"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 17 agosto 2021

Leggereperché. 97 «La decadenza etico-politica della nostra classe dirigente, statale ed economica».

 

Ha lasciato scritto lo scrittore ed infaticabile viaggiatore George Robert Gissing (Wakefield, 22 di novembre dell’anno 1857 – Ispoure, 28 di dicembre dell’anno 1903) in “Sulla riva dello Jonio”: (…). Tutte le colpe degli italiani sono perdonate appena la loro musica risuona sotto il loro cielo. Ci si ricorda di tutto quello che hanno sofferto e di tutto quello che sono riusciti a fare malgrado i torti ricevuti. Razze brute si sono gettate, una dopo l’altra, su questa terra dolce e gloriosa; la sottomissione e la schiavitù sono state, attraverso i secoli, il destino di questo popolo. Dovunque si cammini, si calpesta sempre terreno che è stato inzuppato di sangue. Un dolore immemorabile risuona anche attraverso le eccitanti note della vivacità italiana. È un paese stanco e pieno di rimpianti, che guarda sempre indietro, verso le cose del passato; banale nella vita presente e incapace di sperare sinceramente nel futuro. (…). È legittimo condannare i dirigenti dell’Italia, quelli che s’incaricano di plasmare la sua vita politica e sconsideratamente la caricano di pesi insopportabili. Di seguito “Ponte Morandi se il degrado è anche etico”, riflessione critica ed amara tre giorni dopo la tragedia del ponte “Morandi” (14 di agosto dell’anno 2018) di Nadia Urbinati pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 17 di agosto dell’anno 2018: Il degrado delle infrastrutture che la tragedia di Genova (a quanto pare annunciata e quindi evitabile) ha messo in evidenza è il segno di un degrado etico e ambientale profondo. Sta insieme alla caduta di responsabilità del pubblico rispetto alla cura e alla valorizzazione dei suoi beni, che sono i beni della Repubblica, non di una parte della popolazione, non di uno specifico territorio.  Il viadotto di Genova era parte della rete nazionale di autostrade, di un sistema di comunicazione che è come la spina dorsale del paese, ramificazione che connette le aree e la gente che le abita.  È una componente essenziale del “paesaggio” che insieme al “patrimonio storico e artistico” l'articolo 9 della Costituzione assegna alla Repubblica il “dovere” di “tutelare”.  Degrado etico e ambientale e caduta della responsabilità pubblica e politica verso i beni pubblici sono andati di pari passo. Sono anche l'esito di una politica radicale di privatizzazioni del patrimonio pubblico che dalla fine del secolo scorso ha segnato tutti i governi che si sono succeduti, al di là delle sigle e delle maggioranze. E ha goduto di una legittimità egemonica per l'incontro di due fenomeni concomitanti: la scoperta di tangentopoli e la conversione al liberismo della sinistra post-marxista. In Italia questa sinergia è stata fatale, più radicale negli esiti di quel che è avvenuto in altri paesi, perfino quelli che come la Gran Bretagna hanno guidato la strada alla privatizzazione dello stato sociale. Tangentopoli sembrò giustificare la politica delle privatizzazioni con un argomento che era il perno della retorica thatcheriana e reaganiana: la politica tende a infiltrarsi dove ci sono risorse, togliendo le quali si toglierà incentivo alla corruzione. Meno stato significava meno opportunità di corruzione. In Italia, questo sillogismo ha avuto facile terreno e la lotta contro la partitocrazia sembrò aver trovato qui la sua cura. Si trattava di una retorica facile e popolare nella quale si annidava però una logica a dir poco ipocrita, poiché le privatizzazioni di imprese pubbliche cruciali e dei servizi fu governata dai partiti, che si trovarono ad essere il dominus della strategia gestionale delle privatizzazioni.  Maggiore efficienza delle imprese private e lotta alla corruzione – questo combinato doveva essere l'esito delle privatizzazioni. Il paradosso di fronte al quale ci troviamo – non da oggi, ma che con Genova ha raggiunto livelli tragici sta nel fatto che né l'efficienza né la neutralizzazione delle ragioni della corruzione sono seguite alla massiccia cura del dimagrimento del pubblico. Prendersela con l'Unione Europea, (…), è fuori luogo, anche perché il rinnovo delle concessioni sulle autostrade è avvenuto senza passare per una gara pubblica, ragione per cui nel 2017 la Commissione ha denunciato l'Italia alla Corte di giustizia Ue per aver violato le leggi europee sulla concorrenza. La questione è molto nostrana e mette in primo piano la decadenza etico-politica della nostra classe dirigente, statale ed economica. Controlli laschi o colpevolmente poco monitorati, persistenza di rapporti opachi in una pletora di agenzie e responsabilità che lasciano aperti ampi varchi alla corruzione: tutto questo impone di rivedere il rapporto tra pubblico e privato, per restituire al pubblico una funzione direttiva e di controllo diretto.

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