“UnVirusChiamatoUomo”. Ha scritto Malcom
Pagani in “Peccato di superbia”
pubblicato sul settimanale “d” del quotidiano “la Repubblica” del 12 di
novembre 2022: (…). I mesi picchiavano con la loro inutilità, tutti uguali tra loro ed
era ormai evidente che a parità di furto legalizzato del bene più prezioso che
abbiamo, il tempo, quel servizio civile senza ratio, senza controllo e senza
scopo somigliasse più a una punizione che a un ozio gaudente. A un certo punto,
qualcuno ci destò dalla noia prendendola alla lontana. Venimmo convocati in una
stanza, io e i miei due compagni d'avventura, per ricevere le prime indicazioni
dal responsabile della Ong. Non si trattava di volantinare o di scrivere uno
straccio di documento, ma di fare qualcosa che l'imbarazzo del nostro
interlocutore non riusciva a rivelare fino in fondo. «Dovreste andare al
cassonetto» disse «ma mi raccomando, non a quello qui sotto, a buttare dei
farmaci che purtroppo sono scaduti». Ci informava dunque che la campagna per
portare i medicinali in Palestina, pubblicizzata per un lungo periodo sui
giornali d'area era miseramente fallita e a noi toccava il lavoro sporco, in
tutti i sensi, a cui non dare risalto né visibilità. Non posso dirlo con
certezza, ma sono abbastanza sicuro che la mia storia con l'idealismo sia
terminata quel giorno. Buttare dei medicinali raccolti per una nobile causa era
di per sé ripugnante, farlo fare a noi, la manovalanza, all'oscuro degli ignari
donatori, era anche peggio. Ma almeno - forse per la prima volta - cresciuti in
una città in cui abbandonare televisori guasti e materassi macilenti vicino
alla spazzatura era, e in certi casi è ancora, la regola, facemmo la nostra
conoscenza con la differenziata. All'epoca del tema green non ci importava
nulla. Avevamo ascoltato distrattamente le preoccupazioni di Roberto Roversi e
Lucio Dalla in un antico disco lamentandoci - ingrati - per la verbosità dei
testi. Consideravamo sostenibilità una parolaccia e i verdi - neanche fossimo
stati i protagonisti di un episodio di Boris, anni dopo - un partito di parolai
ed esibizionisti senza peso né sostanza. Avevamo alzato un poco il
sopracciglio, per conformismo credo e perché ci piaceva la maglietta giallo
canarino di Greenpeace, solo quando Jacques Chirac aveva ripreso a baloccarsi
con il nucleare a Mururoa. A nessuno di noi veniva in mente di separare i
rifiuti, l'umido era un tipo di cottura per pollo e coniglio, nel sacco della
spazzatura tra pile, carta, plastica e bottiglie di vetro finiva qualsiasi cosa
e ci sentivamo in diritto di gettare con voluttà le sigarette in ogni angolo
senza pudore. Ora ci dicono che l'ambiente è in pericolo, che i ghiacciai si
sciolgono, che l'aria è irrespirabile e che il mondo, per come l'abbiamo
conosciuto fino ad oggi, rischia di sparire. Con onestà non possiamo
considerarci innocenti né stupircene. Non possiamo dire che non sapevamo o dare
la colpa ai costruttori di macchine e palazzi. Guardare sempre e solo al nostro
rapido passaggio e considerare eterno solo ciò che coincide con la data della
nostra dipartita è stato un peccato di superbia. Adesso è tardi, diceva il
cantautore che più amo, anche per chiacchierare. Di seguito il racconto
“L’Orso e la fine dell’umanità” di
Viola Ardone, pubblicato sul periodico “Green&Blue” del 10 di novembre
ultimo: Io sono l'orso, orso da sempre. Io abito la Terra da quando la Terra
era una palla di fango e di erbe, e le notti duravano dal tramonto fino
all'alba, e la luna e le stelle erano le sole luci nel cielo, e senza la luna e
le stelle era il buio. Io sono l'orso da quando le cime delle montagne erano
aguzze come denti di tigre e i fiumi erano le uniche strade nel mondo, e il
mondo era pieno di orsi: orsi d'acqua dotati di scaglie e pinne e code
argentate; orsi di cielo coperti di piume e di penne e con becchi dorati; orsi
di terra di ogni forma e dimensione. Quando è arrivato l'orso senza pelliccia,
nessuno in principio gli dato importanza: noi millenari lo guardavamo con la
coda dell'occhio e ridevamo sotto i baffi dandoci di gomito l'uno con l'altro.
Questo si estingue in meno di mille anni, sicuro, ci dicevamo. Debole com'è,
privo di ali, di scaglie e nudo di pelo sarà una delle tante vittime di Natura.
Invece l'orso senza pelliccia è rimasto per molto di più del previsto e si è
chiamato Uomo. Uomo tra tutti gli orsi che sono esistiti da quando esiste il
fango è quello che ha più combattuto contro Natura. Col fuoco, col ferro, col
fumo, facendo fare a Natura secondo i suoi gusti: girandole il corso dei fiumi,
bucando la pancia delle montagne, prendendole frutti e animali, mischiandole
l'aria coi gas. Uomo ci ha sempre fatto una specie di pena, a noi orsi col
pelo, ma forse la sua forza è stata proprio questa sua debolezza, si è fatto
più accorto e ha imparato meglio degli altri e più in fretta a sfidare Natura.
