"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 17 luglio 2020

Cosedaleggere. 56 «La lingua e la Sicilia, che erano la sua identità».

Il 17 di luglio dell’anno 2019 ci lasciava Andrea Camilleri. Andrea Camilleri, che è stato per tutta la Sua vita un “comunista” dichiarato “senza se e senza ma”, ebbe a scrivere, all’indirizzo di quell’anticomunista sfegatato del cavaliere di Arcore, questa “favoletta politicamente scorretta” che ha per titolo “Il Cavaliere e la morte” – postata la domenica 10 del mese di ottobre dell’anno 2004 -:
“Il Cavaliere, girando campagne e campagne, s’imbatté in una vecchia scheletrica, vestita di nìvuro, con una lunga falce in mano. La riconobbe subito e fece fare uno scarto al suo cavallo. «Schifosa comunista!», murmuriò. La Morte era d’orecchio fino e lo sentì. Si mise a ridere. «Tutte me le hanno dette! Ma comunista mai! Si può sapere perché?». «E chi è più comunista di te? Tu consideri tutti allo stesso modo, ricchi e poveri, belli e brutti, re e pezzenti! E questo non è giusto, gli uomini non sono eguali. Io, per esempio, sono il Cavaliere, l’uomo più ricco di questo paese, milioni di uomini mi ascoltano, mi seguono...». «Basta, basta», l’interruppe la Morte che non era né comunista né liberale, ma solo una grandissima carogna, «mi hai convinto. Tu sei degno di un trattamento speciale, avrò un occhio di riguardo. Ti dico l’anno, il mese, il giorno, l’ora, il minuto primo e il minuto secondo della tua morte». E glielo disse, scomparendo. Il Cavaliere, paralizzato dallo scanto e incapace di fare altro, cominciò a contare i secondi che passavano, passavano, passavano, passavano…”.

