Ha scritto Michele Serra in “Né buona politica né buoni politici” pubblicato sull’ultimo numero
del settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 29 di luglio: (…):
il fatto che le sorti del Paese siano legate a una sola persona non è una buona
notizia, anzi è una pessima notizia. Credo - e l'ho scritto - che il tentativo Mattarella-Draghi
sia stato generoso e anche utile, ma fondato su basi fragili e forse illusorie:
alto profilo, spirito repubblicano, dunque la chiamata a raccolta di una classe
dirigente degna della sfida. Beh, non c'è. Non ne disponiamo. La sedicente Seconda
Repubblica non ha generato buona politica né buoni politici, tanto che il
continuo ricorso a governi tecnici, o di salute pubblica, comunque calati
dall'alto, è stato spesso il risultato di una impotenza parlamentare evidente.
A poco vale lamentare l'arbitrio dei "poteri forti", o più banalmente
l'autorevolezza del Colle: ogni volta che la politica è stata commissariata, è
accaduto perché non era più in grado di governare il Paese. Ora si va a votare
e che Dio ce la mandi buona. Detto da un ateo, più che un augurio è un segnale
di disperazione... E sull’incombente tornata elettorale del 25 di
settembre prossimo una riflessione “canicolare” tratta da “Elezioni sotto l’ombrellone un decalogo per sopravvivere tra bermuda e
Miss Pareo” di Stefano Massini, pubblicata sul quotidiano “la Repubblica”
del 29 di luglio 2022: (…). Se agosto è il mese delle ferie, quello
in cui amiamo percepire come una cappa di torpore, da siesta messicana, che
scende sulle città sospendendone i rumori e rimandandone i quotidiani duelli,
come si concilierà tutto questo con gli strali della contesa elettorale, con i
suoi colpi incrociati, ma soprattutto con l'urgenza dell'ascolto, impossibile
nel caos? Temo che l'unico metodo per penetrare la coltre della generale
distrazione balneare sarà, per assurdo, accordare la campagna elettorale sullo
stile della chiacchiera fra sdraio, riducendo il tutto ai minimi termini,
prestandosi a dibattiti da bagnasciuga, intonando frasi fatte purché siano
orecchiabili come il tormentone su Spotify, ma soprattutto azzerando le
criticità, memori che nessuno vuol inquinarsi le sacre vacanze con i presagi
del rientro. Quasi tre secoli sono passati da quando Goldoni immortalava le
villeggiature nostrane nel suo capolavoro, ma identica è rimasta quell'illusione
di un tempo altrove, in cui simularsi diversi, in cui giocare, in cui chiudere
la normalità fra parentesi, regalandosi ad ogni costo un'evasione. Ecco, il più
alto rischio è che l'evasione si traduca in mantra, con una campagna elettorale
che nel tripudio di bermuda e tanga perderà ogni residuo di argomentazione,
ogni contatto con il reale, e piuttosto che definire impegni e soluzioni, si
tramuterà volentieri nel concorso di Mister Simpatia e Miss Pareo. (…). 1)
Quali sono le urgenze del Paese. Direte che come inizio sembra una domanda fin
troppo generica. E invece no, non lo è affatto. Anzi, è più che mai concreta,
perché stiamo per ricevere la manna dal cielo (pardon, da Bruxelles) dei fondi
PNRR, programmati per giungere entro tre anni, e comunque da spendere non oltre
il 2026. Significa che chiunque vincerà le elezioni si troverà a ricevere e
gestire un fiume di denaro, tale da mutare del tutto il profilo dell'Italia. La
posta in palio, dunque, è altissima. Ma dove abbiamo bisogno di investire?
Scuole? Energia? Sanità? Infrastrutture? Oppure in sicurezza? Spese militari?
Rafforzamento delle frontiere? Si chiama dibattito. O almeno dovrebbe. 2) Cosa
fare in Ucraina. Ai confini dell'Europa c'è in corso una guerra (sia detto nel
caso in cui l'Ucraina fosse già retrocessa fra le ex notizie a cui ci siamo
assuefatti). Mai finora era successo che la pace nel Vecchio Continente
diventasse un bene a rischio, ed è evidente che i partiti italiani hanno
posizioni e punti di vista divergenti sullo stesso coinvolgimento oltre che sui
livelli di adesione al fronte anti-Putin. Certo, parlare di guerra e di bombe
non sarà garanzia di ameno relax mentre prendi il sole, ma in vista del voto
ignorare il problema è pericoloso se non devastante. 3) Se il virus ricompare. Velocissimi
ad archiviare, siamo stati lieti ben lieti di collocare il Covid fra i capitoli
chiusi e sigillati. Peccato solo che la biologia non assecondi sempre l'umano
percepire, e si ostini a combattere la sua lotta per la sopravvivenza,
simmetrica alla nostra. Normale dunque che nel valzer delle varianti ci sia
spazio per ennesime ondate e nuovi appelli al vaccino. Quali sono le posizioni
di chi si candida a governare? Gli Usa e il Regno Unito hanno scelto di
ignorare il virus, la Cina persegue ancora la strategia dura dei lockdown: noi
come ci poniamo? Potremo anche far finta di nulla, ma ciò non toglie che nel
frattempo il virus si vada riorganizzando, del tutto indifferente su chi
siederà al dicastero della Salute. 4) L'ambiente è un tuo problema. C'era una
volta un tempo in cui potevamo illuderci che l'ecologia fosse solo appannaggio
degli ecologisti. Erano bei tempi, quando ancora credevamo che batterci per
l'ambiente fosse un hobby carino cui dedicare cortei domenicali e scampagnate
nel verde. Nel 2022 tutto è mutato: il caldo estivo si è mutato in un
microonde, i fiumi si prosciugano, zone intere si desertificano, mentre i
tornado sono ormai ospiti consueti anche alle nostre latitudini. Cosa fare?
