"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 13 luglio 2022

Eventi. 80 «Seduti sul divano, abbiamo l'illusione di essere lì perché in quel momento ci viene raccontata la guerra».

Epica&Guerra”. Ha scritto Dario Vergassola in “Spilloni fantocci e missili” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” dell’8 di luglio 2022: Laggiù qualcuno ci odia. L'ex premier ed ex presidente russo, Dmitrij Medvedev, si sta rovinando il fegato: ha 447 milioni di fantocci - uno per ogni abitante della Ue - che ogni notte punge con degli spilloni; e minaccia la terza guerra mondiale se noi occidentali lo guardiamo storto. Sostiene poi che gli attuali leader europei siano di basso livello, ma rimpiange Berlusconi, che però - vado a memoria - non ha mai spiccato per l'altezza: una contraddizione al limite della confusione mentale, come dire: «L'utero è mio e me lo gestisce la Corte Suprema». Invece Putin è balisticamente infoiato: ormai parla solo di testate, missili e anni varie, che - come dicono a Mosca - un suprematista texano in vena di stragi "gli spiccia casa", e in preda al suo psico-Risiko, cambia generali al comando più spesso di quanto Fulco Pratesi cambi le mutande. Secondo Recalcati, Vladimir è un narcisista autodistruttivo, e sicuramente è così. Però intanto sta distruggendo gli ucraini. Mentre i russi, già in default tecnico, non si possono lamentare. Certo, se potessero... Di seguito, “La guerra invisibile”, colloquio di Sabina Minardi con Lucio Caracciolo e lo scrittore Antonio Scurati pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del 3 di luglio ultimo: (…). Scurati, partendo dall'epica antica, ragiona su archetipi millenari, e sui significati e i valori che la guerra esprime. Quali echi classici ritrova in questo conflitto, e cosa dell'attualità smentisce ciò che della guerra sapeva? Antonio Scurati: «La costante rispetto a una tradizione millenaria di racconto della guerra è l'illusione che si tratti di un momento di verità. Nella tradizione occidentale individuo un paradigma, che risale all'epica omerica e all'Iliade: la guerra è "il paradiso dello spettatore", un accadimento umano governato, nella narrazione, dal criterio della "piena visibilità. Gli eroi di Omero, prima di scontrarsi in battaglia, devono essere avvistati, con una tecnica che diventerà una convenzione, la "teicoscopia”, lo sguardo dall'alto delle mura dell'individualità nelle sue caratteristiche distintive. Solo dopo inizia il racconto del conflitto. Questo perché gli eroi prima di uccidere o essere uccisi devono potersi offrire allo splendore della gloria: la piena visibilità li fa riconoscere, in modo che possano brillare anche per un solo istante, ed essere eternati. Se ciò non accadesse morirebbero in maniera anonima, nell'indistinto della mischia. Questa convenzione narrativa porta con sé un enorme bagaglio etico, estetico e metafisico. Nel senso che svela una civiltà che non concepiva una vita dopo la vita. Quella civiltà incentra lo sforzo verso questo istante luminoso, che sarà ricordato dalla posterità. Da ciò discende una tradizione, che ha evidenze anche nel cinema e persino nella teoria militare, che fa sì che in Occidente continuiamo a pensare alla guerra come momento di verità, in cui i contendenti si mostrano nei valori e nelle identità. E i conflitti rivelano, danno la possibilità di comprendere la realtà. Dall'altro lato, sul piano morale noi occidentali europei riconosciamo che questa guerra non ha giustificazioni, nulla di epico. Ma temo che quell'archetipo omerico, in modo inconsapevole, continui a influenzarci».

