Ha
scritto Maurizio Maggiani in “Merito. Perché
è solo una questione di potere” pubblicato sul settimanale “Robinson” del
quotidiano “la Repubblica” del 29 di ottobre 2022: Dal latino meritum, ricompensa, da
merere, avere una parte; a sua volta dal greco méros, parte, méiromai, ricevo
la mia parte, dall'ittita mark, parte, e prima ancora dall'accadico maharu, ottenere,
accettare. Malizioso e acuto c'è chi fa notare che potrebbe esserci una buona
relazione con la remota radice mer, con il significato di ricevere o ottenere
per magia. Ecco qua cos'è il merito, la parte di ciascuno e conseguentemente
ciò che spetta a chi fa la sua parte. E fin qui niente da dire. Ma poi c'è da
decidere qual è la parte che spetta a ognuno e qual è la parte a cui ciascuno
deve attendere, e allora non c'è che divergenza e lotta. Perché il decisore
delle parti spettanti è il padrone del tutto da spartire, e è sempre il padrone
del tutto che gestisce gli enti predisposti a stabilire quanto e se e come e
chi fa la sua parte, che sia parte materiale o morale o addirittura spirituale.
Oggi come oggi qui da noi chi fa le parti e chi le assegna è l'autorità
statale, un potere che a sua volta è soggetto o vincolato da sodalità ad altri
poteri, ad esempio il potere economico; e infatti il merito, la parte, è sempre
e solo una questione di potere, e tipico di ogni potere è insediarsi in nome
dell'equità per poi negarla nella pratica del suo esercizio. Un classico
esempio di teorica equità del merito, è assegnare una parte eguale a ognuno, la
promessa del sistema liberale per altro mai realizzata; è sommamente iniquo
dare lo stesso pezzo di pane a chi ha fame come a chi è sazio. Di seguito,
tratto da «È il “merito” che blocca ogni ascensore sociale» di Francesco Silos Labini
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 30 di ottobre 2022:(…). Andiamo
con ordine. Il sociologo inglese Michael Young scrisse negli anni 50 L’ascesa
della meritocrazia, in cui la meritocrazia è descritta come una società
spaventosa in cui la ricchezza e il potere sono distribuiti in base al
rendimento scolastico o ai quozienti di intelligenza o a qualche misura di
“superiorità” intellettiva. Young argomenta che la casta che viene così
selezionata sarebbe ancora più chiusa e impermeabile delle vecchie caste che
sostituisce. In questa società, i valori del mercato e della competizione
entrano in ogni aspetto della vita sociale, a partire dall’istruzione
elementare e la meritocrazia ha un duplice obiettivo: da un lato selezionare i
tecnici più efficienti necessari alla società e alla sua economia, dall’altro
fornire la giustificazione morale per le disuguaglianze nella distribuzione
della ricchezza che necessariamente si creano. La meritocrazia è un sistema che
fa emergere la casta degli autoproclamati “migliori” e che ne consolida il
potere.La prima critica alla società meritocratica è che il merito senza pari
opportunità consolida il privilegio perché chi nasce più ricco ha un vantaggio
iniziale che generalmente aumenta nel tempo, così che “i ricchi saranno sempre
più ricchi e i poveri sempre più poveri”. La meritocrazia è cioè un sistema
utile per preservare i privilegi delle élite.Tuttavia, un’altra più sottile ma
importante critica riguarda la definizione e la misura del “merito”. A volte si
leggono classifiche in cui i Paesi sono ordinati in base alla quantità di
meritocrazia. Non essendoci l’unità di misura “meritone” cosa si valuta
esattamente per stilare questi ranking? Come ha sottolineato il paleontologo
Stephen J. Gould, il quoziente di intelligenza non misura l’intelligenza, ma
solo la capacità di risolvere rapidamente una serie di problemi di un
determinato tipo. Per misurare l’intelligenza in modo affidabile, bisognerebbe
prima definirla in modo inequivocabile, ma è molto discutibile che esista un
solo modo per farlo. Lo stesso problema si presenta ogni volta che per misurare
una certa qualità usiamo un surrogato che si possa quantificare, ma spesso è un
indicatore non solo fuorviante perché misura qualcosa di diverso da quello che
si vorrebbe (ad esempio, il numero di pubblicazioni e non la loro qualità), ma
introduce distorsioni nel comportamento di chi viene valutato.Consideriamo
le famose classifiche delle università: come nel calcio la squadra che vince il
campionato è quella che ha maggiori risorse e investimenti così non è
sorprendente trovare nelle prime posizioni Harvard e Yale che hanno insieme il
70% delle risorse dei 66 atenei italiani con un numero di studenti che però non
arriva al 2%. In realtà sarebbe sorprendente che, date queste risorse
stratosferiche per i nostri standard, quegli atenei non si trovassero ai primi
posti. È facile dunque capire che un ateneo che ha molte più risorse di un
altro vince facilmente in una competizione per ottenere un finanziamento per
una nuova linea di ricerca. Questa è la dinamica perversa per cui il ricco
diventerà sempre più ricco e il povero più povero. E questo è quello che è
accaduto nella distribuzione dei fondi alle università del nostro Paese.
L’aumento delle disuguaglianze tra il Nord e il Sud negli ultimi 10 anni è
stato proprio guidato da questa dinamica. Consegnare il potere accademico nelle
mani di una casta di “migliori” è stata un’altra conseguenza di questa
ideologia.L’aumento delle disuguaglianze con il travaso di risorse umane e
finanziarie dalle zone più deboli (il Sud) a quelle più forti (il Nord) è
proprio l’effetto della meritocrazia. La stessa dinamica avviene a livello
europeo, con il risultato paradossale che i Paesi del Sud finanziano la ricerca
di quelli del Nord. La crescita di queste disuguaglianze sempre più
insormontabili inibisce il ruolo dell’istruzione come volano per la mobilità
sociale. Dall’altra parte l’esasperata competizione sta drogando e stravolgendo
il lavoro dei ricercatori, e la ricerca scientifica sta cambiando completamente
il suo corso per effetto di questa pressione, inibendo scoperte e dirottando il
lavoro solo verso quelle linee di ricerche già consolidate. Non c’è dunque
nessun paradosso nella nuova denominazione del ministero dell’Istruzione e del
Merito: si vuole solo esplicitare che la linea politica in questo settore non
verrà cambiata.
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