Ha scritto Michele Serra in “Chi è Draghi e chi potrebbe essere”, pubblicato sul settimanale “il
Venerdì di Repubblica” del 6 di agosto 2021: (…), per prima cosa (…) rassicuro:
non è l’età che mi ha guastato, io sono sempre stato un conformista, anche a
vent’anni. Nel senso che mi è sempre sembrato giusto e importante,
politicamente parlando, essere in folta compagnia. La cosa che più mi piaceva,
del Pci di Berlinguer, era il suo essere un partito di popolo: ebbe più del 30
per cento dei voti. La cosa che meno mi piaceva, delle altre vivaci componenti
della sinistra di quell’epoca, era che facevano riferimento a una ristretta
cerchia di amici. È bello e giusto essere anticonformisti nella vita personale,
nell’arte, nell’autodifesa dalla massificazione culturale ed economica, nella
satira (…). In politica no, la politica è contaminazione e promiscuità allo
stato puro. Ascolto con interesse e spesso con stima quelle che un tempo si
chiamavano le “mosche cocchiere” (ieri i rivoluzionari impavidi, oggi i
liberali fondamentalisti che vorrebbero cancellare il populismo a colpi di
Renzi e Calenda, aspetta e spera). Ravvivano il dibattito. Ma la realtà
raramente coincide con i sogni. Venendo a Draghi: io mi sentivo un elettore del
governo giallo-rosso, con tutti i limiti del caso, e non mi sento un elettore
di questo governo, che è frutto di una lecita alchimia istituzionale (ha i voti
in Parlamento), non certo di un risultato elettorale. Ma non posso non vedere e
non sentire che il prestigio di Draghi poggia su solide basi. Quando parla, di
solito poco, è preciso e semplice, il contrario del politicante. È un uomo di
centro, laico anche se credente. È un uomo di mercato, eccome, ma anche un uomo
di Welfare. Un democratico legalitario. Un forte e credibile europeista. Una
specie di Prodi conservatore, ammesso che i conservatori se ne accorgano. E
dunque, (…), penso che sarebbe il leader ideale di un centro-destra finalmente
civilizzato. E penso che sia, in questo momento, il più autorevole e insidioso
ostacolo nella corsa al potere di Salvini e Meloni, ai quali potrebbe levare,
se facesse una sua lista elettorale, milioni di voti moderati; e ai quali
potrebbe impedire, se la sua destinazione fosse il Quirinale, di fare carne da
porco della nostra Repubblica. Come ho scritto miliardi di volte, io sono
convinto che il vero problema del nostro Paese non sia la sinistra, ma la
destra. La destra pistolera, fascistoide, antidemocratica che spopola nelle
urne. Draghi, per questa destra oscena, è un problema grosso come una casa.
Facciamo così, caro Chiarelli: se sarà evidente che mi sono sbagliato, mi
riscriva. Se invece si accorgerà di avere sbagliato lei, mi riscriva lo stesso.
Non è per dissentire con l’illustre opinionista ma avrei posto
diversamente il titolo del “pezzo”: “Chi
è Draghi?” e di seguito “chi potrebbe essere?”. Il personaggio
è di difficile classificazione al di là del suo mestiere “primario” di
banchiere. Nelle circostanze attuali gli si affidano le speranze ed i destini
degli abitatori tutti del bel paese. Ha tentato di dare una interpretazione del
“personaggio” – interpretazione che in verità esce dai canoni propri dell’agone
politico” – Giuseppe Genna in “Moneta e
pianeta. L’utopia di Draghi”, riflessione pubblicata sul settimanale “L’Espresso”
del 27 di giugno 2021, che di seguito riporto: (…). Nel 2018 fu conferita a
Mario Draghi la laurea honoris causa per l’economia, presso la Scuola Superiore
Sant’Anna di Pisa. In quell’occasione il futuro premier utilizzò
un’espressione, su cui diventa possibile misurare il percorso personale,
esistenziale e politico di un uomo apparentemente enigmatico e sicuramente
laconico. Disse: «Il progetto del mercato interno consentì all’Europa, a
differenza di quello che accadeva su scala globale, di imporre i propri valori
al processo di integrazione, di costruire cioè un mercato che fosse, per quanto
possibile, libero ma giusto». (…). …quell’espressione, «per quanto è
possibile», nasce soltanto in forza della conoscenza di ciò che è impossibile.
Impossibile è la misura del sogno. Impossibili sono libertà e giustizia. Ma, in
altro e più lugubre senso, impossibile è anche ciò che si viene a trovare fuori
dalla storia, ovvero la politica. Per quanto ha dimostrato la pandemia, la
politica appare una logora e inefficace ancella della realtà. Non che essa sia
finita: è piuttosto sfinita. La mala gestione politica dell’emergenza, a ogni
latitudine del globo, è peraltro metà del problema. Poiché non c’è solo da
rispondere all’emergenza, ma anche da inventare e lanciare su traiettorie
impreviste il mondo. Detto così, parrà a tutti evidente che nessun politico e
nessuna politica, per come li abbiamo finora conosciuti, ha l’energia e la
visione per adempiere al compito. La fede nella moneta unica e nel mercato
unico, a più riprese confessata e mai sconfessata, non è per l’attuale premier
il dogma chiuso di una visione algebrica. È figlia di una visione del mondo,
che ha nello stato sociale il suo principio generativo. Sembrerebbe incongruo
parlare di socialismo a proposito di Draghi, ma l’incongruità è dovuta
piuttosto a una questione di optometria, dipende da quali lenti si inforcano
per guardare al mondo. «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona
moneta»: così, il 17 febbraio 2021, chiedendo alla Camera la fiducia con il suo
primo discorso parlamentare, Mario Draghi, la voce tremula per l’emozione (le
istituzioni, quindi, emozionano), fissava il principio cardine della sua azione
di governo. Questo orizzonte, cioè pianeta e moneta, consente di percepire la
vastità dell’opera a cui si deve lavorare. L’umanità, nella sua interezza, ha
sperimentato per la prima volta una reazione emotiva identica in ogni angolo
del pianeta e ha scelto appunto sfide planetarie. Su tali sfide e più ancora
sulla loro dimensione planetaria, si gioca l’orizzonte futuro. Il dettaglio
dell’anima è l’impossibile, la speranza ne è il suo correlato oggettivo. Virtù
ambigua, la speranza, a cui il programma planetario di Draghi sembra guardare.