Lucio Caracciolo: «Trovo affascinante l'interpretazione della guerra a partire dal paradigma omerico. Siamo però in ambito poetico e la ricostruzione è successiva agli avvenimenti che si presume siano accaduti sul terreno. La narrazione che noi facciamo oggi è tutto fuorché poetica, ed è una narrazione "in tempo reale", contemporanea a ciò che ci fanno vedere che accade sul campo di battaglia. Soprattutto, non avendo il privilegio della visione distaccata degli eventi, se leggiamo la guerra così come ci viene raccontata in tv e sui social abbiamo l'immagine di un quadro puntinista in cui non c'è assolutamente né una visione di insieme né tantomeno una profondità. Siamo nelle due dimensioni, ci sono punti come singoli fatti di cronaca dell'orrore, che non riusciamo a congiungere e che vengono selezionati in base alla capacità di informazione e/o di propaganda delle parti in causa o di chi racconta la guerra. Tutto non al servizio di una rappresentazione dall'alto, e neppure di una rappresentazione dal basso, ma rasoterra, in cui se una persona non ha informazioni precedenti sulle origini, le cause, gli eventi passati, difficilmente riesce a capire qualcosa. Fondamentale nella narrazione è poi la demonizzazione dell’avversario, Sia l'attuale Stato ucraino che lo Stato russo escono di risulta dalla decomposizione dell'impero zarista prima, e dell'unione sovietica poi. La narrazione ignora la complessità, tende piuttosto a demonizzare da una parte dall’altra il nemico, sia l'imperialismo russo che il cosiddetto nazismo ucraino. Mancano tutte le premesse per una narrazione che racconti spiegando, contestualizzando, unendo i puntini. Non possiamo certo pretendere che rinasca Omero, ma il modo in cui stiamo raccontando questa guerra, più di altre, è deviante. E ci lascerà basiti anche davanti al suo esito: perché non spiegato, non previsto. Quale sarà? Non so. Ma non sarà - per usare un termine di Scurati - "decisivo", perché è una guerra con troppa profondità per risolversi con una campagna militare».

Scurati: «Caracciolo usa un termine preso a prestito dalla storia della pittura, "puntinismo", illuminante. E non è in contrasto con ciò che dicevo. Nel senso che, durante tutta la modernità, il paradigma omerico della guerra è stato conte-stato. Penso a Don Chisciotte, romanzo fondativo della modernità europea, che è una parodia dei poemi cavallereschi. O al passo della Certosa di Parma di Stendhal in cui il giovane Fabrizio del Dongo parte alla ricerca di Napoleone, finisce nel mezzo della più grande battaglia di tutti i tempi, Waterloo. Ma in una prospettiva rasoterra, appunto, è talmente frastornato da non capire di trovarsi in battaglia. Cosa accade con la contemporaneità? Prima guerra del Golfo, la notte tra il 18 il 19 gennaio 1991, il paradigma omerico viene riabilitato in maniera surrettizia. Seduti sul divano, a migliaia di chilometri di distanza, abbiamo l'illusione di essere lì perché in quel momento ci viene raccontata la guerra, attraverso immagini poverissime di contenuto informativo - i traccianti della contraerea sul cielo di Baghdad e il corrispondente Peter Arnett nella stanza dell'Al Rashid Hotel che dice: io sono qui, ma di quello che sta accadendo so meno dei miei colleghi nella sede di Atlanta - ma quella diretta genera in noi l'illusione della presenza. La narrazione della guerra è all'insegna della frammentazione. Ma ciò non toglie che il puntinismo dia a noi, guerrieri da salotto, l'illusione della presenza, e della comprensione. Bisogna capire anche quanto sia pregiudicante la demonizzazione dell'avversario. Perché la demonizzazione è reciproca. Pensiamo al paradosso per cui i due contendenti militari si accusano reciprocamente di nazismo, come per gettarsi addosso lo stigma del male assoluto. Ripenso a una delle più importanti teorie politiche della guerra, quella di Carl Schmitt, che li distingueva tra "nemici giusti", ai quali si riconosceva la legittimità a muovere guerra, e l'inimicus in senso ampio, cui non si riconosceva alcuna legittimità: potevi solo sterminarlo o essere sterminato. In questa guerra ci sono solo nemici. Da distruggere».

