A lato. "Natura morta", acrilico su tavola (2004) di Anna Fiore.
Tratto da “Non confondiamo la realtà col nostro modo d'interpretarla” di
Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la
Repubblica” del 25 di agosto dell’anno 2012: Capita che le abitudini mentali
ci facciano credere anche in ciò che non esiste. Non credo sia interessante
sapere se io credo o non credo in «un essere che possa essere il principio e il
senso di tutto ciò che esiste», ossia un Dio, perché, quando si ha a che fare
con atti di fede, tali da non poter essere verificati, tutte le posizioni sono
legittime. Ritengo più utile chiarire che cosa pensano coloro che credono,
quando parlano di “principio” e di “senso”. Da dove
nasce questa loro esigenza di trovare un “principio” e un “senso”? Infatti,
se seguiamo il “metodo genealogico” indicato da Nietzsche, il significato delle
parole non sta tanto in quello che abitualmente si attribuisce loro, quanto
nell’individuare la loro genesi, ossia le condizioni e i bisogni che le hanno generate.
A mio parere la ricerca del "principio di tutte le cose" nasce dal
bisogno di controllare l'imprevedibile che mette angoscia, in quanto non
consente di orientarsi in un mondo dove tutto dovesse accadere al di fuori di
ogni previsione. Per ridurre questa angoscia già gli uomini primitivi hanno
instaurato dei nessi di causalità per cui, in presenza di un fenomeno,
interpretato come causa di quello successivo, il sopraggiungere di quello
successivo non inquieta e non stupisce, perché lo si legge come effetto di una
causa. Il suo accadere è previsto e, in quanto previsto, non spaventa. Il
principio di causalità, così utile per orientarsi nel mondo, proprio per la sua
"utilità" è diventato una nostra forma mentis. Cioè la nostra mente
ragiona servendosi abitualmente di questo principio. E ovvio allora che, di
fronte al mondo, la nostra mente ne cerca la causa. E nomina questa causa
"Dio". Ma allora l'esistenza di Dio è affermata a partire da una
nostra abitudine mentale, molto utile per orientarci nel mondo. E una volta
attivata questa abitudine, perché dobbiamo arrestarla a Dio e non proseguire
chiedendoci anche: "chi ha creato Dio"? Per quanto riguarda "il
senso di tutto ciò che ci circonda", penso che questa domanda nasca solo
all'interno della tradizione giudaico-cristiana, la quale ha iscritto il tempo
in un disegno dove alla fine (éschaton) si realizza quello che all'inizio era
stato annunciato. Chi non partecipa a questa visione "escatologica"
del tempo, ma, ad esempio come gli antichi Greci, pensa che il tempo sia
scandito dai ritmi della natura (tempo ciclico), non si pone minimamente la
domanda sul "senso di ciò che ci circonda". I Greci, infatti,
ritenevano che l'uomo non fosse al vertice del creato, ma al pari di tutti i
viventi appartenesse all'ordine della natura, che prevede che gli individui
nascano, crescano, si riproducano e muoiano. La crudeltà innocente della
natura, che per la conservazione delle specie prevede la morte dei singoli
individui, confligge con la condizione dell'uomo che, a differenza degli
animali, per vivere ha bisogno di costruirsi un senso, in vista della morte che
è l'implosione di ogni senso. Questa è la dimensione "tragica" della
cultura greca, intimamente connessa alla dimensione "mortale"
dell'uomo. Il cristianesimo, per superare la tragicità greca, abolisce la morte
degli individui. Paolo di Tarso scrive infatti (1 Corinti, 15, 55): "O
morte dov'è la tua vittoria? O morte dov'è il tuo pungiglione?". E quando
annuncia agli Ateniesi che i morti risorgeranno: "Alcuni risero, altri
dissero: "Questa storia ce la viene a raccontare un'altra volta""
(Atti degli Apostoli, 17, 32). Dunque la domanda di senso nasce solo in quanti
non credono alla morte o, se ci credono, non si rassegnano. I cristiani,
appunto. Qui (…) devo dire che penso come i Greci, e con loro condivido la
visione tragica dell'esistenza umana, a cui la natura, per la sua economia, non
concede alcun privilegio rispetto a tutti gli altri viventi.
"La chiave dell'immortalità è innanzitutto vivere una vita degna di essere ricordata".(Bruce Lee). "Se qualcosa prende vita negli altri grazie a te, allora ti sei avvicinato all'immortalità".(Norman Cousins). "L'amore è uno scampolo mortale di immortalità".(Fernando Pessoa). "L'immortalità è lavorare a un compito eterno".(Ernest Renan) "Quello che abbiamo fatto per noi, muore con noi. Ciò che abbiamo fatto per gli altri è per il mondo rimane ed è immortale". (Albert Pike).
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