Ha scritto Michele Serra oggi, giovedì 22 di luglio
2022, in “Tornati alla realtà” sul
quotidiano “la Repubblica” che “(…) non siamo un Paese di alto profilo e
dunque non abbiamo un Parlamento di alto profilo: chiederlo equivale a pretendere
dai parlamentari un salto di qualità che non è alla loro e alla nostra portata.
Dico anche "nostra" perché la diffusa ciancia sul Palazzo indegno è
consolatoria. Il Palazzo è espressione del Paese, così che potremmo rovesciare
il celebre slogan dell'Espresso scalfariano: "Nazione infetta, capitale
corrotta". Il basso profilo della nostra rappresentanza politica, con
poche e consolanti eccezioni, è conclamato. (…). Metà del Parlamento (metà
degli italiani) la Repubblica non sa nemmeno che cosa sia, e se lo sa la odia e
ne desidera la fine. Il Salvini è il primo portavoce di questa eversione torva
e menefreghista, ma certo non l'unico. (…). …la politica, povera lei, è anche
un attento rendiconto delle miserie che la innervano. (…)”. Vien da chiedermi: perché “tornati”? Ovvero, “tornati”
da dove? Da un Eldorado mai esistito? Il disastro della “politica” nel
bel paese è roba vecchia, vecchissima, diversamente etichettata nel tempo, e
per la quale “malapolitica” (uno dei tanti attributi affibbiatile) dilagante deve
pur esserci una spiegazione, un’analisi seria, con la scoperta generosa ed onesta,
ma certamente terribile, che essa sia tornata di comodo ai più, a quei più che
in fondo sono i tantissimi che con essa tirano a campare o ad arricchirsi e sia
tornata comoda anche agli indifferenti che non sono pochi nel bel paese, come il
pensiero di Antonio Gramsci continua implacabilmente a ricordare. Vien da
chiedermi ancora: si chiede il Serra ove le generazioni che sono venute dopo il
tempo Suo e mio possano esercitarsi ad una diversa politica che non sia
strettamente legata al “particolare” personale o strettamente di gruppo di ciascuno
di noi? Apprezzo molto lo scrivere Suo ma nell’occasione è come se Michele
Serra avesse scelto di far parte di quelle “élite servili” delle quali ne ha
scritto Barbara Spinelli in “Gli appelli
a Draghi e il populismo delle élite servili” pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” di oggi e che di seguito riporto quasi integralmente: (…):
“Sono qui, in quest’aula, solo perché gli italiani lo hanno chiesto. Questa
risposta a queste domande non la dovete dare a me, ma la dovete dare a tutti
gli italiani”. Parlamento e partiti servono per la fiducia ma le loro esigenze
sono svilite, sia quelle dei 5 Stelle sia quelle della Lega. I molti appelli
(sindaci, accademici, imprenditori) che hanno implorato il presidente del
Consiglio di non andarsene si sostituiscono nella mente di Draghi al suffragio
universale, ai sondaggi, perfino al voto delle Camere. Il rapporto di fiducia
Draghi ha immaginato di poterlo stringere direttamente col quello che ritiene
essere il popolo italiano nella sua interezza, come fanno i capi di Stato nelle
monarchie repubblicane. Alcuni parlano di populismo delle élite. Sembra un
ossimoro ma non lo è. Il populismo delle élite ripete da anni che la politica è
un disastro e il suffragio universale un azzardo pericoloso. La scommessa sugli
omaggi di sindaci e imprenditori è stata contrassegnata da dismisura ed è
naufragata. Quel che più colpisce, negli appelli pro-Draghi, è la totale
indifferenza alle richieste avanzate da Giuseppe Conte in nome del Movimento 5
Stelle. Erano richieste che avevano un filo conduttore: la questione sociale e
la riconversione ecologica. Erano domande essenziali che esigevano risposte
concrete e non i dinieghi rabbiosi offerti ieri dal presidente del Consiglio
(su Reddito di cittadinanza, Superbonus, salario minimo, precarietà). Spesso
sono domande e critiche espresse anche dall’Ue, come l’introduzione del salario
minimo, le politiche contro la precarietà e la povertà, la riforma della
giustizia che introduce l’improcedibilità dei processi e che secondo il procuratore
Gratteri “risponde agli auspici del papello di Riina”. Ma chi ha firmato gli
appelli non ha contemplato neppure da lontano la necessità di risposte chiare
