“Memoria&Presente”. Ha scritto Tomaso
Montanari – Storico dell’arte e Rettore della “Università per Stranieri” di
Siena – in “Che cosa ci dice la lapide
di Calamandrei” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 4
di novembre 2022: Le pietre ci parlano. Dalle pareti dei palazzi pubblici, dai muri delle
case degli uomini e delle donne illustri, dai pavimenti delle necropoli
ecclesiastiche, la voce del passato si rivolge incessantemente a noi. Epigrafi
artistiche, a volte veri capolavori. Altre volte semplici e spoglie lapidi. Ma
in tutti i casi, la materialità monumentale di queste scritte sul marmo
modifica lo spazio pubblico, rendendolo teatro di un dialogo tra generazioni
che costruisce la storia, rinsalda la memoria, lega passato e futuro. Quelle
pietre ci guardano: ed è impossibile non pensare che, talvolta, ci giudichino.
È il caso della celeberrima "lapide ad ignominia" che nel 1952 fu
collocata nell'atrio del Palazzo Comunale di Cuneo, e che poi è stata replicata
così tante volte sui muri e nelle piazze di tutta Italia. Essa rispose
all'arroganza criminale di Albert Kesselring, capo delle forze naziste di
occupazione in Italia, che - condannato a morte, e poi all'ergastolo - proprio
in quell'anno fu rimesso in libertà per ragioni di salute: occasione in cui
ebbe l'impudenza di dichiarare che gli italiani avrebbero dovuto fargli un
monumento, per come ci aveva trattato. La risposta, dettata da Piero Calamandrei,
recita così:
Lo avrai
camerata
Kesselring
il
monumento che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruirà
a
deciderlo tocca a noi.
Non
coi sassi affumicati
dei
borghi inermi straziati dal tuo sterminio non colla terra dei cimiteri
dove
i nostri compagni giovinetti riposano in serenità
non
colla neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono
non
colla primavera di queste valli
che
ti videro fuggire.
Ma
soltanto col silenzio dei torturati più duro d'ogni macigno
soltanto
con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi
che
volontari si adunarono
per
dignità e non per odio decisi a riscattare
la
vergogna e il terrore del mondo.
Su
queste strade se vorrai tornare
ai
nostri posti ci ritroverai
morti
e vivi collo stesso impegno popolo serrato intorno al monumento che si chiama
ora e
sempre
RESISTENZA.
Come possiamo guardare, oggi, quella lapide?
Con che coraggio? Oggi che chi è sempre rimasto fedele alla fiamma nera degli
alleati italiani di Kesselring, torna a governare l'Italia? Dov'è, oggi, quella
lingua, alta e coraggiosa, che chiamava le cose con il loro nome, e invocava
per sempre la resistenza contro ogni fascismo? Oggi un coro di servo encomio
soffoca le poche voci rimaste fedeli. Ma - è stato scritto - se noi taceremo,
grideranno le pietre...
