Tratto da “Come
il computer ci cambia la testa” di Umberto Galimberti, pubblicato sul
settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del 26 di luglio dell’anno 2014:
Scrive
Günther Anders: «La tecnica può segnare quel punto assolutamente nuovo nella
storia, e forse irreversibile, dove la domanda non è più "cosa possiamo
fare noi con la tecnica", ma "che cosa la tecnica può fare di
noi"». Non so rispondere alla (…) domanda che chiede: «Che ne sarà dell'uomo e delle sue prerogative quando tutto
sarà virtuale?», ma (…) mi è tornata in mente una storiella per bambini,
riferita da Günther Anders, in cui si racconta che un re non vedeva di buon
occhio che suo figlio si aggirasse a piedi per le campagne per formarsi un
giudizio personale sul mondo. Perciò, per risparmiargli la fatica e
facilitargli la conoscenza del mondo gli regalò carrozza e cavalli: «Ora non hai
più bisogno di andare a piedi», furono le sue parole. «Ora non ti è più
consentito di farlo» era il loro significato. «Ora non puoi più farlo» fu il
loro effetto. Certo, è più comodo scrivere una email che scrivere una lettera,
affrancarla, imbucarla e attendere la risposta, ma in questa velocizzazione che
ne è della riflessione che ha bisogno di tempo, dal momento che il nostro tempo
psichico non ha la velocità del tempo informatico? Certo, essere reperibili in
qualsiasi momento grazie al telefonino può essere di qualche utilità, ma quanta
ansia si accumula quando a un nostro messaggio non segue un'immediata risposta
(a sua volta non riflessa). E poi perché dobbiamo essere una risposta agli
altri, a scapito del nostro esser noi stessi, di cui forse abbiamo perso
persino la memoria?
Possiamo avere amici in ogni parte del mondo, ma che fine ha fatto la fisicità di un incontro, dove, dalla qualità di uno sguardo o di un sorriso, dalla mimica di un volto, da una carezza o da una stretta di mano, si capisce la sincerità di un colloquio o la sua ipocrisia? Noi siamo il nostro corpo che la virtualità elide anche in ordine alla sessualità, per inaugurare una spiritualità degradata, un nuovo Iperuranio platonico, che rifugge dal mondo sensibile gravato da quello che per Platone era l'opacità della materia. Ma soprattutto temo che l'informatica modifichi la nostra intelligenza, rendendola sempre più "convergente", quando la storia è sempre andata avanti grazie alle intelligenze "divergenti". Convergente è quella intelligenza che trova la soluzione a partire da come il problema è stato impostato (nel caso dell'informatica, il "programma"). Divergente è l'intelligenza che trova la soluzione ribaltando i termini del problema (del programma), come fece Copernico quando ipotizzò che non fosse la terra, ma il sole al centro dell'universo. È chiaro che il Potere trae vantaggio da una massa di intelligenze convergenti, quindi uniformi, quindi a "pensiero unico", quando non addirittura a "sentimento unico". Ma i fini del Potere sono anche i nostri fini? (…).
Possiamo avere amici in ogni parte del mondo, ma che fine ha fatto la fisicità di un incontro, dove, dalla qualità di uno sguardo o di un sorriso, dalla mimica di un volto, da una carezza o da una stretta di mano, si capisce la sincerità di un colloquio o la sua ipocrisia? Noi siamo il nostro corpo che la virtualità elide anche in ordine alla sessualità, per inaugurare una spiritualità degradata, un nuovo Iperuranio platonico, che rifugge dal mondo sensibile gravato da quello che per Platone era l'opacità della materia. Ma soprattutto temo che l'informatica modifichi la nostra intelligenza, rendendola sempre più "convergente", quando la storia è sempre andata avanti grazie alle intelligenze "divergenti". Convergente è quella intelligenza che trova la soluzione a partire da come il problema è stato impostato (nel caso dell'informatica, il "programma"). Divergente è l'intelligenza che trova la soluzione ribaltando i termini del problema (del programma), come fece Copernico quando ipotizzò che non fosse la terra, ma il sole al centro dell'universo. È chiaro che il Potere trae vantaggio da una massa di intelligenze convergenti, quindi uniformi, quindi a "pensiero unico", quando non addirittura a "sentimento unico". Ma i fini del Potere sono anche i nostri fini? (…).
"La libertà non è un regalo:è una conquista".(Asa Philip Randolph). "Nessuno può alienare a favore d'altri il proprio diritto naturale, inteso qui come facoltà di pensare liberamente".(B.Spinoza). "La vita è una resistenza continua all'inerzia che tenta di sabotare il nostro volere più profondo. Chi si stanca di volere, vuole il nulla".(F. Nietzsche).
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