"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 23 novembre 2022

Quellichelasinistra. 30 Roberto Casalini: «I poveri sono diventati invisibili, cani perduti senza collare».  

LaSinistraCheNonC’èPiù”. Ha scritto Alessandro Robecchi in “Finanziaria. Meglio le bomboniere che i poveri: salviamo il matrimonio” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, 23 di novembre 2022: (…), seguiamo le cronache dei nostri eroi. Mentre ministri e sottoministri si arrovellano per cercare nuove soluzioni ad antichi problemi (…), nel cuore del potere meloniano c’è qualche timore nuovo. “L’impatto di cancellare di botto il reddito di cittadinanza è devastante”, dice la ministra del Lavoro, riportata con virgolette qui e là. Tradotto in italiano, significa quel che molti dicono da sempre: che il reddito è un argine, una diga che protegge chi non ce la fa, e toglierlo di botto in un anno di recessione sarebbe come accendere una miccia. Cioè il contrario della vulgata retorica delle destre più estreme ed ottuse, Italia Viva, Lega e Fratelli d’Italia, sempre concentrate a dire cretinate sui divani, i fannulloni e varianti più o meno offensive. Cazzate: di quei 660 mila a cui verrà tolto ossigeno tra qualche mese, pochissimi potranno trovare un lavoro. Bassa scolarità, nessuna formazione, soggetti deboli: cancellare il reddito significa consegnarli alla disperazione o alla manovalanza della criminalità, oppure, nel migliore dei casi (speriamo) al conflitto sociale. Dopo aver sbraitato per anni, ora se ne accorgono pure al Consiglio dei Ministri, ma è tardi per tornare indietro, quindi niente, pochi mesi e poi smantellamento dell’unica legge che abbia aiutato, negli ultimi anni, le fasce più disagiate della società. La legge finanziaria – la stessa che ci dice che un professionista da 85.000 euro l’anno pagherà le tasse di un dipendente che ne prende 30.000 – è dunque una netta e precisa (in qualche caso rivendicata) ricerca dello scontro. Davanti al timore di ampi disagi sociali si scelgono deliberatamente il conflitto e la contrapposizione, le mani sui fianchi e la mascella volitiva: la dichiarazione di guerra è stata consegnata nelle mani dei poveri. Di seguito, tratto da “Mio padre bracciante, la dignità e la sinistra senza più popolo” di Roberto Casalini, pubblicato sul mensile “Millennium” del mese di novembre 2022: Quando è morto, mio padre era più giovane di me che adesso lo ricordo. Ho tra le mani una foto in cui tutta la mia famiglia è in posa. Il luogo è Sassari, Sardegna, culla di due presidenti assai controversi e di un segretario del Pci molto amato. Gli anni, quelli del miracolo economico che non abbiamo conosciuto. Nella foto mio padre ha poco più di cinquant'anni ed è già vecchio. Eravamo poveri, mio padre di famiglia contadina era stato un piccolo negoziante negli anni '50 a Carbonia, quando le miniere chiudevano e i minatori non potevano più pagare gli acquisti segnati a libretto. Ci trasferimmo a Sassari nel 1959: aveva trovato un ettaro di terra da coltivare a mezzadria, metà del raccolto a lui e metà al padrone del terreno. Qualche mese dopo il nostro arrivo un'alluvione disastrosa si mangiò tutto, un anno di lavoro buttato, la malora. L'agrario del quale era stato mezzadro diceva strafottente ai suoi braccianti: "Quelli che lavorano per me entrano con gli stivali nuovi ed escono con gli stivali sfondati". Verso la fine degli anni '60 lo sequestrarono e il corpo non venne ritrovato. "Non si augura la morte a nessuno, ma quello se l'è cercata" commentò mia madre. La mia infanzia è stata nell'Ottocento. Mio padre bracciante pagato a giornata, mai un contratto in vita sua, e nei giorni di maltempo a casa senza paga. Sfinito da un lavoro che non conosceva orari. In autunno, dopo dieci ore di zappa, a fare la notte nel frantoio delle olive per comprarci cappotti scarpe e il necessario per la scuola. In estate a irrigare quando faceva fresco, la notte o all'alba. Per mercede il necessario per sopravvivere: pane e pasta, tante verdure, il pollo o un lesso ogni tanto. E abitazioni, per lungo tempo, perse nella campagna. Senza luce, senz'acqua corrente: c'era una cisterna e quand'era in secco, d'estate, provvedevo io andando a riempire le taniche a una fontana a