“StoriedellaResistenza”. Da “Il partigiano Jacon dalle Madonie a Biella
morto per non tradire” di Chiara Sgreccia pubblicato sul settimanale “L’Espresso”
del 10 di luglio 2022: Capiva il bielèis a stento quando si unì alla
Resistenza. Eppure, per Jacon il distaccamento
garibaldino Zoppis diventò subito una famiglia. E scelse di morire pur di non
abbandonare i compagni. «Salvarmi vuol dire dannarmi», disse al comandante del
contingente fascista, suo compaesano, addetto alla sorveglianza dei 33
partigiani catturati mentre riposavano in una cascina tra le colline del
Monferrato, in Piemonte, stremati da giorni di cammino con i fucili in spalla e
i fazzoletti rossi al collo. «Ho deciso di non tradire. Io sono del Sud, sono
della Sicilia e quando noi diamo una parola è quella». Giovanni Ortoleva, Jacon
il nome di battaglia da quando prese parte alla lotta per la Liberazione
dell'Italia dal nazifascismo, era l'unico meridionale tra i partigiani
ammazzati a Salussola all'alba del 9 marzo 1945, poche settimane prima della
fine della Seconda guerra mondiale, mentre l’armata tedesca si ritirava dal
Nord protetta dagli irriducibili di Salò. Arrivava da Isnello, un piccolo
comune vicino Palermo, tra le montagne delle Madonie, che lasciò quando
Mussolini portò l'Italia in guerra. Quarto di sette figli, due maschi e cinque
femmine, è un ragazzo come tanti finché la morte improvvisa del padre non lo
costringe, ancora adolescente, a diventare il capofamiglia. A febbraio del 1942
Jacon, neanche ventunenne, dice addio alla sua terra ed entra a far parte del
117° reggimento di artiglieria, fino all’Armistizio, firmato nella frazione
siracusana di Cassibile. Quando l'Italia si arrende incondizionatamente agli
Alleati, l'esercito è allo sbando. Migliaia di giovani in divisa sono senza
patria, né ragioni per cui combattere. I tedeschi, amici fino a poco prima,
sono diventati avversari da cui scappare per evitare i campi di prigionia. Tra
i soldati senza più un comando, in cerca di un rifugio, c'è anche Jacon che in
fuga dal sud della Francia si dirige verso la pianura piemontese. Per 10 mesi
rimane nascosto nelle campagne di Crevalcore, protetto da una famiglia che
saluta con amarezza quando i rastrellamenti dei tedeschi si fanno troppo
vicini. A giugno o luglio del 1944 - i documenti g sono imprecisi a
testimonianza degli anni frenetici e dolorosi della storia d'Italia - passa al
distaccamento garibaldino Zoppis, 109° brigata Tellaroli, della XII° divisione
d'assalto Nedo che si chiamava così in ricordo del comandante "Nedo",
Pietro Pajetta, morto in uno scontro a fuoco con i fascisti, il cui corpo è
rimasto per giorni abbandonato sulla neve. Dopo l'8 settembre per tanti giovani
italiani unirsi alla Resistenza è una necessità. Resa ancora più urgente dalla
chiamata alle armi indetta dalla Repubblica di Salò. La morte, invece, per
Jacon arriva come l'unica conseguenza possibile di una scelta consapevole e
dignitosa, per rispondere alla ferocia fascista, pur di non arrendersi al
nemico, per non tradire i compagni: ventuno dei trentatré partigiani del
distaccamento Zoppis, fucilati dai militari del 155° battaglione Montebello,
martoriati e poi abbandonati vicino alla piazza principale del paese nei pressi
del torrente Elvo, senza nessuna pietà. Come ha raccontato per 50 anni
"Pittore", Sergio Canuto Rosa, l'unico partigiano sopravvissuto all’eccidio
di Salussola, «Jacon è stato il primo a essere portato via». Tra lui e il comandante
del contingente addetto alla sorveglianza, che proveniva da Isnello, ci sono
molti colloqui. Dopo l'ultimo, il partigiano siciliano dice ai compagni che
potrebbe salvarsi se accettasse di passare dalla parte dei fascisti. Ma non lo
fa. «Lo guardammo sbalorditi e perplessi, nessuno parlò, nemmeno il commissario
di distaccamento: sapevamo tutti che avrebbe potuto essere una scelta tra la
