Scriveva Michele Serra l’11 di
dicembre dell’anno 2013 sul quotidiano “la Repubblica”: “Ceto medio impoverito”: è in
quel magma di dolore e risentimento che si giocano i destini del Paese. Fa
paura, quel magma, nel quale nuotano come pesci ultras di calcio e fascisti
(termini spesso sinonimi), e nel quale si fanno le ossa capi e capetti poco
cristallini. Faceva sorridere, in un tigì, questa dichiarazione del capo dei
Forconi siculi: “Potrei dire che ci daremo fuoco a migliaia davanti alle
Prefetture, ma potrei anche dire che vogliamo ragionare sul da farsi”. Anche i
rivoltosi, in Italia, hanno qualcosa di democristiano. Il vero problema è che
quando non ci si sente più rappresentati (dal sindacato, dai partiti) l’animo
si avvelena. Aumenta il panico, aumenta la rabbia. E la coperta della
rappresentanza politica, in Italia, è sempre più corta. Sinistra e sindacati
hanno moltissime domande da farsi, in proposito. La prima è: da quanti anni non
siamo più capaci di dare voce ai nuovi ultimi della nostra società, che sono i
precari, i disoccupati, gli esodati, i piccolissimi imprenditori? La seconda
domanda è: come mai, pur sapendolo, non siamo ancora riusciti a fare, a dire, a
pensare niente di nuovo e di utile, sul fronte delle povertà non rappresentate,
dunque difese da nessuno, e in balia del primo demagogo o fanatico di
passaggio? Tanto per dire in vista della competizione elettorale del 25
di settembre prossimo. Di seguito, “quellichelasinistra” se la sono divorata avidamente, tratto da “La lenta fine della sinistra” del sociologo Domenico De Masi
pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, venerdì 29 di luglio 2022: Nel
1948, alle prime elezioni del dopoguerra, la sinistra era rappresentata da tre
partiti (comunista, socialista e socialdemocratico); la destra (liberali,
monarchici e neofascisti) era pressoché inesistente. Alle prossime elezioni, la
situazione è rovesciata: questa volta inesistente è la sinistra mentre la
destra è rappresentata da tre partiti. (…). Cosa è successo in questi 74 anni?
I partiti di sinistra sono il riferimento politico delle classi disagiate. Non
esistono più queste classi? Tutt’altro. Politiche economiche, pandemia e guerra
legittimano l’ipotesi che nel prossimo autunno almeno 12 milioni di italiani
vivranno in condizioni penose. A essi vanno aggiunte le centinaia di migliaia
di stranieri, clandestini e non, che subiscono uno sfruttamento sistematico. Ma
la questione non riguarda solo i poveri. Anche molti giovani e meno giovani che
superano la soglia della povertà vivono in uno stato di precarietà perenne,
imposta dalla politica economica neo-liberista che della precarietà e del
rischio diffusi ha fatto i suoi principi fondamentali. (…). I partiti di
sinistra hanno intercettato solo in parte questa massa crescente di precari:
nell’estate del 2019 i sondaggi davano il Pd e la Sinistra al 24,4% delle
dichiarazioni di voto; dopo 31 mesi, il 25 luglio scorso, i tre partiti sono
saliti al 29% ma con l’aggiunta dei Verdi. Se all’aumento degli emarginati non
corrisponde un parallelo aumento delle adesioni ai partiti di sinistra, c’è
qualcosa che non funziona nei loro paradigmi e nelle loro macchine
organizzative. Negli ultimi decenni del secolo scorso, gli intellettuali discussero
molto sulla validità delle due categorie “destra” e “sinistra”. Per alcuni (ad
esempio Massimo Cacciari) esse erano ormai destituite di significato teorico e
di utilità operativa. Per altri (ad esempio Norberto Bobbio e Marco Revelli)
esse restavano valide e il carattere distintivo della sinistra consisteva
nell’egualitarismo. (…). In sintesi si può dire che oggi la contrapposizione
frontale è tra neoliberismo, che si risolve fatalmente in aumento delle
disuguaglianze, e socialdemocrazia che le riduce. La distinzione è netta e
chiara, ma nell’ultimo mezzo secolo i leader di sinistra hanno fatto a gara per
disorientare i cittadini. Si pensi, ad esempio, agli esperimenti di “terze vie”
alla Tony Blair. Ma in Italia il disorientamento è iniziato subito dopo la
morte di Enrico Berlinguer, quando le sinistre caddero in un insano
innamoramento per il neoliberismo considerato come salvifica modernizzazione.
Se si pensa che, negli anni 90, quando Mario Draghi fu Direttore generale del
Tesoro e presidente della Commissione per le privatizzazioni, la furia
privatizzatrice contro le industrie di Stato e il settore pubblico non fu
sferrata da leader neoliberisti come Berlusconi o Dini, ma da socialisti e
comunisti come Amato, Bersani e D’Alema, ci si rende conto del disorientamento
in cui è stato via via trascinato il popolo di sinistra. Il capolavoro
perverso, allora compiuto sotto l’accorta regia di Draghi, negli anni
successivi si è ripetuto più volte, sotto altre regie meno raffinate. Si pensi
all’articolo 18 abolito non da Berlusconi, leader di Forza Italia, ma da Renzi,
leader del Pd. E si pensi, da ultimo, allo stesso Pd che, per fare fede alla
sua natura di sinistra, dovrebbe esibire con orgoglio un programma
socialdemocratico e che invece fa sua l’agenda di un liberista come Draghi,
dopo essere stato il massimo sostenitore del suo governo. Il compimento del
capolavoro disorientante si compie con disinvoltura in questi giorni in cui la
sacrosanta lotta alla Meloni offre l’alibi per imbarcare nel Pd neoliberisti
d’ogni tipo che vanno ad aggiungersi ai neoliberisti già da tempo sistemati al
suo interno. Ciò comporta che, se anche si vincesse la battaglia contro le
destre, subito dopo per le classi disagiate inizierebbe comunque il supplizio
dell’ulteriore impoverimento, dovuto a un governo apparentemente di
centro-sinistra ma in realtà neoliberista. A questo punto la situazione è
pressoché disperata. Per affrontare “da sinistra” e in modo non deprimente le
prossime elezioni occorrerebbe che si verificassero condizioni al limite
dell’impossibile: che il Movimento 5 Stelle si posizionasse decisamente a
sinistra con un adeguato programma e una sicura coscienza; che formazioni come
Sinistra italiana, come la Fondazione Carlo Rosselli, come il gruppo “Prima le
persone” e come tutti gli altri innumerevoli gruppi e gruppuscoli orfani della
sinistra, in cui sono rintanati molti intellettuali di prima qualità, si
aggregassero almeno per un’alleanza tecnica, senza reciproci veti, in modo da
sconfiggere le destre nei collegi maggioritari. Mal che vada, si avvierebbe
così la lunga marcia verso le elezioni del 2027.
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