Ha lasciato scritto lo scrittore ed infaticabile
viaggiatore George Robert Gissing (Wakefield,
22 di novembre dell’anno 1857 – Ispoure, 28 di dicembre dell’anno 1903) in
“Sulla riva dello Jonio”: (…). Tutte le
colpe degli italiani sono perdonate appena la loro musica risuona sotto il loro
cielo. Ci si ricorda di tutto quello che hanno sofferto e di tutto quello che
sono riusciti a fare malgrado i torti ricevuti. Razze brute si sono gettate,
una dopo l’altra, su questa terra dolce e gloriosa; la sottomissione e la
schiavitù sono state, attraverso i secoli, il destino di questo popolo. Dovunque
si cammini, si calpesta sempre terreno che è stato inzuppato di sangue. Un
dolore immemorabile risuona anche attraverso le eccitanti note della vivacità
italiana. È un paese stanco e pieno di rimpianti, che guarda sempre indietro,
verso le cose del passato; banale nella vita presente e incapace di sperare
sinceramente nel futuro. (…). È legittimo condannare i dirigenti dell’Italia,
quelli che s’incaricano di plasmare la sua vita politica e sconsideratamente la
caricano di pesi insopportabili. Di seguito “Ponte Morandi se il degrado è anche etico”, riflessione critica ed
amara tre giorni dopo la tragedia del ponte “Morandi” (14 di agosto dell’anno
2018) di Nadia Urbinati pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 17 di
agosto dell’anno 2018: Il degrado delle infrastrutture che la
tragedia di Genova (a quanto pare annunciata e quindi evitabile) ha messo in
evidenza è il segno di un degrado etico e ambientale profondo. Sta insieme alla
caduta di responsabilità del pubblico rispetto alla cura e alla valorizzazione
dei suoi beni, che sono i beni della Repubblica, non di una parte della
popolazione, non di uno specifico territorio.
Il viadotto di Genova era parte della rete nazionale di autostrade, di
un sistema di comunicazione che è come la spina dorsale del paese,
ramificazione che connette le aree e la gente che le abita. È una componente essenziale del “paesaggio”
che insieme al “patrimonio storico e artistico” l'articolo 9 della Costituzione
assegna alla Repubblica il “dovere” di “tutelare”. Degrado etico e ambientale e caduta della
responsabilità pubblica e politica verso i beni pubblici sono andati di pari
passo. Sono anche l'esito di una politica radicale di privatizzazioni del
patrimonio pubblico che dalla fine del secolo scorso ha segnato tutti i governi
che si sono succeduti, al di là delle sigle e delle maggioranze. E ha goduto di
una legittimità egemonica per l'incontro di due fenomeni concomitanti: la
scoperta di tangentopoli e la conversione al liberismo della sinistra post-marxista.
In Italia questa sinergia è stata fatale, più radicale negli esiti di quel che
è avvenuto in altri paesi, perfino quelli che come la Gran Bretagna hanno
guidato la strada alla privatizzazione dello stato sociale. Tangentopoli sembrò
giustificare la politica delle privatizzazioni con un argomento che era il
perno della retorica thatcheriana e reaganiana: la politica tende a infiltrarsi
dove ci sono risorse, togliendo le quali si toglierà incentivo alla corruzione.
Meno stato significava meno opportunità di corruzione. In Italia, questo
sillogismo ha avuto facile terreno e la lotta contro la partitocrazia sembrò
aver trovato qui la sua cura. Si trattava di una retorica facile e popolare
nella quale si annidava però una logica a dir poco ipocrita, poiché le
privatizzazioni di imprese pubbliche cruciali e dei servizi fu governata dai
partiti, che si trovarono ad essere il dominus della strategia gestionale delle
privatizzazioni. Maggiore efficienza
delle imprese private e lotta alla corruzione – questo combinato doveva essere
l'esito delle privatizzazioni. Il paradosso di fronte al quale ci troviamo –
non da oggi, ma che con Genova ha raggiunto livelli tragici sta nel fatto che
né l'efficienza né la neutralizzazione delle ragioni della corruzione sono seguite
alla massiccia cura del dimagrimento del pubblico. Prendersela con l'Unione
Europea, (…), è fuori luogo, anche perché il rinnovo delle concessioni sulle
autostrade è avvenuto senza passare per una gara pubblica, ragione per cui nel
2017 la Commissione ha denunciato l'Italia alla Corte di giustizia Ue per aver
violato le leggi europee sulla concorrenza. La questione è molto nostrana e
mette in primo piano la decadenza etico-politica della nostra classe dirigente,
statale ed economica. Controlli laschi o colpevolmente poco monitorati,
persistenza di rapporti opachi in una pletora di agenzie e responsabilità che
lasciano aperti ampi varchi alla corruzione: tutto questo impone di rivedere il
rapporto tra pubblico e privato, per restituire al pubblico una funzione
direttiva e di controllo diretto.
Nessun commento:
Posta un commento