"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 28 agosto 2021

Cronachebarbare. 99 «L’orizzonte degli eventi ci introduce all’ennesimo buco nero che la specie si appresta ad attraversare».

 

Ha scritto Peter Gomez in “L’immeritato benessere” pubblicato sul mensile “FQMillennium” del 7 di agosto 2021: Dicono che il termine riccanza trovi le sue radici in tre diverse parole: abbondanza, ricchezza e arroganza. (…). Ci interessa (…) capire perché, in un mondo sempre più diseguale e a causa della pandemia pure più povero, abbiano tanto seguito non persone che hanno fatto fortuna grazie alla fatica, all’abilità e al talento, ma dei tizi in genere noti solo per la loro scemenza: i rich kids. Cioè i giovani eredi dei multimilionari il cui unico merito è avere mamma e papà coi soldi e la voglia cafona di mostrare sui social il proprio immeritato benessere. (…). Eppure la folla, o meglio la plebe, come direbbero loro, li guarda e va in estasi. (…). Prima dell’avvento dei social però l’esibizione della ricchezza era limitata. I circoli esclusivi erano davvero esclusivi. (…). Il ricco aveva una sorta di pudore, un innato understatement, che lo spingeva a mimetizzarsi anche per non urtare la sensibilità dei meno fortunati. Gli eccessi c’erano, è vero. Ma non erano la regola. Oggi tutto è cambiato. Con il blocco dell’ascensore sociale che nell’Italia del secondo dopoguerra aveva permesso a tanti figli di nessuno di diventare qualcuno, chi sta sopra ha perso i freni inibitori. Morta la lotta di classe, morto il marxismo e il socialismo, tutto è diventato lecito, scontato, anzi sfrontato. Intanto nessuno tirerà le pietre. (…). Così in tv e sui giornali si possono impunemente definire fannulloni i poveri senza che nessuno chieda a chi attacca: “Scusi, ma lei quanto guadagna? E soprattutto, quanto guadagnavano i suoi genitori? Attenzione: chi scrive non è stato mai comunista. Ma vedendo ciò che accade si chiede se non siano i social, e non la religione, il vero oppio dei popoli. Tratto da “Capitalisti su Marte” di Giuseppe Genna, pubblicato sul settimanale “L’Espresso” del primo di agosto 2021: (…). In questa fase apparentemente fantascientifica, la distribuzione è la regina di ciò che ancora viene etichettato come capitalismo e che altro non è se non un disvelamento ulteriore di ciò che può essere il denaro. Per comprenderne la natura, si pensi al neorealismo: a Vittorio De Sica. Al modo in cui oggi si può ridiscutere la nozione di denaro, il grande regista fu tra chi ridefinì una nozione fondamentale: quella di realtà. Non si trattava forse di ricchi e di poveri, di sopravvivenza e di lusso? C’è un momento di “Miracolo a Milano”, in cui i diseredati possono chiedere quello che vogliono al protagonista, che magicamente è in grado di realizzare qualunque desiderio: si apre una gara a chi chiede milioni e poi centinaia di milioni, migliaia di milioni, finché l’ultimo esclama: «Tutti questi milioni più uno!». Il denaro come invenzione sfrenata è un sintomo a cui non riesce ad adattarsi l’uomo economico, abituato a farsi strada tra la scarsità di risorse, un quadro di riferimento che ha la realtà come limite e non come energia ubiqua, continuamente attingibile per via dello sviluppo tecnologico. La realtà radice della povertà e il sogno della realtà come magia che trascende le risorse stesse, qui si gioca il cambiamento di paradigma che stiamo vivendo. Un mutamento radicale, una rivoluzione planetaria, accelerata dalla pandemia. Sembrano fole filosofiche, ma è questione concreta di vita e di morte: di virus si muore, la povertà incombe, ma anche la sovrabbondanza si affaccia a quella che il fisico Max Tegmark ha chiamato “Vita 3.0” (il suo splendido saggio si intitola così ed è edito per i tipi di Cortina). Del resto, gli eroi del film di De Sica a un certo punto non pensano più al denaro: inforcano scope e letteralmente volano verso un regno che sta nei cieli. Trascendere il denaro per volare oltre il pianeta, è quanto realizzato proprio da Jeff Bezos, con il suo razzo Blue Origin, che ha inaugurato l’era del turismo spaziale. Il multimiliardario Richard Branson, che possiede Virgin, era partito qualche giorno prima con la sua navicella, dalla base di Truth or Consequences, in New Mexico: una cittadina che si chiama Verità O Conseguenze sarebbe rifiutata in qualsiasi romanzo realista - invece è più reale del reale. Le imprese di questi pionieri, più ricchi di qualsiasi ricchezza, esprimono una vocazione del tempo che stiamo vivendo. In effetti siamo in un capitolo della fantascienza divenuta Storia. Sembrerebbe irrealistico un capitale da 249 miliardi di euro, devoluto dall’Europa alla nazione celebre nel mondo per il suo debito pubblico, l’Italia: eppure è cronaca. A gestire parte di quella cifra da