzioni politico-amministrative, in cui il ricorso a pratiche illegali diventa un'illusoria valvola di sfogo, che da un lato accentua le disparità, dall'altro soffia sul disincanto verso le istituzioni pubbliche. Si genera così una mistura tossica di impoverimento di fasce crescenti di popolazione e di delegittimazione della politica e dell'apparato pubblico. È il brodo di coltura degli apprendisti stregoni populisti. Ma è anche il terreno dove le politiche neoliberiste di privatizzazione e deregolamentazione promosse negli ultimi decenni dalle istituzioni internazionali trovano piena giustificazione: debellare la corruzione, che in quella prospettiva si associa all'invadenza dello Stato e all'ottusità della burocrazia, per sollevare dalla povertà i ceti più deboli. Questa narrativa, ormai dominante nel discorso pubblico sulle riforme anticorruzione, sconta una fallacia di fondo. Dimentica, infatti, la circolarità del legame tra corruzione e impoverimento, dove la povertà è anch’essa generatrice di abusi di potere. E nello stesso tempo trascura le ricadute, in termini di inasprimento delle più feroci disuguaglianze, generate dalle stesse politiche neoliberiste, con una concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi senza precedenti. Si vuole combattere sul serio la corruzione? Occorre afferrare l'altro corno del dilemma. Combattere con strutturali politiche redistributive la povertà della popolazione, materiale ed educativa. La riflessione filosofica dell'occidente si fonde così con la saggezza orientale, da Aristotele a Confucio: "In un Paese ben governato ci si deve vergognare della povertà. In uno malgovernato ci si deve vergognare della ricchezza".

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