"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 16 agosto 2021

Paginedaleggere. 38 «Entriamo disarmati e inconsapevoli nell'era sconosciuta dell'egolibertà».

 

A lato. "Mongolfiere", acquerello (2021) di Anna Fiore.

Tratto da “L’era dell’egolibertà” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 19 di luglio 2021: Ogni volta che l'ideologia prende possesso di una parola, mutandola in bandiera, la deforma mentre la santifica. Sta capitando esattamente questo al concetto di libertà. È la formula base della democrazia liberale, il principio costitutivo della civiltà costituzionale su cui si appoggiano i diritti di ognuno, gli obblighi reciproci, la rete di riconoscimento e il sistema di garanzie che ci scambiamo costantemente in quella comunità politica chiamata società.

In questo senso, come fondamento della democrazia riconquistata e della casa comune che stiamo continuamente ricostruendo, la libertà appartiene a tutti e non può essere appannaggio di una parte perché è insieme una condizione, un interesse e un obiettivo in cui si riconosce per intero la collettività dei cittadini. Finché con la pandemia l'emergenza modifica il quadro di riferimento in cui ci muoviamo, investendo inevitabilmente anche il principio di libertà, fino a trasformarlo. Per due anni il mondo ha vissuto in una sorta di stato d'eccezione permanente. Davanti alla minaccia di morte, al pericolo di contagio, alle persone che si sono scoperte contemporaneamente vittime e veicolo del virus, la domanda di sicurezza ha preso il sopravvento dominando la scena, a svantaggio dell'esercizio dei diritti. Siamo entrati nella pandemia chiedendo protezione al potere pubblico, come si faceva nelle epoche passate di fronte al maleficio della peste e del colera: regredendo all'inermità in balia di un pericolo ancestrale e modernissimo, abbiamo rinunciato coscientemente a quote di autonomia e indipendenza in cambio di una garanzia di tutela e salvaguardia, nella salute ma non solo. Al potere infatti abbiamo chiesto prima di tutto un'interpretazione del fenomeno che dovevamo fronteggiare, una sua definizione e l'identificazione delle forme di contrasto e di attacco, operazioni che non potevamo condurre da soli. In cambio, abbiamo accettato per tutta la fase acuta dell'infezione la potestà disciplinare del governo, controllato dal parlamento. In questo senso, dunque, è avvenuta da parte dei cittadini una sottomissione volontaria allo stato di necessità, che è stata anche una prova di fiducia vicendevole col potere legittimo, un test di funzionalità del meccanismo democratico sotto pressione. Abbiamo così sperimentato che anche le libertà, pur rimanendo un bene supremo e insieme fondamentale della civiltà in cui viviamo, sono tuttavia comprimibili nei casi eccezionali di una prova estrema. Appena l'emergenza assoluta è passata, e siamo entrati in una fase precaria e instabile, ma relativamente meno pericolosa, è saltata questa disciplina collettiva e questa subordinazione consapevole alla regola speciale dell'urgenza. Le ragioni sono evidenti. Prima di tutto un meccanismo naturale di ripristino dell'autonomia individuale e di gruppo, a lungo contratta e compressa: la voglia di indipendenza, il bisogno di riprendere il controllo dello spazio pubblico dopo la chiusura materiale e metafisica nel privato di una dimensione domestica separata, impedita e mutilata. Poi l'ansia di perdere il lavoro o di non ritrovarlo più per i dipendenti, l'urgenza per gli imprenditori, i commercianti, gli esercenti, gli artigiani di riaprire bottega per recuperare il mercato, il reddito, la sopravvivenza e il futuro dopo un lungo black out che ha soffocato l'economia individuale e del Paese fin quasi a strangolarla. L'esigenza psicologica di riprendersi pienamente la vita, centellinata per mesi a scartamento ridotto, si è dunque incrociata con un interesse materiale potente a difendere la dimensione del lavoro e dell'impresa, generando un'insofferenza crescente per tutti i vincoli, per ogni prudenza e infine per qualsiasi regola. La politica ha evidentemente il dovere di raccogliere queste sollecitazioni, dando loro un orizzonte e una prospettiva. Ha però anche l'obbligo di garantire la tenuta del Paese di fronte a una minaccia virale che non è affatto sparita, ma anzi si sta riproducendo mentre muta la sua conformazione per riproporre l'assedio. Più che l'unità nazionale di una maggioranza politicamente inconciliabile, sarebbe servita semplicemente un'etica condivisa, consapevole della gravità di questa sfida. E invece la politica si è spaccata radicalmente, le etiche sono diventate due. Mentre il governo si è trovato solo a farsi carico della sicurezza, invitando i cittadini alla prudenza, richiamando le insidie ancora presenti, contemperando politiche di apertura e provvedimenti di salvaguardia, la destra estrema di Salvini e Meloni si è schierata all'opposizione di ogni misura di precauzione, cavalcando la spinta alla gestione individuale degli spazi e dei rischi di questa fase della pandemia: trasformandola così da fattore sociale in fenomeno politico. "Mi rifiuto di vedere qualcuno che insegue mio figlio con una siringa", ha detto ieri Salvini, aggiungendo che "bisogna lasciar lavorare la gente in sicurezza", mentre invece oggi "uno deve fare il Green Pass per andare a prendere il caffè in piazza e intanto sbarcano a carrettate in Sicilia senza Green Pass". Giorgia Meloni ha addirittura chiamato in causa Orwell, scomodando il "Grande Fratello" per le misure di Draghi. La spiegazione di questo atteggiamento è semplice, e rivela la vera natura della destra italiana. L'estremismo nazional-populista avverte il deposito di istinti, energia e vitalità che c'è nella parte di popolazione che chiede piena autonomia, ma invece di indirizzare questa carica in una dimensione d'equilibrio a tutela del collettivo nazionale preferisce eccitare il suo ribellismo, sfiorare il pregiudizio no vax che la pervade, corteggiare il vecchio sentimento antistatuale che la influenza, incoraggiare la fobia normativa che l'attraversa, cercando di trasformare una platea dispersa in un blocco sociale di riferimento, da sfruttare politicamente. Per questo è necessario l'ultimo passaggio, dalla politica all'ideologia: battezzando queste esigenze, queste aspettative, questi interessi e queste pulsioni in una battaglia per la libertà, da contrapporre a Draghi e alla sinistra, con la loro ossessione regolamentare. Come se la sicurezza fosse a carico di una parte del Paese soltanto, e il populismo potesse disinteressarsene, tanto c'è qualcun altro che ne porta il peso: e come, soprattutto, se la libertà fosse divisibile, e da obiettivo di tutti potesse immiserirsi nella bandiera politica di una fazione. Così la destra separa la responsabilità dalla libertà, mutandone la natura, la portata e il significato: sono libero non perché posso esercitare i miei diritti ed esprimere le mie facoltà a pieno titolo sapendo di far parte di una comunità interessata al bene comune, ma semplicemente perché respingo ogni vincolo nei confronti degli altri. Libero perché liberato, dunque. Entriamo disarmati e inconsapevoli nell'era sconosciuta dell'egolibertà.

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