qualche chilometro di distanza. Mio padre ha voluto che tutti noi, eravamo quattro figli, studiassimo. E che fossimo docili: "Dì sempre di sì e porta pazienza, che ti costa, così arrivi all'università e quando vai a militare sei ufficiale e ti lucidano le scarpe". Ma io non avevo pazienza, sono diventato presto di sinistra. Mi sono iscritto al Psiup, il partito socialista di unità proletaria che a volte scavalcava a sinistra il Pci, alla fine della terza media, a tredici anni. Sono diventato di sinistra per mio padre, perché non si spezzasse la schiena, e contro la sua rassegnazione, che aspettava come un favore quel che avrebbe dovuto spettarci come diritto: una cura medica, un affitto equo, una paga giusta. Sono diventato di sinistra perché allora la sinistra era tra il popolo, la gente che lavorava e che faceva fatica a campare la conosceva bene e la difendeva. Era una scuola dura ma affettuosa che aveva come materie i diritti e la dignità, e che cresceva cittadini adulti e consapevoli. Sono stato grato ad Alessandro Natta quando ha affermato che, avesse insegnato anche a un solo contadino a non levarsi il cappello davanti a un possidente, l'esistenza del partito comunista sarebbe stata pienamente giustificata. Noi chiedevamo dignità, gli altri ci volevano umili. E riconoscenti per le briciole che ci gettavano. Quando entrai al ginnasio con una borsa di studio - l'obbligo terminava allora con la terza media - avevo appena letto la Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani e dei suoi ragazzi di Barbiana: il padrone sa mille parole e gli operai duecento, anche gli operai devono saperne mille. E scrissi in un tema che trovavo accanto a me molti compagni svogliati che erano lì per censo, mentre molti dei miei vecchi compagni non avevano potuto proseguire gli studi. Mi chiamò alla cattedra una democristiana di scorza dura, di quelle che un tempo ti avrebbero levato la pelle a vergate. Quattro, fuori tema, fu il verdetto. Con il fervorino finale: "Tuo padre fa il bracciante e anche tu dovresti essere in campagna con lui. Se sei qui è perché i padri dei tuoi compagni che ti permetti di criticare pagano le tasse anche per te. Ritorna al tuo posto e ricordati che non si sputa nel piatto dove si mangia". Mi ribellai come potevo: dal giorno dopo non andai più a scuola, saltai un anno e fui respinto come non classificato, sarei potuto finire male ma trascorsi quell'anno rintanato nella biblioteca universitaria, a leggere e studiare per conto mio. L'anno dopo mi rimisi in pari dando due anni in uno, e la mia militanza a sinistra si intensificò. Ho lasciato la Sardegna a vent'anni, a casa sarei stato soltanto una bocca in più da sfamare, e ho trovato, come i fratelli, il mio posto nel mondo. Mio padre ha lavorato fino a poco prima di morire e il più grande rimorso della mia vita è di non avere pagato il debito che avevo con lui. Di non avere ricambiato la sua pazienza e la sua generosità. Ho cercato di imparare da lui, dalla curiosità e dalla passione per la terra che neppure la fatica riusciva a spegnere - un innesto, una nuova pianta da seminare - a fare bene il mio lavoro. Perché c'è dignità nell'operare di tutti, e oggi che questa repubblica fondata sul lavoro per il lavoro non ha posto, penso che lui è stato il mio eroe, l'uomo che faceva crescere l'erba. Questa è la mia eredità, il mio patrimonio. Divento vecchio e quando leggo, dati regionali del 2021, che nella città della mia giovinezza, Sassari, ha trovato un'occupazione il 45,1 % delle donne, il 59% degli uomini e il 59,1% dei giovani; quando leggo che in Italia 14,83 milioni di persone, il 25,2% della popolazione, uno su quattro, è a rischio di esclusione sociale, soldi che non bastano, una casa non riscaldata e neppure un pasto proteico in due giorni, penso che le conquiste di mezzo secolo vengono inghiottite e che si ritorna a quando ero ragazzo. Tutto questo senza clamori e senza scandali perché i poveri sono diventati invisibili, cani perduti senza collare. Ho creduto, in tutta la mia vita, che la sinistra dovesse abbattere il muro delle disuguaglianze, e penso con dolore che la sinistra che oggi non ha occhi per la mia gente non mi rappresenta più.

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