"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 15 novembre 2022

Virusememorie. 95 Eraclito: «Questo cosmo, che è il medesimo per tutti, non lo fece nessuno degli dei né degli uomini ma sempre era».  

UnVirusChiamatoUomo”. Ha scritto Angelo Flaccavento in “La coperta risicata” pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 12 di novembre 2022: (…). Come se il vero problema non fosse toutcourt il consumo. La questione è parecchio intorcinata, forse irrisolvibile, radicata com'è nel profondo dell'esistere, che ovunque ci si giri è tutto un mors tua, vita mea, e ci si perdoni il pessimismo inconsolabile. I penitenziagite e le conversioni ecologiste, in tal senso, a poco servono. Al meglio, insospettiscono, perché troppo astutamente strombazzate. La specie umana è altamente, infinitamente ostile, verso i suoi simili come verso l'ambiente: è programmata per distruggere, guerreggiare, afferrare, conquistare. La moda, però, è affare, almeno in apparenza, pacifico. In quanto espressione massima del capitalismo avanzato è invero anche il più in-sostenibile di tutti i settori, nonostante il fervore redolente di clorofilla, le formule pie, il wording ipnotizzante, la retorica pomposa ed ecumenica, come troppo oggi, che capitalizza su uno dei temi del momento con scarse implicazioni fattuali. Il problema è insieme ontologico e pratico, di disposizione mentale e modo di fare. La moda inquina i pensieri con dolcissimi e scellerati convincimenti spendaccioni per il semplice fatto che essa sforna di continuo nuovi ideali di bellezza, ottenibili solo attraverso il rinnovamento incessante di guardaroba e corollari; annuncia la salvezza dall'invecchiamento attraverso il consumo cospicuo, unica via da seguire. Quando si tratta di essere au courant, infatti, more is more, che è il più irresponsabile di tutti i modelli comportamentali. Alla fine, bisogna accumulà, ma, ironia della sorte, dalla paura di invecchiare o essere demodé non si scappa, e allora si continua a comprare, mentre le discariche si riempiono di scarti e via lordando l'orbis terrarum, e via scellerando, che la decrescita non è nemmeno una opzione. Che fare? Il saio non funge. Si cerca altrove, si inventano nuovi modi di produrre, nuovi materiali e protocolli: i tessuti diventano sostenibili, la catena di approvvigionamento si fa responsabile, il riciclaggio viene definitivamente sdoganato come pratica à la page invece che pauperistica; persino gli show grandiosi si riducono, dicunt, a impatto zero. Si progredisce, insomma, e le mentalità cambiano, ma non tutto e non sempre torna: per andare da una sfilata all'altra si scorrazza a destra e a manca con profluvio di combustibili fossili, per non parlare dell'invito mai taciuto a consumare, consumare e ancora consumare. Insomma, quel che si guadagna su un fronte lo si perde dall'altro, come una copertina risicata che proprio non riesce a coprir tutto. Quindi, siamo punto e a capo. Buon senso e coscienza sarebbero forse il rimedio, certo casalingo e della nonna ma assai meno pernicioso dei programmi mefistofelici serviti come pensierini angelicati. O no? Vostro Maramao Di seguito, “Per un'etica planetaria” di Umberto Galimberti pubblicato alla pagina 182 dello stesso numero del settimanale “d”: Occorre passare dall'etica antropocentrica, che concepisce cioè l'uomo come padrone della Terra, a un'etica che consenta al pianeta di restare ancora abitabile dalla specie umana. L'unica speranza, che però non credo si realizzi, consiste nell'abbandonare la concezione giudaico-cristiana che prevede l'uomo al vertice del creato, con la Terra che Dio gli ha consegnato per il suo dominio: "Dominerai sugli animali della Terra, sui volatili del cielo, sui pesci delle acque marine" (Genesi, 26). E a congedo avvenuto, occorre tornare alla