“Il Cavaliere e la
mela”,
favoletta politicamente scorretta di Andrea Camilleri postata il mercoledì 20
di ottobre dell’anno 2004: “Quand’era picciliddro, e quindi non ancora
Cavaliere, il futuro Cavaliere vide un compagnuccio che stava a mangiarsi una
grossa mela. Gliene venne gana irresistibile. Facendo finta di niente, si
accostò al compagnuccio, gli strappò la mela e la pigliò a morsi. La zia monaca
del futuro Cavaliere, che era una santa fimmina, a quella scena aspramente
rimproverò il nipote. «Non sono stato io a rubare la mela», ribatté il
picciliddro continuando a dare morsi al frutto. «La colpa è tutta del mio
compagno che se l’è lasciata rubare»”.
Tratto da “Una vita da Caimano/3” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 12 di luglio 2020: (…). 2001-2006. Il 13 maggio 2001 B. stravince le elezioni alla guida della Casa delle Libertà (61 collegi su 61 in Sicilia). Il suo secondo governo durerà cinque anni. Un lungo rosario di leggi ad personam processuali e aziendali (29, in aggiunta alle 4 del primo governo), controriforme devastanti (dalla scuola all’università, dalla sanità alle grandi opere, sfascio della Costituzione con la “devolution” (poi bocciata nel referendum dagli elettori), condoni fiscali ed edilizi, politiche finanziarie e sociali scriteriate, favori alle mafie, guerra ai magistrati, ai giornalisti e agli artisti scomodi (l’“editto” bulgaro contro Biagi, Santoro e Luttazzi, subito radiati dalla Rai), leggi contro la scienza (la n. 40 sulla fecondazione assistita), scontri con l’Europa, figuracce internazionali come l’insulto “kapò nazista” al vicepresidente Ue Martin Schulz, commissioni parlamentari per calunniare con falsi testimoni i leader dell’opposizione e perfino il presidente Ciampi (Telekom Serbia e Mitrokhin), dossieraggi illegali del Sismi e della collegata Security Telecom contro gli avversari, guerre in Afghanistan e in Iraq, rendition targate Cia come il sequestro a Milano dell’imam Abu Omar, mano libera ai poliziotti violenti (al G8 di Genova nel 2001). Dulcis in fundo, a fine legislatura (dicembre 2005): B. cambia la legge elettorale a colpi di maggioranza e vara il Porcellum (poi dichiarato incostituzionale dalla Consulta), che danneggia l’Unione, favoritissima nei sondaggi, e gli garantisce almeno il pareggio.
2006-2008. Il 2006, a tre mesi dal voto, si apre con
la pubblicazione sul Giornale della telefonata segreta di Fassino a Consorte
sulla scalata Unipol-Bnl (“Allora siamo padroni di una banca?”), trafugata da
un amico di Paolo B., portata in dono a Silvio e approdata sul quotidiano di
famiglia. Il 10 aprile l’Unione vince di un soffio, mentre B. grida ai brogli.
Il Prodi2 si regge al Senato su un pugno di seggi. E non gode dei favori del
neopresidente Giorgio Napolitano, grande fautore delle larghe intese, né di Walter
Veltroni, che terrorizza gli alleati minori col suo Pd autosufficiente a
“vocazione maggioritaria”. B. corrompe subito, con 3 milioni di euro (di cui 2
in nero, cash) il senatore Idv Sergio De Gregorio, che passa da sinistra a
destra. Tentativi analoghi compirà con altri senatori di maggioranza per
rovesciare il governo. Intanto l’Unione lo salva un’altra volta
dall’ineleggibilità (in barba alla legge 361/1957 col solito trucco di
dichiarare ineleggibile Confalonieri al posto suo). E regala a lui, a Previti e
a decine di migliaia di criminali un indulto di 3 anni. Così Previti – appena
condannato a 7 anni e mezzo per corruzione giudiziaria e cacciato dal
Parlamento – si risparmia pure il fastidio dei domiciliari e B. intasca un
bonus di impunità triennale da spendere alla prima occasione. Prodi cade il 24
gennaio 2008 per mano del ministro della Giustizia Clemente Mastella, indagato
a S. Maria Capua Vetere con la moglie e mezza Udeur, subito arruolato da B.
