Si racconta che Baruch Spinoza (1632-1677) in punto
di morte, nella caliginosa giornata del 21 di febbraio dell’anno 1677 in terra
d’Olanda, abbia così risposto al borgomastro della città di Amsterdam che gli
chiedeva a quale confessione volesse affidarsi per l’imminente Suo trapasso: «Ho
seguito Dio secondo i lumi che mi ha donato, l’avrei servito altrimenti se me
ne avesse dati di differenti». Traggo da “Non solo dio anche la scienza è un'invenzione” di Umberto
Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano “la Repubblica” del
19 di luglio dell’anno 2014:
Nietzsche chiede: «Come è venuta al mondo la ragione? Come è giusto che arrivasse in un modo irrazionale, attraverso il caso. Si dovrà indovinare questo caso come un enigma». Dio, dunque, (…), «non è solo un'esigenza del cuore, ma anche un'esigenza della ragione». E di questo (…) convincimento sono persuasi anche tutti coloro che, nella storia del pensiero, hanno cercato una dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio. Ma se anche la ragione fosse un'esigenza del cuore? La ragione si fonda sul principio di non contraddizione e su quello di causalità, (…) quando ipotizza un Creatore dell'universo. Il principio di non contraddizione dice che una cosa è sé stessa e non altro, che un bicchiere è un bicchiere e non altro. È vero? No. Perché un bicchiere, oltre a essere un contenitore dell'acqua, può essere anche un'arma impropria. Per questo ci affrettiamo a toglierlo dalle mani di un bambino che ancora non ha raggiunto l'età della ragione. Tutte le cose sono polivalenti quanto al loro significato e il principio di non contraddizione ci consente di usarle secondo un "unico" significato. Per questo, quando uno prende un bicchiere in mano non ci allarmiamo, perché crediamo che ne faccia un uso conforme al significato comunemente assegnato al bicchiere. Il principio di non contraddizione toglie quindi l'angoscia connessa all'imprevedibilità circa l'impiego delle cose. Il suo valore non è nella sua "verità", ma nella sua "utilità", che garantisce la prevedibilità dei comportamenti. Lo stesso può dirsi del principio di causalità. Se non ne disponessi, ogni evento mi allarmerebbe nel suo accadere imprevisto, mentre se lo conosco come "effetto" di una "causa" il suo accadere non mi sorprende perché me lo attendo. Già David Hume, nel XVII secolo, aveva affermato che il principio di causalità non è una verità, ma l'effetto di un'abitudine per aver constatato con l'esperienza una regolare successione degli eventi. Un'abitudine della nostra mente, ma non una verità. Max Planck nel 1904 destituisce di fondamento il principio di causalità, perché non è vero che un cubetto di ghiaccio "causa" il raffreddamento dell'acqua contenuta in un bicchiere, è vero piuttosto che gli atomi del ghiaccio, che per la loro bassa temperatura si muovono più lentamente degli atomi dell'acqua contenuta nel bicchiere, rallentano la velocità degli atomi dell'acqua, così come questi ultimi accelerano la velocità degli atomi del cubetto di acqua. Il raffreddamento dell'acqua nel bicchiere non è quindi l'"effetto" di una "causa", ma il "risultato statistico" di due movimenti con diversa accelerazione atomica. (…). …se l'universo richiede una causa della sua esistenza che i credenti individuano in Dio, perché non chiedere anche "chi ha creato Dio?". Perché, giunti a Dio, ci arrestiamo nella ricerca delle cause? Un giorno in treno ho sentito un bambino di 4 o 5 anni (l'età in cui i bambini chiedono di ogni cosa il "perché", che consenta loro di orientarsi in un mondo prevedibile e li sottragga all'angoscia dell'imprevedibile) che diceva alla sua mamma: «Secondo me Dio non esiste perché non ha una mamma». Se i principi della ragione sono ottimi strumenti che l'umanità ha ideato per difendersi dall'angoscia dell'imprevedibile, anche i principi della ragione rispondono a un'esigenza del cuore, che si tranquillizza quando le cose del mondo si lasciano leggere in modo univoco e quindi prevedibile. Tutto ciò non dice come accade il mondo, ma come noi lo abbiamo ordinato e interpretato per poterci vivere. E questo non vale solo per la ragione, ma anche per la scienza, che come scrive Nietzsche «vuole la regola, perché essa toglie al mondo il suo aspetto pauroso. La paura dell'incalcolabile come istinto segreto della scienza».
