Come oggi, 24 di agosto dell’anno 1943, ci lasciava Simone Weil. Ne ha scritto per ricordarLa – in “Ritirarsi da sé per fare spazio all’altro” - Donatella Di Cesare sul settimanale “L’Espresso” del 20 di dicembre dell’anno 2020: (…). Quando, nel dicembre 1934, Simone Weil si fece assumere come fresatrice alla Renault, voleva dimostrare che il comunismo, come lei lo intendeva, non era solo l’ideale politico di una comunità futura, ma significava anzitutto condivisione immediata dell’esistenza degli sfruttati. Come sopravvive quotidianamente un’operaia? A rispondere è una professoressa di filosofia che accanto a lei, nella catena di montaggio, compie gli stessi gesti, prova sul suo corpo lo stesso affanno, sperimenta la stessa oppressione. Per poter poi denunciare, nel suo “Diario di fabbrica”, la monotonia degradante, l’atomizzazione subdola, la concorrenza che ostacola ogni fraternità. «Stando in officina, confusa agli occhi di tutti e ai miei propri occhi con la massima anonima, la sventura degli altri mi è penetrata nell’anima e nella carne». Essere schiavi senza sapere di esserlo: questa è la condizione degli operai. Ripiegati sulle macchine, finiscono per rassegnarsi docilmente rinunciando a pensare. È ciò che colpisce di più Weil. La sventura è il terribile mistero di ogni esistenza. Ma per gli operai la sventura si raddoppia, perché non sono in grado di articolarla, se non ricorrendo a frasi fatte e a quel gergo asettico che costituisce il grande problema del movimento sindacale. Le rivendicazioni non bastano. Non sono solo i rapporti di produzione a creare la schiavitù, che riaffiora anche dove subentra lo Stato al posto dell’imprenditore. L’errore è credere, come fa Marx, che il progresso possa lenire, o addirittura mutare, la sorte degli operai. Il prodotto del capitalismo è la mortificazione del lavoro. Guardando anche agli effetti della tecnica sulla vita, e a quella che si potrebbe chiamare un’operaizzazione di massa di ogni impiegato, Weil avverte che il lavoro va completamente ripensato. Ed è in fondo questo compito che lascia in eredità. Radicale, appassionata, sincera, intransigente, irriducibile, pronta a qualsiasi sacrificio e refrattaria a ogni compromesso – questo è il ritratto di Simone che emerge dai suoi scritti e dalle testimonianze di chi l’ha conosciuta. Qualcuno potrebbe definirla oggi un’estremista. Potremmo facilmente immaginarla in un centro sociale. Fuori dai partiti, che criticò aspramente, fu vicina alla rivista sindacale «Révolution prolétarienne». Era stata una trotskista tanto critica, da tener testa, in un leggendario scontro, allo stesso Trotsky, accusato di non riconoscere nello Stato sovietico un apparato repressivo. Non sorprende di trovarla nel 1936, durante la guerra civile in Spagna, nella colonna degli anarchici di Buenaventura Durruti. Proprio l’anarchismo sembra oggi uno dei motivi più interessanti della sua riflessione – nessuna romanticheria nostalgica, bensì un’indicazione preziosa in tempi di sovranismo. Weil correva incontro alla storia. Desiderava seguirne i drammi da vicino, proprio nei luoghi dove si stavano compiendo svolte epocale. Fu per ciò che nel 1932, incurante di poter essere, in quanto ebrea, vittima designata, si recò a Berlino. Hitler era ormai a un passo dal potere. Con quel suo stile da giornalista-filosofa, che legge il presente senza rinunciare alla profondità, riconobbe nella tragica sconfitta della sinistra tedesca, divisa e paralizzata, quella sconfitta da cui la sinistra solo a fatica avrebbe potuto riprendersi. L’hitlerismo non era barbarie.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
martedì 24 agosto 2021
Paginedaleggere. 40 Simone Weil. «Essere schiavi senza sapere di esserlo: questa è la condizione degli operai».
Per ricordare l’indimenticabile “compagno”
e caro amico Giovanni Torres La Torre – scrittore, poeta, pittore (sopra, una Sua creazione) - che ieri, 23
di agosto, ci ha lasciati.