(che lo ricambierà con un seggio al Parlamento europeo).
2008-2013. Il 3 aprile 2008 il Popolo delle Libertà
sbaraglia il Pd di Veltroni, che predica il dialogo con B. e non osa neppure
nominarlo (“il principale esponente dello schieramento avverso”). B. sale per
la terza volta a Palazzo Chigi con la sua maggioranza più̀ schiacciante e un
carico di processi da record mondiale. E riparte con le leggi ad personam
(altre 8, in aggiunta alle 4 del primo governo e alle 29 del secondo: totale
41), ad aziendam e ad mafiam, l’occupazione militare della Rai, i bavagli alla
stampa, la guerra alle toghe, i conflitti d’interessi, l’oscurantismo bigotto
(vedi il decreto, bloccato da Napolitano, per impedire una fine dignitosa a
Eluana Englaro), le figuracce mondiali, gli scandali suoi e dei compari,
l’illegalità elevata a sistema. Il 25 aprile 2009 si presenta a Onna,
nell’Abruzzo terremotato, travestito da partigiano, col fazzoletto al collo,
per celebrare la sua prima Liberazione. Ovazioni da destra a sinistra. Poi
sposta a L’Aquila il G8 già previsto a La Maddalena con svariati miliardi
buttati, e si autocelebra coi grandi del mondo, Obama in testa, passeggiando
sulle macerie del sisma. Tutto fa pensare a una legislatura trionfale. Ma a
fine aprile Veronica Lario denuncia lo scandalo di una ventina di “veline” nelle
liste europee di FI (“ciarpame senza pudore”). E si scopre che il premier ha
festeggiato in quel di Casoria (Napoli) il 18° compleanno di Noemi Letizia, una
ragazza che lo chiama “Papi” e lo frequenta da quando aveva 14 anni. Veronica
annuncia il divorzio: “Mio marito è malato, non posso stare con un uomo che
frequenta minorenni”. A giugno parte un’inchiesta a Bari sulle escort Patrizia
D’Addario&C. portate a Palazzo Grazioli dal pappone Gianpi Tarantini,
pagato dal premier. Santoro, rientrato in Rai per ordine del Tribunale di Roma,
intervista la D’Addario e si occupa della trattativa Stato-mafia: B. ordina in
gran segreto alle sue quinte colonne in Rai e Agcom di trovare il modo di
“chiudere tutto” (Annozero e i pochi programmi che ancora lo infastidiscono). Nel
2010 il presidente della Camera Gianfranco Fini contesta la legge-bavaglio
Alfano contro le intercettazioni. E viene subito linciato dagli house organ di
B. per un alloggio a Montecarlo acquistato a prezzi di favore dal cognato
Giancarlo Tulliani dal patrimonio di An. Fini fonda Futuro e Libertà, che a
novembre si associa alle mozioni di sfiducia delle opposizioni. Ma Napolitano
rinvia il voto a dopo la finanziaria, dando a B. il tempo di reclutare una
trentina di deputati di centrosinistra per rimpiazzare i finiani e salvarsi in
extremis. Nel gennaio 2011 la Procura di Milano lo indaga per la prostituzione
minorile di Karima El Mahrough in arte Ruby e per la concussione ai danni di un
funzionario della Questura, a cui il premier telefonò nel maggio 2010 per far
rilasciare la minorenne dopo un fermo per furto, spacciandola per nipote di
Mubarak. Dagli atti escono fiumi di intercettazioni a luci rosse con e fra le
escort in fila per i “bunga bunga” nella villa di Arcore. Camera e Senato, con
315 e 170 voti di maggioranza, si coprono di ridicolo e vergogna sollevando un
conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato dinanzi alla Consulta contro
il Tribunale di Milano, sostenendo che B. agì nell’esercizio delle funzioni di
capo del governo per evitare un incidente diplomatico con l’Egitto di Mubarak,
noto “zio” di Ruby. In estate le Borse crollano, lo spread sfonda quota 700,
gli speculatori scommettono contro l’Italia e il governo, spaccato e inerte,
viene commissariato via lettera dalla Bce. Nel centrodestra è il fuggifuggi
generale. L’8 novembre, sul rendiconto dello Stato, il governo va sei voti
sotto la quota minima di maggioranza. Bossi invita B. a “farsi di lato”, lui
però annuncia che resisterà. Ma il crollo in Borsa anche delle aziende di famiglia
induce la figlia Marina, Fedele Confalonieri ed Ennio Doris a suggerirgli di
mollare e pensare alla “roba”. Il 12 novembre B. sale al Colle per dimettersi,
fra due ali di folla che festeggiano e lo insultano. E lascia il Quirinale da
un’uscita secondaria. Il successore è Mario Monti, a capo di un governissimo
tecnico sostenuto da tutti i partiti, eccetto la Lega Nord e l’Idv. B. sembra
finito e forse lo crede anche lui. Infatti il 24 ottobre 2012 annuncia il
ritiro e lancia Alfano alle primarie per il nuovo leader Pdl. Che non si
terranno mai. Il capo resta B., che cambia idea e si ricandida, stavolta al
Senato.