«La storia sarebbe estremamente deludente e scoraggiante, se non fosse
riscattata dall’annuncio, sempre presente, della salvezza e della speranza»,
osservava Aldo Moro un anno prima della morte. Aggiungeva che non si trattava
di un’asserzione religiosa, ma anche civile. Il punto di fusione tra religioso
e civile sembra oggi inaspettatamente raggiunto. L’annuncio della speranza non
è la speranza stessa; l’annuncio si annuncia, significa che la speranza è un
dato di fatto. La frase del premier su pianeta e moneta indica una volontà
certa, cioè il sintomo di ciò che sicuramente salva. Non si tratta di
superinterpretare un’affermazione isolata o di flettere il pensiero altrui a
desideri più o meno fuorvianti. «Per quanto è possibile» si disegnano solchi in
ciò che apparentemente possibile non è. L’uomo dei silenzi, non a caso, ha
coniato uno degli slogan più citati per infondersi speranza: il “whatever it
takes” per salvare l’euro continuava così: «E credetemi: sarà abbastanza». Non
solo è stato “abbastanza”, ma ha invertito un’intera visione dell’esistenza,
dell’onnipotenza stolida dei mercati, dell’austerità imposta a milioni di
cittadini riluttanti, a prezzo del discredito e del definitivo abbandono della
delega finora fondamentale nei sistemi democratici, quella di rappresentanza. Pianeta
e moneta, dunque. Noi ci troviamo in questo momento in corsa in una lunghissima
curva della pista: stiamo accelerando, si disgregano e si trasformano il senso
delle cose e la loro fisionomia. Andiamo a un altro ordine di mondo. A quale
moneta si riferisce Mario Draghi? I miliardi del Recovery Plan sembrano
eccedere le leggi del denaro, creano la manovra espansiva che non abbiamo mai
visto. Il denaro sembra entrare in una fase magica e inventiva. Qui non si è ad
altezza Keynes. Piuttosto, siamo nella teologia. La moneta per pagare le tasse
permette di distinguere e unire Dio e Cesare e la parabola dei due debitori
impartisce un insegnamento universale. Toccare la moneta, magari firmandola con
il proprio nome, non è un atto tecnocratico - è invece un’azione che inerisce a
una vita dello spirito. Nell’epoca del denaro digitalizzato e micronizzato, in
cui avanzano i protocolli delle criptovalute, a scuotersi è l’intero quadro
della moneta, cioè della delega di rappresentanza del valore. L’inversione e la
coniugazione tra dare e prendere non è soltanto questione di fiscalità progressiva:
bisogna leggere tutto l’umano, per agire su quel nesso. Allo stesso modo, se
osserviamo il complesso di riforme strutturali che verranno progettate e forse
realizzate grazie ai fondi europei, rischiamo di non vedere a sufficienza che
essi serviranno al politico di nuova specie, per riformare l’Europa e non
soltanto l’Italia. Che l’Italia riformi l’Europa sembrerebbe uno sproposito. Ma
non lo è. Anni fa sarebbe stato usuale che un premier come Draghi citasse la
globalizzazione. Invece viene citato il pianeta. È diverso. Occuparsi del
pianeta, e quindi dei pianeti, permette di cogliere il superamento della
politica, un passo che l’umanità sembra avere selezionato per continuare la sua
storia. (…). Se la politica faceva perno su quel piccolo cosmo che fu la città,
oggi non è più la città a fondare l’azione politica. È piuttosto il pianeta, a
farlo. È un salto di livello. Si tratta di vedere in ciascuna cosa l’energia,
in ogni relazione, in ogni avvenimento, in qualsiasi materia. Una totalità che
chiede sviluppo e stupefazione. È un portato implicito del regno installato dal
virus. Attualmente è il virus a costituire il soggetto dell’economia, della
politica, dell’esistenza. La quantità delle risorse e la loro dislocazione sono
determinate dal virus. La politica si sfianca nella dialettica con il virus.
Regna il virus, perché esso è un fatto planetario e la politica e l’economia
non lo erano a sufficienza. Nella molecola che stermina i polmoni e sfinisce la
politica umana, torna a farsi vedere l’invisibile. Una nuova politica
planetaria richiede un acume spirituale, che ponga gli interessi sul piano di
una totalità in movimento. I prossimi anni saranno determinati da canoni nuovi
e appunto stupefacenti. Nell’età in cui le banche centrali saranno divelte
dalla signoria digitale e i farmaci si adatteranno agli individui per proprietà
nanotecnologiche, la guerra sarà trasformata e il reddito si sgancerà dal
lavoro, non abbiamo bisogno di gestori di tassi di interesse, ma di persone
all’altezza dell’utopia concreta.
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