Piuttosto era il potere dello Stato che si manifestava, privo di veli, facendo
leva sul vecchio mito nazionalistico della patria. Ma l’ideologia nazista era
«straordinariamente contagiosa» anche a sinistra, dove l’idea di Stato
continuava a esercitare un fascino oscuro, come mostrava la deriva sovietica,
autoritaria e tecnocratica. Il patriottismo è «l’amore dello schiavo per il suo
padrone». Finché la sinistra non metterà in discussione lo Stato nazionale, il
fascismo resterà la minaccia immanente in ogni repubblica democratica. Solo
l’anarchismo è l’argine al pericolo sovranista. «Contemplare il sociale è una
purificazione altrettanto efficace che ritirarsi dal mondo, e dunque non ho
avuto torto ad accostare per tanti anni la politica». Simone l’operaista,
Simone la mistica – due dei suoi diversi volti. Nel 1937 viaggia in Italia. È
l’Umbria ad abbagliarla con le sue campagne soavi, così evangeliche, così
francescane. «C’è da credere che la Provvidenza abbia creato campi ridenti e
umili, toccanti oratori per preparare la sua venuta». La povertà di Francesco
la estasiò. «Mentre ero sola nella piccola cappella romanica del XII secolo di
Santa Maria degli Angeli, incomparabile meraviglia di purezza, dove san
Francesco ha pregato molto spesso, qualcosa di me mi ha obbligata, per la prima
volta nella mia vita a inginocchiarmi». Forse potremmo immaginarla in un eremo
francescano. Scherzando meditava di travestirsi da uomo per poter restare in
quei luoghi. Simone lasciò invece l’Europa per rifugiarsi con i genitori in
America. Era il viaggio di tanti profughi. Ma lei si sentiva una fuggitiva:
aveva preteso di sottrarsi alla sventura che colpiva chi era intrappolato nel
Vecchio continente – i francesi, ma in particolare gli ebrei europei. Lo
sterminio cominciava. Weil non si convertì al cattolicesimo – restò sulla
soglia. Proprio per questo è difficile dire quale sia stato il suo rapporto con
l’ebraismo, da cui era comunque molto distante, come lo erano gli ebrei
assimilati in quel tempo. Ma in quella incredibile quantità di testi che
scrisse, una volta rientrata a Londra, in attesa di congiungersi con la
resistenza francese, affiora l’idea dell’esilio di Dio, lo tzimtzum ebraico,
anzi kabbalistico. Nella creazione Dio non si è esteso – si è ritratto per far
spazio all’altro da sé, per dar luogo al mondo. Questo gesto di donazione è il
modello per ogni persona, che si innalza così all’impersonale, per ogni
esistenza che si ritrae lasciando essere l’altro. Nel mondo attuale la
“decreazione”, lanciata da Simone Weil, dovrebbe indicare il nuovo paradigma di
rispetto verso gli altri e verso il pianeta. Logorata dalla passione
indagatrice, consumata dalla tensione, estenuata dalla tristezza, consegnata
all’esilio asettico di un sanatorio inglese, fuori da ogni fronte, Simone si
lasciò andare a un’anoressia disperata, si affamò e si sfinì fino ad autoannientarsi.
Come se, nel suo ritrarsi, le fosse per sempre sfuggita la presa dell’altro che
avrebbe potuto salvarla.
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Tra le numerose frasi significative di Simone Weil, che ho letto, eccone alcune:"Fra gli esseri umani si riconosce pienamente l'esistenza soltanto di coloro che amiamo". "Il senso di colpa si combatte solo con la pratica della virtù". "Se l'anima cessa di amare precipita giù, in uno stato quasi equivalente all'inferno". "La pienezza dell'amore del prossimo è semplicemente l'essere capaci di domandargli:qual è il tuo tormento?" "I partiti sono pubblicamente, ufficialmente costituiti in maniera tale da uccidere nelle anime il senso della verità e della giustizia". "Quelli che sono infelici non hanno bisogno di niente a questo mondo, eccetto di persone capaci di concedere loro la propria attenzione". "L'attenzione è la forma più rara e più pura della generosità". Si tratta sicuramente dell'attenzione che si fa cura, che si fa ascolto, che si fa compassione, nel senso di patire insieme. È una forza che spinge Simone Weil a intraprendere esperienze radicali di conoscenza della vita. Così si mette in gioco completamente, lavora sul serio, si ferisce, vuole capire come si vive da operai, come si lavora. Bellezza, lavoro, giustizia:quando i nessi fortissimi che uniscono queste tre parole si spezzano, nessuna di esse rimane intera. Senza lavoro, senza giustizia, non c'è bellezza. Grazie, Carissimo Aldo, per questo nuovo prezioso post che considero un altro gioiello del tuo blog, forse anche perché la personalità di Simone Weil e il suo pensiero sono sempre stati per me particolarmente affascinanti, quindi un modello, certo non facile,ma da seguire... Buona continuazione.
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