2013. Alle elezioni del 24-25 febbraio il Pdl perde
6,5 milioni di voti. Il Pd, dissanguato dalle politiche antisociali di Monti,
ne lascia per strada 3,5 milioni e arriva primo a pari merito col M5S (passato
da zero al 25,5%). Il partito di Bersani incassa il premio di maggioranza del
Porcellum solo grazie all’alleanza con Sel, ma non ha i numeri per governare. È
quel che sperava Napolitano, che rivuole le larghe intese appena bocciate dagli
elettori per tagliare fuori i vincitori 5Stelle, anche a costo di ricandidarsi
al Quirinale. Il 17 aprile Bersani incontra B. a casa di Enrico Letta per
concordare un candidato comune al Colle: Franco Marini. Tutto per sbarrare la
strada a Stefano Rodotà sostenuto da M5S e Sel. Ma sia Marini sia Prodi vengono
impallinati dai franchi tiratori Pd. Così il 20 aprile tutto è pronto per la
rielezione di Napolitano (primo caso nella storia repubblicana). Che ringrazia
B.: “Silvio ha parlato da statista”. E il Caimano ricambia cantando a
Montecitorio “Meno male che Giorgio c’è”. Il Pd gli fa pure scegliere il nuovo
premier: Enrico Letta, nipote del fido Gianni. Poi respinge la richiesta del
M5S di applicare finalmente la legge 361/1957 e dichiararlo ineleggibile. E
resta alleato di B. anche dopo le nuove condanne: in primo grado a 7 anni per
prostituzione minorile e concussione (Ruby); e in appello a 4 anni per frode
fiscale (Mediaset). In nove mesi di vita, il governo Letta fa una sola cosa
degna di nota: il rinvio di un anno della rata dell’Imu per tutti i proprietari
di prime case, inclusi i ricchissimi magnati con ville e castelli (primo punto
del programma elettorale di B.). Per il resto rimane paralizzato dai veti
incrociati Pd-Pdl. Il 1° agosto 2013 il Cavaliere è condannato definitivamente
in Cassazione per frode fiscale sui diritti Mediaset: 4 anni di carcere (di cui
3 coperti da indulto) e 2 di interdizione dai pubblici uffici (che lo rendono
ineleggibile e lo privano anche del diritto di voto). Lui fa il diavolo a
quattro contro i giudici, tenta di ricattare il Quirinale minacciando di
rovesciare il governo per avere la grazia. Napolitano gliela fa balenare
attraverso il ministro dell’Interno Alfano, ma solo in cambio delle sue
dimissioni da senatore. Che lui ovviamente non dà. Così il 27 novembre viene
espulso dal Senato per la legge Severino. Ed esce dalla maggioranza,
abbandonato però dai suoi ministri Alfano, Lorenzin, Lupi, De Girolamo, che
fondano il Nuovo Centro Destra per restare imbullonati alle poltrone. Stavolta
pare davvero finito, ma mai dire mai.
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