Uomo ha più freddo e più caldo degli altri, la sua pelle sottile si irrita col
sole e la neve. Deve fare una serie di sforzi infiniti per rimanere vivo. Orso
no. A orso basta mangiare bere dormire vagare. Morire. Uomo non vuole morire,
per lui è punizione divina. Uomo non conosce letargo, raramente riposa la
testa, poche ore il corpo soltanto. Uomo non conosce stagioni: d'estate vuole
il freddo e d'inverno il caldo, e ha inventato le macchine ad aria pungente per
il freddo ed il caldo, Tutta una vita a combattere perché manca di pelo e di
piume e di scaglie. È questa sua disgrazia che lo ha reso cattivo. Un tempo
orsi con pelo e orsi senza pelo vivevano distinti e separati. Uomo infatti
aveva disposto le sue case vicine tra loro e le aveva chiamate città. Gli orsi
avevano i boschi, i fiumi e la montagna, il freddo e il buio, da sempre. Poi
anche questo è cambiato: qualcosa creato da uomo ha fatto scappare via il
freddo, ha smontato gli alberi dalle foreste, allagato la notte di luce,
asciugato i fiumi e fatto morire le piante. È stato lui, di sicuro, perché è
l'unico da quando la terra era una palla di fango e di erba a lottare contro
Natura. Così noi orsi siamo arrivati in città. I primi si erano persi. Senza
più orientamento del caldo e del freddo avevano smarrito la strada del cibo e
la luce delle stelle, e si erano trovati con le zampe sul duro rovente della
strada dell'uomo. Avevano trovato cibo facile e vita comoda e si erano fatti
confidenti. È stato un errore: Uomo scambia la confidenza per docilità. In
principio erano stati cacciati da Uomo, perché avevano grosse unghie e postura
eretta, proprio come lui. Ma col tempo ci hanno proposto il solito patto:
quello che per millenni hanno offerto ad altri prima di noi. Tutti quelli che
si sono fatti addomesticare sono diventati loro schiavi. Chi lavora con uomo
finisce spennato, macinato, messo allo spiedo, costretto a lavorare fino allo
sfinimento o a fare da compagnia in uno spazio piccolo, con una ciotola per
l'acqua e una per il cibo, al posto della libertà. Orso non voleva diventare
domestico ma i boschi erano diventati troppo caldi, il cibo poco, i fiumi e i
laghi in secca. Non c'era più differenza tra la stagione del caldo e quella del
freddo. Nei mesi del letargo vagavamo in preda all'insonnia, con le zampe
ciondoloni lungo il corpo senza sapere cosa farcene di quel tempo così lungo e
vuoto, e ci chiedevamo l'uno con l'altro dove fosse finito l'inverno. Non
ridevamo più sotto i baffi tra noi. Io sono l'orso, orso da sempre. E lo so che
il tempo dura più delle specie. Sapevamo fin dall'inizio che gli orsi senza
pelliccia erano destinati a sparire e ci hanno sorpreso perché sono restati fin
troppo. Alla fine è stata la loro stessa battaglia contro Natura, che li aveva
salvati per millenni, a portarli ad estinguersi rapidamente. Perché Natura
perdona ma non dimentica, è un fatto di carattere. Quando il clima è cambiato
per loro non c'è stato più posto. Per noi è stato diverso, avevamo ancora
unghie forti, pelliccia folta e denti aguzzi, e quando la terra è diventata una
palla di fango rovente abbiamo aspettato e resistito, resistito e aspettato. È
una vita che ci alleniamo al letargo. Gli orsi senza pelliccia invece non sanno
fermarsi né tornare indietro per tempo. Sanno leggere i libri ma non gli
avvertimenti di Natura. Per questo all'inizio non hanno capito e poi è stato
davvero troppo tardi e loro non sapevano di essere così deboli, l'avevano
dimenticato che tra tutte le specie erano quella meno adatta a sopravvivere,
così delicati, senza piume e squame e peli. E senza memoria. Quasi nessuno di
loro aveva previsto quello che sarebbe successo, e quei pochi non erano stati
creduti. Forse immaginavano che ci sarebbe voluto più tempo: i ghiacciai per
sciogliersi, i campi per inaridirsi, i boschi per bruciare, i laghi e i fiumi
per andare in secca. Non conoscevano i tempi di Natura: a volte ci impiega
millenni, altre le basta scrollare un po' il dorso nodoso per mandare a gambe
all'aria una specie e far posto a un'altra, come una mucca indolente che si
toglie di dosso un insetto noioso. Basta un colpo di tosse di Natura e ogni
dinosauro si scopre formica. Quando tutto è finito, noi orsi ce ne siamo
tornati nei boschi. Abbiamo lasciato le loro città e permesso alle erbe di
mangiarsi di nuovo le strade. C'è voluto del tempo perché sui monti tornasse la
neve e le piogge di nuovo riempissero i fiumi. Ogni tanto ci capita ancora di
pensare a Uomo: peccato, ci diciamo allargando le zampe con rassegnazione, non
erano tutti malvagi, soprattutto i loro cuccioli, e poi si dormiva bene nelle
loro tane di pietra, e per andare a caccia bastava entrare in un market. È un
modo di vivere anche quello, chi dice di no, ma sono andati oltre il limite,
Natura non li ha perdonati. È un fatto di carattere. Tre fiocchi di neve mi si
posano sulla pelliccia, il cuore rallenta il suo ritmo, tra poco si dorme. Non
sai che silenzio, la notte.
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