"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 25 luglio 2020

Virusememorie. 32 «Non dobbiamo credere che la globalizzazione sia un percorso naturale, che ci rende tutti fratelli. Al contrario è un progetto pianificato di esclusione»

Ha scritto il filosofo Leonardo Caffo in “Dopo il Covid-19”“nottetempo editrice” – che «è giunto il tempo di ripensare il nostro rapporto con l’ambiente e le altre specie di esseri viventi – tutelando anche la loro salute e quella degli ecosistemi, oltre alla nostra – e di provare a diventare “postumani” – una specie che si è evoluta non nell’aspetto fisico, ma nei comportamenti, nei paradigmi intellettuali e di relazione con l’ambiente; una specie diversa nelle abitudini alimentari, nelle relazioni ecologiche con il pianeta e in infiniti altri aspetti, che devono bloccarsi dove calpestano la vita che non le appartiene direttamente. (…).
La linea del conflitto dovrà dunque essere tracciata non in base a “come continuare ad avere le vite di prima in un contesto diverso”, ma a “come pensare contesti diversi per non avere le vite di prima”». Ossessionati come siamo collettivamente - e personalmente - dalle cronache dei disastri finanziari planetari e da una ripresa che non si intravvede, aggravata dalla pandemia tuttora in corso, ossessionati come siamo dalla persistente stagnazione dei consumi – ma mi chiedo cosa dovremmo consumare che non abbiamo di già consumato? - è come se fossero stati cancellati dai media e dalle nostre coscienze e dalle nostre preoccupazioni personali e collettive ben altri importanti argomenti. Ne vuole essere testimone fedele questo mio luogo virtuale d’incontro. Risale al dicembre dell’anno 2008 una lettura con argomento la Terra e la vita animale e vegetale sulla Terra, che è minacciata al pari delle risorse naturali ed agli ecosistemi. Mi offre l’occasione di ritornare sugli argomenti accantonati, dimenticati forse e non più sollecitati dalla pandemia terribile, erroneamente considerata come conclusa, quegli argomenti ai quali altre urgenze sembrano abbiano messo la sordina, il ritrovamento tra le mie “carte elettroniche” di quello scritto cui ho accennato di Vandana Shiva, che è studiosa di fisica, economista e ambientalista, oltre che scrittrice. Vandana Shiva è tra i leader più ascoltati del Forum Internazionale sulla globalizzazione. Ne trascrivo il testo nella sua interezza: Un tempo credevo che cucinare fosse soltanto l'anello di una catena. Adesso mi rendo conto che questo è un atto che induce la meditazione, che nutre lo spirito ed è pacifico nei confronti del mondo. Perché diventi davvero un'azione liberatoria, però, occorre che tutti - uomini e donne - cucinino. Anche i padri devono potersi dedicare a questa pratica con amore. L'industria ha fatto del cibo una gabbia, in grado di nuocere alla salute del mondo e dei corpi. La vera libertà, ormai, è poter decidere cosa piantare, innaffiare, mangiare, vendere. C'è una guerra in atto. Dichiarata contro il pianeta terra. E riguarda proprio il cibo. L'industria, le multinazionali vogliono controllare il modo in cui si alleva il bestiame e si coltivano i campi. La chimica dei diserbanti è nata dagli studi sugli esplosivi. Sostanze create per uccidere le persone, che ci fanno ammalare e continuano a uccidere in altri modi. La questione riguarda soprattutto le donne. Perché gli additivi che assorbiamo abbassano la fertilità, sono legati all'insorgere del cancro, provocano disturbi neurologici. Come se non bastassero queste conseguenze, esistono anche gravi risvolti economici: le donne, nelle culture agricole, preparano composti per nutrire in modo naturale il terreno. Gli additivi chimici li eliminano e vanificano il ruolo femminile nell'agricoltura tradizionale, rendendo le donne inutili e mettendole ai margini. La guerra al cibo diventa anche una guerra diretta ai nostri corpi. L'obesità è in aumento in tutto il mondo. Utilizziamo prodotti che non sono nati per essere mangiati, come lo sciroppo di mais o l'olio di soia. Non dobbiamo credere che la globalizzazione sia un percorso naturale, che ci rende tutti fratelli. Al contrario è un progetto pianificato di esclusione, che risucchia risorse ed economie dei più poveri, distruggendo vite e culture dietro il paravento della crescita dell'economia planetaria. Produrre cibo è dunque un'assunzione di responsabilità etica. Si tratta di fabbricare nutrimento. Per tutti. In questa ottica il profitto diventa una voce non necessaria e la rivendicazione del diritto ad avere campi senza organismi geneticamente modificati, produzioni alimentari tradizionali, condizioni ambientali senza la presenza costante dell'inquinamento, risorse rinnovabili e compatibili, potranno diventare realtà. Solo allora la rivoluzione del cibo sarà completata.

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