“UnVirusChiamatoUomo”. Ha scritto Angelo Flaccavento
in “La coperta risicata” pubblicato
sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 12 di novembre 2022: (…). Come
se il vero problema non fosse toutcourt il consumo. La questione è parecchio
intorcinata, forse irrisolvibile, radicata com'è nel profondo dell'esistere,
che ovunque ci si giri è tutto un mors tua, vita mea, e ci si perdoni il
pessimismo inconsolabile. I penitenziagite e le conversioni ecologiste, in tal
senso, a poco servono. Al meglio, insospettiscono, perché troppo astutamente
strombazzate. La specie umana è altamente, infinitamente ostile, verso i suoi
simili come verso l'ambiente: è programmata per distruggere, guerreggiare,
afferrare, conquistare. La moda, però, è affare, almeno in apparenza, pacifico.
In quanto espressione massima del capitalismo avanzato è invero anche il più
in-sostenibile di tutti i settori, nonostante il fervore redolente di
clorofilla, le formule pie, il wording ipnotizzante, la retorica pomposa ed
ecumenica, come troppo oggi, che capitalizza su uno dei temi del momento con
scarse implicazioni fattuali. Il problema è insieme ontologico e pratico, di
disposizione mentale e modo di fare. La moda inquina i pensieri con dolcissimi
e scellerati convincimenti spendaccioni per il semplice fatto che essa sforna
di continuo nuovi ideali di bellezza, ottenibili solo attraverso il
rinnovamento incessante di guardaroba e corollari; annuncia la salvezza
dall'invecchiamento attraverso il consumo cospicuo, unica via da seguire.
Quando si tratta di essere au courant, infatti, more is more, che è il più
irresponsabile di tutti i modelli comportamentali. Alla fine, bisogna accumulà,
ma, ironia della sorte, dalla paura di invecchiare o essere demodé non si
scappa, e allora si continua a comprare, mentre le discariche si riempiono di
scarti e via lordando l'orbis terrarum, e via scellerando, che la decrescita
non è nemmeno una opzione. Che fare? Il saio non funge. Si cerca altrove, si
inventano nuovi modi di produrre, nuovi materiali e protocolli: i tessuti
diventano sostenibili, la catena di approvvigionamento si fa responsabile, il
riciclaggio viene definitivamente sdoganato come pratica à la page invece che
pauperistica; persino gli show grandiosi si riducono, dicunt, a impatto zero.
Si progredisce, insomma, e le mentalità cambiano, ma non tutto e non sempre
torna: per andare da una sfilata all'altra si scorrazza a destra e a manca con
profluvio di combustibili fossili, per non parlare dell'invito mai taciuto a
consumare, consumare e ancora consumare. Insomma, quel che si guadagna su un
fronte lo si perde dall'altro, come una copertina risicata che proprio non
riesce a coprir tutto. Quindi, siamo punto e a capo. Buon senso e coscienza
sarebbero forse il rimedio, certo casalingo e della nonna ma assai meno
pernicioso dei programmi mefistofelici serviti come pensierini angelicati. O
no? Vostro Maramao Di seguito, “Per
un'etica planetaria” di Umberto Galimberti pubblicato alla pagina 182 dello
stesso numero del settimanale “d”: Occorre passare dall'etica antropocentrica,
che concepisce cioè l'uomo come padrone della Terra, a un'etica che consenta al
pianeta di restare ancora abitabile dalla specie umana. L'unica speranza, che però
non credo si realizzi, consiste nell'abbandonare la concezione giudaico-cristiana
che prevede l'uomo al vertice del creato, con la Terra che Dio gli ha
consegnato per il suo dominio: "Dominerai sugli animali della Terra, sui
volatili del cielo, sui pesci delle acque marine" (Genesi, 26). E a
congedo avvenuto, occorre tornare alla concezione greca per la quale: "Questo cosmo, che è il medesimo per tutti, non lo