di Draghi sui drammi sociali menzionati da Conte: non era questo che
domandavano, ma un regolamento dei conti che frantumasse e togliesse di mezzo i
destabilizzatori che fanno capo a Conte. Nel mirino di Draghi non c’era solo il
M5S: tutti i partiti che si preoccupano dei propri elettori sono stati oggetto
di biasimo da parte dell’effimero monarca di Palazzo Chigi, a cominciare da
Lega e Forza Italia che avevano puntato su una coalizione completamente nuova,
senza 5 Stelle. Sotto tiro sono la dialettica democratica e i partiti in quanto
tali che ancora una volta – come quando Conte fu silurato, o Mattarella
rieletto presidente – vengono giudicati rovinosi, soprattutto quando vogliono
esistere. Stiamo per perdere il tecnico mondialmente più rinomato, piangevano
gli appelli e gran parte della stampa, e il buio era alle porte. Il colmo lo ha
raggiunto Antonio Scurati, in una lettera a Draghi sul Corriere del 17 luglio:
lo scrittore gli ha chiesto di “umiliarsi”, e di “scendere a patti con la
misera morale che spesso, troppo spesso, accompagna la condizione umana dei
politicanti”. Gli ha chiesto di scendere dalle “vette inarrivabili” della
“vertiginosa responsabilità” esercitata in passato e di “battersi nelle fosse
della politica politicante dove il combattimento è quasi sempre brutale, rozzo,
sleale e meschino”. La diagnosi conclusiva: Draghi è “spinto alle dimissioni da
un accanito torneo di aspirazioni miserabili, da sudicie congiure di palazzo,
da calcoli meschini, irresponsabili e spregiudicati di uomini che, presi
singolarmente, non valgono un’unghia della Sua mano sinistra”. Nessun altro appello
ha raggiunto tali vette di impudenza, ma tutti chiedono fra le righe l’uomo
forte che – nelle crisi multiple che viviamo – sgomini la fossa dei dissensi e
delle obiezioni. Forse l’eguaglia solo l’appello del vicepremier ucraino Iryna
Vereshchuk: “Con leader come Mario Draghi vinceremo questa guerra che si
consuma non in Ucraina ma nel continente europeo”. Con l’eccezione di alcuni
rappresentanti del Pd, e di politici come Bersani, il partito di Letta e gran
parte della stampa hanno condiviso questa strategia di occultamento della
questione sociale-ecologica e della battaglia contro ulteriori invii di armi all’Ucraina,
che sono al centro delle richieste di Conte. Confermano quello che i più
avveduti sanno: il Pd non è più sinistra, ma ex-sinistra. La sinistra è un
campo disabitato che Conte potrebbe occupare, se non fosse una formazione
gravemente frantumata e se si fosse staccata prima dal governo. L’elenco di
quel che potrebbe accadere dopo Draghi è copioso e inaudito, secondo gli
appelli: sfracello del Piano di ripresa e resilienza innanzitutto (i motivi non
sono mai indicati), caos e allarme dei mercati, inflazione e prezzi
dell’energia alle stelle (verrebbe meno il tetto ai prezzi energetici chiesto
dal governo, non approvato dall’Ue) e non per ultimo, disallineamento
dell’Italia dall’Unione europea e dalla Nato. Anche qui abbondano calunnie e
disinformazioni. Conte avrebbe il sostegno di Putin, che manovra per
destabilizzarci. Nessuna risposta viene data alla domanda centrale di Conte:
“La nostra partecipazione a questi consessi (Nato-Ue) si inscrive nella logica
esclusiva di uno ‘stare allineati’, oppure c’è la determinazione a rendere
l’Italia protagonista, insieme agli alleati, di una linea geopolitica che
impedisca una insanabile frattura, con un mondo diviso in due blocchi: da un
lato i Paesi occidentali, dall’altro lato il resto del mondo?”. È una domanda
legittima, se si considera che Draghi è sempre accostato a Parigi e Berlino,
nonostante il suo abissale silenzio sulle riserve e preoccupazioni di Macron e
Scholz. La “sudicia congiura” denunciata da Scurati non era dunque contro
Draghi, ma contro Conte. Ha finito col mandare in rovina anche il consenso del
centrodestra, e ora mette in forse il campo progressista fra Pd e 5Stelle,
Articolo 1, Leu. A Letta rimangono per ora Renzi e Calenda, come alleati
sicuri. Anche i suoi calcoli, elaborati assieme a Draghi, sembrano sfociare in
disastro.
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