capogiro, è il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, a capo di un comitato interministeriale per la realizzazione delle riforme legate al piano di Recovery. Vale la pena di ricordare che nel marzo di quest’anno, audito dalle commissioni, Cingolani ha risposto così alla domanda di un parlamentare, che chiedeva da dove prenderemo tutta l’energia che serve: «Dalle stelle». Un ministro che fa un’affermazione indifferentemente fantascientifica, scientifica, politica, economica: realistica. Mentre si consuma, a una velocità inedita, l’accelerazione verso un nuovo modello di società, che potremmo chiamare per comodità “capitalismo extraterrestre”, si pone a questo incrocio il problema dei costi di una simile transizione: un prezzo sociale che rischiano di pagare i poveri del globo. E però siamo già alla domanda: di quale globo stiamo parlando? Di quello terrestre o del marziano? Non c’è il minimo dubbio che le dinamiche del capitale rimangano alterate. All’indomani del suo déjeneur sur l’herbe spaziale, Jeff Bezos ha offerto alla Nasa un abbuono di 2 miliardi di dollari, pur di assicurarsi l’appalto per portare astronauti sulla Luna, una gomitata al concorrente diretto, che è (…) Elon Musk. Nell’impresa spaziale, tuttavia, vista l’altissima specializzazione richiesta, non solo si faticano a trovare proletari all’opera, ma si stenta a vedere umani tout court: l’automazione, in questa avanguardia, regna sovrana. Se lo statuto di avanguardia non è una bestemmia, si dovrà rimodulare la nozione di alienazione, perché il lavoro stesso è sottoposto a un’accelerazione che ne muta la natura, provvisoriamente o definitivamente. Del resto, oggi siamo certi che la natura sia proprio quella cosa “naturale”, con cui siamo cresciuti? Un virus, che è “natura”, muta in pochi mesi, qual è dunque la sua natura, se si comporta come artificio? E se il virus fosse frutto di una manipolazione, sarebbe innaturale? Se si avesse avuto la fortuna di partecipare alle manifestazioni ambientaliste dei Fridays for Future, si sarebbe incrociato spesso un cartello sventolato dai ragazzi in piazza: “There is no planet B”. Avevano ragione, ma essendo nel torto, poiché il pianeta B c’è eccome e si chiama Marte. Stiamo vedendo in tempo reale cosa accade sulla superficie marziana, dove sono attivi tre rover Usa e uno cinese. Sarebbe capitalismo di Stato, nell’era in cui non si riesce a comprendere cosa sia uno Stato rispetto a Google e al contempo lo si capisce benissimo, perché degli aiuti di Stato abbiamo avuto bisogno per tirare avanti. Nell’ipotesi che Beppe Grillo consegnò al suo Movimento, il reddito di cittadinanza era dopotutto questo: un violento e progressivo cambiamento di paradigma, la rivoluzione economica e politica imposta da una trasformazione radicale e tecnologica, nascente dalla necessità di rivedere completamente il rapporto con il lavoro e con la decisione sugli orientamenti della società (la questione della democrazia diretta è effettivamente il problema di una democrazia digitale). Qual è dunque il momento economico e politico del capitalismo extraterrestre? La tecnologia azzera tutto questo? Sono problemi che, lo si voglia o meno, risultano apertissimi e chiedono risposte, nell’immane transito in cui la proprietà trasmuta in affitto, l’acqua rischia di non esserci e di creare proletari per sete, le medicine diventano nanotecnologie intrusive che surclassano le più ardite preoccupazioni novax, gli Usa presentano un rapporto dell’intelligence in cui si riconoscono come veri i video di Ufo. L’invenzione è arretrata, il sogno o l’incubo rischiano di essere norma e l’energia è un fattore spirituale. Il tempo si piega, l’orizzonte degli eventi ci introduce all’ennesimo buco nero che la specie si appresta ad attraversare. Ha scritto Januaria Piromallo in “Una vita in riccanza” pubblicato su “FQMillennium” del 7 di agosto ultimo: (…). L’educazione del rich kid. L’entrata dei millennial nell’età adulta ha coinciso con la crescita del consumo dei beni di stralusso. I millennial più di qualsiasi altra generazione che li ha preceduti attribuiscono molto, troppo valore al denaro: sono la generazione dello “spendo dunque sono”. Se volete che si inebrino del profumo della riccanza già dai banchi di scuola, che alla cultura classica preferiscano quella Chanel, che ignorino chi sia Dante Alighieri, che facciano confusione fra Freud e Beethoven, non avete dubbi: mandateli a Le Rosey, sulle sponde del lago di Ginevra, non so se il collegio più esclusivo al mondo, sicuramente il più caro, perfetto per crescere la prole in mezzo ai privilegi anziché secondo la legge morale di Kant. Costa 115 mila euro all’anno (…) ma qui si studia davvero: come vivere da miliardari. (…).  

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