fece nessuno degli dei né degli uomini ma sempre era, è, e sarà fuoco
sempre vivente che si accende e si spegne secondo giusta misura"
(Eraclito, fr. B 30). La necessità di questo ritorno è giustificato dal fatto
che oggi, come ci ricorda il sociobiologo Edward O. Wilson: "L'umanità,
con il suo potere distruttivo, è la prima specie nella storia della vita a
diventare una forza geofisica" (La creazione, Adelphi). Alterando l'atmosfera
e l'equilibrio climatico, immettendo nell'aria, nell'acqua e nel suolo una
quantità incalcolabile di composti chimici e rifiuti tossici, inquinando fiumi
e mari, l'uomo minaccia a tal punto l'ecosistema da renderne irreversibili gli
effetti. Per evitare questo scenario, che sotto la specie del progresso
avvicina alla catastrofe, non basta invocare una misura nello sfruttamento
della natura. Ciò che occorre è un mutamento radicale del paradigma che ha
regolato finora il rapporto dell'uomo con la natura, e passare
dall'antropocentrismo, che pensa l'uomo al vertice del creato e perciò stesso
arbitro della natura, al biocentrismo (da bios, termine greco che vuol dire
vita) che concepisce l'uomo come uno dei tanti viventi che la natura genera
senza alcuna supremazia rispetto ai vegetali e agli animali che, al pari
dell'uomo, vanno rispettati, perché la vita appartiene alla natura che
preesisteva alla comparsa dell'uomo e potrebbe continuare ad esistere anche
dopo la sua scomparsa. È infatti la natura, e non la potenza dell'uomo sulla
natura, la fonte della vita. Se l'etica antropocentrica si è rivelata non funzionale
alla vita, occorre passare a un'etica planetaria, dove non l'uomo, ma la vita
della Terra diventa la misura ultima di tutte le cose. Ma oggi, a causa dello
sfruttamento delle risorse del pianeta, giunto a un limite che rischia di
essere irreversibile, per la prima volta l'umanità si trova di fronte a un
problema del tutto nuovo, che non è più quello di difendersi dal nemico, ma
quello di difendersi da se stessa, ossia dagli attacchi indiscriminati che
rivolge alla Terra, fino al punto da rendere incerta la possibilità che il
Pianeta resti ancora una terra abitabile dalla specie umana. In gioco, infatti,
non è la sussistenza di questa o quella tribù, popolazione o etnia, ma l'intera
specie umana. E se la specie è ciò che ci accomuna, non è tanto la patria che
dobbiamo difendere, quanto la Terra che, per quanto al momento ne sappiamo, è
l'unica vera patria. L'uomo, infatti, può andare sulla Luna e domani magari
anche su Marte, ma non può dimenticare i vincoli fisici che lo legano a quella
sfera che è la Terra, avvolta da quella fragile pellicola che è la biosfera, a
cui si deve la generazione dell'aria, la purificazione dell'acqua, la
conservazione del suolo, e da cui dipende interamente la vita dell'uomo che
solo qui e non altrove può continuare a vivere. Questo non è un auspicio o un
patetico invito morale, ma una necessità che, nella storia dell'umanità, non si
era mai presentata in tutta la sua cogenza, perché nessuna generazione si era
mai spinta fino a quel limite che incomincia a registrare l'irreversibilità dei
processi naturali.
"Il nostro pianeta è la nostra casa, la nostra unica casa. Dove andremo se lo distruggeremo?" (Dalai Lama). "In tutte le cose della natura esiste qualcosa di Meraviglioso".(Aristotele). È risaputo che, ammirando la natura, immergendosi in essa, ascoltandola, si traggono dei benefici preziosissimi che aiutano a vivere meglio! Penso che la filosofia e la natura abbiano in comune l'alimentazione della sensibilità ed entrambe insegnino dei valori irrinunciabili... Grazie per questo post eccezionale e buona continuazione.
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