Nietzsche chiede: «Come è venuta al mondo la ragione? Come è giusto che arrivasse in un modo irrazionale, attraverso il caso. Si dovrà indovinare questo caso come un enigma». Dio, dunque, (…), «non è solo un'esigenza del cuore, ma anche un'esigenza della ragione». E di questo (…) convincimento sono persuasi anche tutti coloro che, nella storia del pensiero, hanno cercato una dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio. Ma se anche la ragione fosse un'esigenza del cuore? La ragione si fonda sul principio di non contraddizione e su quello di causalità, (…) quando ipotizza un Creatore dell'universo. Il principio di non contraddizione dice che una cosa è sé stessa e non altro, che un bicchiere è un bicchiere e non altro. È vero? No. Perché un bicchiere, oltre a essere un contenitore dell'acqua, può essere anche un'arma impropria. Per questo ci affrettiamo a toglierlo dalle mani di un bambino che ancora non ha raggiunto l'età della ragione. Tutte le cose sono polivalenti quanto al loro significato e il principio di non contraddizione ci consente di usarle secondo un "unico" significato. Per questo, quando uno prende un bicchiere in mano non ci allarmiamo, perché crediamo che ne faccia un uso conforme al significato comunemente assegnato al bicchiere. Il principio di non contraddizione toglie quindi l'angoscia connessa all'imprevedibilità circa l'impiego delle cose. Il suo valore non è nella sua "verità", ma nella sua "utilità", che garantisce la prevedibilità dei comportamenti. Lo stesso può dirsi del principio di causalità. Se non ne disponessi, ogni evento mi allarmerebbe nel suo accadere imprevisto, mentre se lo conosco come "effetto" di una "causa" il suo accadere non mi sorprende perché me lo attendo. Già David Hume, nel XVII secolo, aveva affermato che il principio di causalità non è una verità, ma l'effetto di un'abitudine per aver constatato con l'esperienza una regolare successione degli eventi. Un'abitudine della nostra mente, ma non una verità. Max Planck nel 1904 destituisce di fondamento il principio di causalità, perché non è vero che un cubetto di ghiaccio "causa" il raffreddamento dell'acqua contenuta in un bicchiere, è vero piuttosto che gli atomi del ghiaccio, che per la loro bassa temperatura si muovono più lentamente degli atomi dell'acqua contenuta nel bicchiere, rallentano la velocità degli atomi dell'acqua, così come questi ultimi accelerano la velocità degli atomi del cubetto di acqua. Il raffreddamento dell'acqua nel bicchiere non è quindi l'"effetto" di una "causa", ma il "risultato statistico" di due movimenti con diversa accelerazione atomica. (…). …se l'universo richiede una causa della sua esistenza che i credenti individuano in Dio, perché non chiedere anche "chi ha creato Dio?". Perché, giunti a Dio, ci arrestiamo nella ricerca delle cause? Un giorno in treno ho sentito un bambino di 4 o 5 anni (l'età in cui i bambini chiedono di ogni cosa il "perché", che consenta loro di orientarsi in un mondo prevedibile e li sottragga all'angoscia dell'imprevedibile) che diceva alla sua mamma: «Secondo me Dio non esiste perché non ha una mamma». Se i principi della ragione sono ottimi strumenti che l'umanità ha ideato per difendersi dall'angoscia dell'imprevedibile, anche i principi della ragione rispondono a un'esigenza del cuore, che si tranquillizza quando le cose del mondo si lasciano leggere in modo univoco e quindi prevedibile. Tutto ciò non dice come accade il mondo, ma come noi lo abbiamo ordinato e interpretato per poterci vivere. E questo non vale solo per la ragione, ma anche per la scienza, che come scrive Nietzsche «vuole la regola, perché essa toglie al mondo il suo aspetto pauroso. La paura dell'incalcolabile come istinto segreto della scienza».
"L'ultimo passo della ragione è il riconoscere che vi sono un'infinità di cose che la sorpassano. Essa è proprio debole, se non giunge fino a conoscere questo. Se le cose naturali la trascendono, che dire di quelle soprannaturali?" B. Pascal. C'è un"più che umano" che non riusciamo ad afferrare compiutamente, un "mistero" che intravediamo, come se la strada fosse cosparsa di segnali, ma non afferriamo...
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