vita e la morte. Ci guardava ad uno ad uno come se si aspettasse una parola, un
consiglio, poi ruppe il silenzio con voce che tradiva il pianto mentre accarezzava
le mostrine partigiane: "Non posso, questa è la mia divisa e i miei
compagni siete voi, siete i miei amici, qualunque sia la nostra sorte, io sarò
al vostro fianco". La scelta era fatta, ci stringemmo attorno a lui
commossi: eravamo fieri di quel nostro compagno che, lontano dalla sua terra e
dalla sua famiglia, non aveva tradito». Così riferì "Pittore", ancora
stordito dal terrore e dalle percosse, quando raggiunse, dopo una lunga fuga,
il comando dei partigiani della quinta divisione Garibaldi, a Sala Biellese,
secondo la versione della staffetta partigiana e scrittrice Cesarina Bracco. Così
riporta il giornalista siciliano Antonio Ortoleva, autore del libro "Non
posso salvarmi da solo", edito da Navarra, che ricostruisce la storia di
Jacon e dei suoi compagni. Partigiano per caso, eroe civile per scelta», spiega
Ortoleva: Jacon diventa un simbolo di Resistenza per la forza morale che tira
fuori nel modo più semplice possibile. «Come conseguenza di una scelta umana di
un ragazzo poco più che ventenne che non aveva neanche la quinta elementare e
nessun background politico-culturale, si tratta di una scelta che ha a che fare
con la carne». Ma anche perché è la testimonianza che la lotta per la
Liberazione dell'Italia è stata una faccenda nazionale. In Piemonte, che fu il
vero cuore della Resistenza, soprattutto nelle valli, sono stati censiti
settemila partigiani provenienti dalle sei regioni meridionali sui 40 mila in
azione nelle 50 divisioni sul territorio, senza contare i figli nati al Nord
delle numerose famiglie di emigrati. L’apporto che il Sud ha dato al movimento
partigiano è stato ben più di un contributo. È stata vera e propria
partecipazione. L'hanno chiarito anche l'Anpi, l’Associazione nazionale
partigiani di Italia, e il suo presidente emerito, appena scomparso, Carlo
Smuraglia che ha scritto: «Molti pensano che la Sicilia sia estranea alla Resistenza
e la apprezzano più per le sue bellezze storiche e ambientali ... È un grave
errore, frutto di scarsa conoscenza storica e di antichi pregiudizi. È un grave
errore che tutti dobbiamo contribuire a correggere, anche sul piano politico,
culturale e storico». Terra martire del'43, la Sicilia è stata la regione con
più vittime civili fino all'armistizio, dell'8 settembre. Oltre ottomila senza
contare i feriti, i dispersi e i mutilati, secondo l'Istat. Perché le truppe
inglesi e americane prima dello sbarco hanno seminato il panico tra la
popolazione con lo scopo di fiaccare la fiducia nel governo mussoliniano. Ma è
stata anche una terra in cui la ribellione è scoppiata prima del tempo, come
avvenne a Mascalucia nell'agosto del 1943 quando, ancor prima delle quattro
giornate che portarono alla liberazione di Napoli, gli abitanti del paese alle
pendici dell'Etna hanno imbracciato i fucili e scacciato i tedeschi che si
preparavano alla ritirata. In Sicilia ha avuto luogo un conflitto che è durato
ben oltre la fine della Seconda guerra mondiale. Perché i partigiani, e chi ha
respirato gli ideali della lotta di liberazione nazionale, hanno dovuto
resistere e combattere contro un altro nemico: la mafia. Un’altra guerra che ha
prodotto la scia di sangue innocente che da Portella della Ginestra, dalla
repressione della rivolta contadina, arriva allo stragismo degli anni Novanta.
Così i principi che hanno dato forma alla Repubblica e alla Costituzione,
trasformato l'Italia in un Paese moderno, sono il risultato dell'impegno di
tutto il popolo: dalla Valsesia in Piemonte, al Gargano in Puglia, alle Madonie.
E la storia di Jacon è importante per ricordarlo. Per celebrare la forza di
chi, pur potendo, non ha girato lo sguardo, né tradito le proprie idee e i
compagni con cui lottava per realizzarle.
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