Di seguito “La
sinistra tenga viva la memoria della Shoah” di Anna Foa – figlia di
Vittorio Foa (1910-2008) politico, sindacalista, storico, uno dei padri
fondatori della Repubblica e di Lisa Giua (1923-2005) ex partigiana –
pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” di oggi mercoledì 9 di novembre 2022:
In
questi giorni tanto colmi di ansie, ci si interroga anche sulla Shoah e sulla
sua memoria: "Nel giro di pochi anni la Shoah sarà trattata in un rigo nei
libri di storia, poi non ci sarà più neanche quello", ha detto Liliana
Segre. Ma perché un percorso memoriale divenuto, almeno in Europa, fondante
della nostra percezione del mondo e del passato, dovrebbe svanire? Certo, c'è
la prospettiva della scomparsa, per motivi di età, dei sopravvissuti, che si
sentono sempre più soli. E poi c'è al governo, arrivato al potere con il voto
di una larga fetta di italiani, un partito erede del fascismo e della
Repubblica di Salò. Un partito che mantiene richiami e simboli di quell'esperienza,
nonostante poco convinti e poco convincenti tentativi di distaccarsene. (…). C'è
la celebrazione, (…), della Marcia su Roma, a Roma e a Predappio da parte delle
fasce più estreme di questa destra, senza interventi di polizia contro quello
che nel nostro ordinamento è e resta un reato, l'apologia di fascismo. E
intanto si afferma sempre più, già iniziata da almeno due decenni ma ora
consolidata, una rivalutazione del ventennio di cui si cancellano violenze
squadristiche, perdita della democrazia, confino, leggi speciali, e di cui ci
si limita a deprecare le leggi razziste e l'entrata in guerra a fianco di
Hitler. In fondo, se l'Italia di Mussolini non avesse adottato l'antisemitismo
di Stato e fosse rimasta neutrale, come la Spagna di Franco, il fascismo si
sarebbe forse protratto nel dopoguerra e apparirebbe oggi come un'esperienza
tutto sommato positiva. Ma come si lega tutto questo all'accorata previsione di
Liliana Segre sulla scomparsa della memoria della Shoah, dal momento che non
sembra plausibile né un ritorno alla dittatura fascista né una ripresa
dell'antisemitismo di Stato? In realtà quello che è a rischio, per quanto
riguarda la Shoah, è questa sua memoria. Quello che è possibile non è una sua
reiterazione, almeno in questo nostro contesto, e nemmeno la sua negazione,
come auspicano da sempre i negazionisti, bensì la perdita di senso e di valore
della sua memoria. Perché la memoria della Shoah non è stata solo la
ricostruzione della distruzione degli ebrei d'Europa, dei lager, delle camere a
gas. E nemmeno solo il tentativo di restituire nome e vita ai sommersi,
ricordandone le storie. Tutto questo è stato fondamentale. Ma c'è stato di più:
una grossa parte dell'Europa, almeno quella che ha dato vita all'Unione
Europea, ha individuato nella Shoah una rottura ineliminabile della sua
continuità storica, e l'ha assunta come monito contro il razzismo,
l'antisemitismo, la soppressione delle democrazie. La giornata della Memoria è
l'unica ricorrenza civile ad essere stata adottata da tutti i paesi dell'Ue,
sia pur con modalità e date diverse. Non è un caso, né un fatto marginale, ma
un richiamo preciso a che fenomeni come la Shoah non debbano più ripetersi,
contro nessuno e non soltanto contro gli ebrei. Un impegno a far sì che non
succeda mai più. Sappiamo purtroppo, a partire per l'Europa da Srebrenica, che
è stato solo un monito. Ma questo vuol però dire che la memoria della Shoah,
costruendosi a fatica nei decenni, a partire da quel dopoguerra in cui ancora
non si distingueva dagli orrori della guerra, ha assunto un valore universale
deciso. Tanto universale da aver fatto perfino in qualche momento temere al
mondo ebraico di essere espropriato della sua storia, ma che ha reso la memoria
della Shoah essenziale per tutti indistintamente gli esseri umani. Il mondo in
cui viviamo oggi, con i sovranismi, il razzismo, e soprattutto la terribile
guerra di aggressione della Russia all'Ucraina, è un contesto che non può che
favorire la scomparsa di questo importante valore della memoria della Shoah.
Non improbabili leggi contro la memoria, non le menzogne negazioniste, ma lo
svuotamento del suo significato di monito universale, la sua riduzione a un
evento tragico ma lontano, e tale per di più da riguardare solo gli ebrei, da
mettere in gioco solo l'antisemitismo ma non ogni razzismo. Se ne vedono i
prodromi e sarebbe un altro modo, forse il più carico di conseguenze, di
assassinare la memoria. (…). Perché riallacciarsi ai valori su cui si è
costruita la memoria dell'evento più estremo del secolo scorso, la Shoah, vuol
dire implicitamente respingere l'immagine del mondo che ci viene oggi, in
troppa parte d'Europa, proposta da queste destre. Quella tanto ben sintetizzata
nel motto "Dio, patria e famiglia".
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