Ma tutto ciò è inevitabile? O c'è un modo per favorire la comprensione, oltre le demonizzazioni reciproche? Caracciolo: «La demonizzazione non è un'invenzione di oggi, è uno schema che legittimamente appartiene alla propaganda, e la propaganda è parte della guerra. Solo che chi è chiamato a narrare la guerra dovrebbe avere la capacità di mettere da parte le sue antipatie e fare un passo indietro. Altrimenti si va da ciò che Scurati chiama piena visibilità alla piena invisibilità. Noi oggi siamo in piena nebbia della guerra. C'è poi altro che non favorisce la comprensione: ed è il diverso senso del tempo e dello spazio. Le guerre russe sono sempre state concepite a partire da una idea del tempo e dello spazio completamente diverso da quello delle potenze occidentali. Per informazioni rivolgersi a Napoleone, il quale dopo aver inseguito l'esercito russo fin dentro le mura del Cremlino aspetta vanamente che Alessandro 1 gli comunichi i termini della sua resa, e costui non gli comunica alcunché. Segue disastrosa ritirata, solo perché Napoleone aveva una fretta maledetta cli concludere la guerra, portando a casa gloria e successo. Sia il popolo russo sia quello ucraino hanno un'idea del tempo e dello spazio molto più dilatati rispetto alla nostra. Questo mi porta a riflettere su una categoria che noi usiamo in maniera un po’ automatica, Occidente. Se c'è qualcosa che emerge da questa guerra è che il termine "Occidente" non rappresenta più molto. Se vogliamo confrontare lo spazio canonico che rappresentava durante la guerra fredda, il Nord America e l'Europa, c'è una differenza di approccio già riguardo al tempo. Banalmente: i nostri governanti firmerebbero qualunque foglio di carta per far finire la guerra, per gli americani questa deve essere una guerra che punisce la Russia e forse la distrugge una volta per tutte. L'Occidente è un corpo plurale cli soggetti che stanno perdendo quello che immaginavano li unisse».

Scurati: «C'è anche un diverso valore attribuito alla vita umana individuale e un diverso rapporto con la violenza. Noi europei d'Occidente avvertiamo Putin come il nemico della nostra civiltà. L'ipotesi stessa che si possa invadere militarmente un Paese ce lo fa sentire come nemico. Ma anche la disponibilità degli Stati Uniti a inserire questo conflitto nella loro strategia geopolitica, ci risulta estranea. Questo "noi" non si estende sulle due sponde dell'Atlantico ma è molto più circoscritto, abbraccia le nazioni dell'Europa continentale ma probabilmente non arriva neanche fino alla Gran Bretagna. E non sono solo le strategie che non coincidono più, ma anche i valori: siamo più un solo popolo».

È il futuro dell'Europa, che la guerra sta denudando. Scurati: «Dell'Europa vanno ripensati i confini, e non nel senso di continuare ad allargarli ma di rimettere in discussione gli allargamenti degli ultimi decenni. Non può esserci unità politica se non all'interno di una comunità di interessi e di valori. Non può esserci unità politica europea senza una forza militare autonoma. E questa comunità di interessi non può estendersi oltre l'Europa a 17, a 13?... non l'Europa a 27».

Caracciolo: «Su dove passino i confini europei resto dell'idea che dobbiamo affidarci all'acume di Giulio Cesare e di Ottaviano Augusto, che avevano stabilito la frontiera romana tra i fiumi Reno ed Elba, il confine che separava le due Germanie nella guerra fredda. L'ideologia di Putin cammina guardando indietro. Lui non sta facendo altro che riportare la Russia dove doveva stare. Quando ricorda la grande guerra del nord di Pietro il Grande, 1700-1721, non fa solo riferimenti geografici. Dice che sarà una guerra lunga, in continuità con altre con gente etnicamente, culturalmente russa».

Scurati: «Cosa dovremmo fare noi? Rafforzare questo "noi". Guardo con stupore a chi vorrebbe avviare una procedura per l'ingresso dell'Ucraina nell'Europa: sanno quello che fanno? Non dovremmo invece avviare una procedura per estromettere dall'Europa l'Ungheria, la Polonia e quei Paesi che non condividono i principi fondamentali del trattato?».

Caracciolo: «Non credo che la proposta possa essere realizzata in tempi visibili: siamo la parte di mondo più intrisa di identità, culture nazionali e subnazionali. Una delle poche cose positive della guerra è il ricordarci la fortuna di cui godiamo: di vivere in un sistema di libertà e di diritti incommensurabilmente superiori a chi è in un regime, in cui per dire ciò che pensa deve bisbigliare. Teniamolo presente. Non per entrare in una logica di guerra tra democrazia contro tutti, ma per essere consapevoli del privilegio che abbiamo».

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