concezione greca per la quale: "Questo cosmo, che è il medesimo per tutti, non lo fece nessuno degli dei né degli uomini ma sempre era, è, e sarà fuoco sempre vivente che si accende e si spegne secondo giusta misura" (Eraclito, fr. B 30). La necessità di questo ritorno è giustificato dal fatto che oggi, come ci ricorda il sociobiologo Edward O. Wilson: "L'umanità, con il suo potere distruttivo, è la prima specie nella storia della vita a diventare una forza geofisica" (La creazione, Adelphi). Alterando l'atmosfera e l'equilibrio climatico, immettendo nell'aria, nell'acqua e nel suolo una quantità incalcolabile di composti chimici e rifiuti tossici, inquinando fiumi e mari, l'uomo minaccia a tal punto l'ecosistema da renderne irreversibili gli effetti. Per evitare questo scenario, che sotto la specie del progresso avvicina alla catastrofe, non basta invocare una misura nello sfruttamento della natura. Ciò che occorre è un mutamento radicale del paradigma che ha regolato finora il rapporto dell'uomo con la natura, e passare dall'antropocentrismo, che pensa l'uomo al vertice del creato e perciò stesso arbitro della natura, al biocentrismo (da bios, termine greco che vuol dire vita) che concepisce l'uomo come uno dei tanti viventi che la natura genera senza alcuna supremazia rispetto ai vegetali e agli animali che, al pari dell'uomo, vanno rispettati, perché la vita appartiene alla natura che preesisteva alla comparsa dell'uomo e potrebbe continuare ad esistere anche dopo la sua scomparsa. È infatti la natura, e non la potenza dell'uomo sulla natura, la fonte della vita. Se l'etica antropocentrica si è rivelata non funzionale alla vita, occorre passare a un'etica planetaria, dove non l'uomo, ma la vita della Terra diventa la misura ultima di tutte le cose. Ma oggi, a causa dello sfruttamento delle risorse del pianeta, giunto a un limite che rischia di essere irreversibile, per la prima volta l'umanità si trova di fronte a un problema del tutto nuovo, che non è più quello di difendersi dal nemico, ma quello di difendersi da se stessa, ossia dagli attacchi indiscriminati che rivolge alla Terra, fino al punto da rendere incerta la possibilità che il Pianeta resti ancora una terra abitabile dalla specie umana. In gioco, infatti, non è la sussistenza di questa o quella tribù, popolazione o etnia, ma l'intera specie umana. E se la specie è ciò che ci accomuna, non è tanto la patria che dobbiamo difendere, quanto la Terra che, per quanto al momento ne sappiamo, è l'unica vera patria. L'uomo, infatti, può andare sulla Luna e domani magari anche su Marte, ma non può dimenticare i vincoli fisici che lo legano a quella sfera che è la Terra, avvolta da quella fragile pellicola che è la biosfera, a cui si deve la generazione dell'aria, la purificazione dell'acqua, la conservazione del suolo, e da cui dipende interamente la vita dell'uomo che solo qui e non altrove può continuare a vivere. Questo non è un auspicio o un patetico invito morale, ma una necessità che, nella storia dell'umanità, non si era mai presentata in tutta la sua cogenza, perché nessuna generazione si era mai spinta fino a quel limite che incomincia a registrare l'irreversibilità dei processi naturali.

1 commento:

  1. "Il nostro pianeta è la nostra casa, la nostra unica casa. Dove andremo se lo distruggeremo?" (Dalai Lama). "In tutte le cose della natura esiste qualcosa di Meraviglioso".(Aristotele). È risaputo che, ammirando la natura, immergendosi in essa, ascoltandola, si traggono dei benefici preziosissimi che aiutano a vivere meglio! Penso che la filosofia e la natura abbiano in comune l'alimentazione della sensibilità ed entrambe insegnino dei valori irrinunciabili... Grazie per questo post eccezionale e buona continuazione.

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