Adottare politiche di emergenza sembra vitale, ma ci sono punti di vista
diversi se non addirittura minimizzazioni. Chi vuol governare è tenuto a dirci
se sarà nemico o complice della catastrofe già in atto. 5) Lavorare è ancora un
diritto. Dopo la pandemia che ha bloccato, mutato e ridefinito i perimetri del
mondo del lavoro, assistiamo a un Far West senza precedenti in cui la giungla
del precariato si è popolata di piante carnivore e centinaia ci rimettono la
vita. Il mondo del lavoro è sempre meno una comunità e sempre più un rodeo, le
garanzie e i diritti si trasformano in lussi, e le diseguaglianze si
moltiplicano. A chi spetta tutto questo se non a chi vuol governare? Quale è la
rotta che immaginano? La libertà a tutti i costi o regole per proibire che sul
posto di lavoro si vada magari a morire? 6) Italia è femminile singolare. Per
la prima volta ci troveremo con una candidata premier donna, per il partito che
rappresenta le istanze dell'estrema destra. Si ripete insomma il copione
francese, con Marine LePen che annunciava "sono la prima donna a poter
salire all'Eliseo". Fermo restando il ritardo del centrosinistra (che
adesso diviene imbarazzo a cui dare risposte chiare, riequilibrando la
contesa), sarebbe interessante che ogni candidato si esprimesse su molti temi
inerenti l'asimmetria uomo-donna, a partire dal femminicidio fino al fatto che
la grande maggioranza dei posti di lavoro saltati con il Covid era di donne (e
chi invece ha salvato il posto, è pagato comunque meno di uomo a parità di
funzione). Ne parliamo? 7) Chi sono gli italiani. Nella vita, si dice, è sempre
saggio tenere il passo del tuo tempo che cambia. Non è così diverso per un
paese. L'Italia oggi è una comunità che nasce più che mai (lo è in realtà da
secoli) dall'incontro fra culture e provenienze, tali da creare un'idea
completamente nuova di identità. La politica tuttavia è rimasta ferma,
cristallizzata in uno ieri anacronistico e antistorico, lontano dall'evidenza
di ciò che vive e freme intorno a noi. Chi si candida come si pone davanti a
questa chiara trasformazione? Arroccandosi ancora sui recinti dei trisavoli o
accettando la revisione dei diritti, da quelli di cittadinanza alle tutele
contro le violenze omofobe e le discriminazioni di genere? 8) Dopo il 25
settembre tutti liberi. Chiamare le cose con il loro nome evita ipocrisie: la
legge elettorale a impianto proporzionale permette che ognuno lotti per
accaparrarsi i voti col proprio simbolo, ben sapendo che poi in Parlamento sarà
un'altra storia. L'ultima legislatura non per nulla si aprì con un governo fra
M5S e Lega, poi ribaltato in una maggioranza giallorossa e infine in un
(quasi)tutti-dentro. Forse a questo giro avremmo diritto di anticipare la
sorpresa, ponendo finora la domanda su cosa ci aspetta davvero. E sottolineo:
davvero. 9) Chi in quale ruolo. Curiosa contraddizione è quella per cui mentre
la politica si faceva sempre più fenomenologia del leader e apoteosi del
personaggio, viceversa le campagne elettorali sceglievano la reticenza sui nomi
di chi si occuperà di cosa. Come dire: votami, ma a carte coperte. Stavolta, memori
delle bizzarrie precedenti, gradiremmo però procedere con un metodo diverso,
ovvero conoscendo nomi e cognomi. Chi portereste ministro degli Interni? Chi si
occuperebbe di Sanità? Chi di Affari Esteri? E non ultimo: qualora se ne desse
il caso, chi votereste al Quirinale, visto e considerato che centinaia di
grandi elettori stavano per confluire su Berlusconi Silvio? 10) Dove sta la via
d'uscita. Nella loro spietata oggettività, i numeri ci parlano di un paese che
non fa più figli, effetto di un clima che credo percepiamo tutti da molto
tempo: abbiamo perso fiducia, entusiasmo, abbiamo smarrito quella sete di
futuro che fa accettare un rischio e lo rende anzi vitale. Terrorismi, uragani,
guerre e cataclismi economici hanno fatto il resto, condannandoci al loop di un
eterno presente in cui è già un trionfo sopravvivere, figuriamoci vivere. Ecco,
la politica dovrebbe occuparsi in teoria proprio di questo, di concepire,
attuare e indicare una nuova speranza. Anche di questo è lecito chiedere. Anzi:
soprattutto.
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