Tratto da “Camilleri e la chimica dell’amicizia”, intervista di Simonetta Fiori ad Antonio Sellerio – figlio di Elvira ed Enzo Sellerio - pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 10 di luglio 2020: (…). "Avevo cominciato in questo modo - ero ragazzo quando lo conobbi in casa editrice - e così abbiamo continuato fino alla fine, tra il mio «lei» e il suo «tu». In quel «lei» c'era molto rispetto, ma anche qualcos'altro, che però ho capito solo negli anni. Era la mia strada per riuscire a essere più diretto. La distanza si esauriva lì, in quel modo formale che mi permetteva tutto il resto: la confidenza sulle cose private, l'affetto, la prossimità sentimentale. Il «lei» era lo schermo attraverso cui passava un'intimità profonda".
C'era in Camilleri una componente paterna? "Sì, certo. Ma Andrea era attento a non calcare troppo perché un atteggiamento eccessivamente paterno avrebbe finito per fagocitare il mio ruolo di editore, per il quale manifestava un grande rispetto".
Le riconosceva il fiuto, un dono naturale come quello dei rabdomanti che sentono l'acqua sotto terra. Gliene parlava? "Sì, ma ha fatto molto di più. Ed è una cosa su cui ho riflettuto da quando non c'è più. Anche con me aveva creato quella che chiamò «l'amicizia siciliana», ossia una confidenza nutrita da silenzi, non detti, capacità di anticipare i desideri dell'altro".
In che cosa si sentì anticipato? "A un certo punto cominciò a mandare in casa editrice due copie dei suoi manoscritti: una per mia madre e una per me. Nessuno gliel'aveva chiesto. Era come se mi volesse dare un segnale, riconoscermi nel mio ruolo e farmi sentire riconosciuto. E dopo la morte di mia madre, quasi dieci anni fa, cominciò a raccontare a tutti che sin da Il sorriso di Angelica i suoi romanzi arrivavano anche sul mio tavolo. In un momento di passaggio molto delicato per la casa editrice, fortemente incentrata sulla figura di mia madre, si adoperò per testimoniare la continuità".
Lei avvertì protezione. "Mi colpì il suo gesto netto, come se allungasse una mano sulla mia testa, su quelle di mia sorella Olivia e dell'intera redazione: la casa editrice non si tocca. L'ha fatto senza dichiararlo esplicitamente, ma standoci vicino e rafforzando la sua presenza nel catalogo. Se Andrea avesse un po' allentato - questo Montalbano lo do a voi, ma quest'altro romanzo lo do ad altri editori - la Sellerio non sarebbe la stessa casa editrice che è oggi. Anche perché forse anche altri autori l'avrebbero seguito nell'andamento ondivago".
Era attento alle copie vendute? "Sì, aveva una memoria di ferro e non gli sfuggiva alcun dettaglio. Ma da scrittore non cercava mai soluzioni ammiccanti per allargare il pubblico. Era molto rigoroso. E in questi anni ha incrementato il suo impasto linguistico particolarissimo, rendendolo ancora più denso e forse meno accessibile a tutti".
La prima volta Sciascia mostrò qualche riserva sul suo stile, mentre Elvira Sellerio non ebbe alcuna esitazione. "Sì, mia madre non batté ciglio. In realtà fu proprio il primo libro pubblicato con noi nel 1983, La strage dimenticata, la sua innovazione più straordinaria. Era la prima volta che un saggio storico fosse pensato e scritto in una lingua del genere. Mentre nella narrativa l'invenzione dialettale è presente in molte letterature, nella saggistica non mi viene in mente un esempio analogo".
Sua madre poi l'avrebbe messo in guardia dall'abuso del dialetto. "Gli diceva che doveva usarlo solo quando era necessario, altrimenti sarebbe diventato una maniera".
Tra loro parlavano anche in siciliano? "Qualche battuta, non discorsi articolati. Credo che in dialetto mia madre un giorno l'abbia provocato: - è inevitabile che un giorno o l'altro finirai per mettermi le corna, ma attento: posso perdonarti solo se mi tradisci con Marilyn Monroe e non con una donnetta qualsiasi. Ci siamo capiti? -".
E lui la tradì solo con una superstar, restandole in sostanza fedele. "Fu generoso anche allora. Quando cominciò ad avere successo, in tanti si fecero avanti, talvolta con anticipi straordinari. Andrea consegnò qualche libro a Mondadori, ma mantenendo Sellerio come editore di riferimento: a noi continuò a dare i racconti di Montalbano e i romanzi storici".
Praticamente il suo cuore. "La lingua e la Sicilia, che erano la sua identità. In realtà teneva molto anche agli altri lavori. Ora siamo riusciti a riavere in catalogo quasi tutti i suoi centodieci titoli".
Da cosa nasceva l'amicizia così forte con sua madre? Lui la prima volta temette di trovarsi davanti una virago, una donna impetuosa e sbrigativa. E invece fu spiazzato dalla naturalezza dell'incontro, come se si conoscessero da sempre. "Erano due persone dotate - ciascuna a suo modo - d'una qualità rarissima, ossia della capacità di entrare in contatto profondo con l'altro. L'intesa fu immediata. E colpisce che l'amicizia sia cresciuta negli anni in cui Camilleri non pubblicava libri: dopo La strage dimenticata sarebbe rimasto fermo per altri otto anni. Nel loro rapporto l'aspetto professionale era marginale".
Camilleri restò colpito dalla generosità di sua madre in un momento di difficoltà, anche se poi non avrebbe accettato l'offerta. "Fu un dialogo molto divertente. Camilleri raccontò di essere stato sfrattato dalla casa in cui viveva, messa in vendita, e di non aver i soldi per comprarla. «Andrea non ti preoccupare, i soldi te li do io», si offrì di slancio mamma. «Ma Elvirù neppure tu ce li hai». «Non ce li ho, ma me li posso procurare più facilmente di te». Scoppiarono a ridere come ragazzi".
Che cosa le ha insegnato Camilleri? "Il rispetto delle persone con cui si lavora, anche la puntualità. E soprattutto il coraggio nel lavoro. Da diversi anni era colpito da cecità, ma trovò il modo di continuare senza cedere allo sconforto".
Da cieco volle riscrivere "Riccardino", il suo commiato da Montalbano che state per mandare in libreria. "Sì, aveva consegnato una prima stesura nel 2005, ma undici anni dopo volle rimetterci le mani perché nel frattempo era cambiata la sua lingua. Faremo due edizioni: una solo con il testo definitivo e l'altra con entrambe le stesure".
Il titolo "Riccardino" rappresenta una rottura rispetto ai precedenti titoli di Montalbano, più evocativi. "Riccardino era un titolo provvisorio a cui Andrea si era affezionato. Lo scelse diverso dagli altri proprio perché voleva rimarcare la novità del libro: un metaromanzo, più che un romanzo, dove lo scrittore dialoga con il suo personaggio letterario e con quello televisivo. E riesce a farlo senza tradire le regole del giallo".
Nasce da un gesto scaramantico. "In qualche modo sì. Manuel Vázquez Montalbán e Jean-Claude Izzo erano morti prima dei loro personaggi e Andrea diceva di non voler fare la stessa fine. Ma la ragione più profonda è che non gli piaceva lasciare le cose in sospeso: voleva essere lui, nel pieno possesso delle sue facoltà, a mettere la parola fine alla storia di Montalbano".
Lo faceva sorridere l'idea che il libro fosse conservato in cassaforte. "In realtà stava in un cassetto a casa di mamma. Ora viaggia negli scatoloni dei corrieri in quattrocentomila copie. Io l'ho letto solo quando è stato necessario. Avevo come un rifiuto, associato al significato che quel libro rappresentava".
Nella copertina compare un clown, che evoca uno degli ultimi sogni ricorrenti raccontati da Camilleri: bambini con il naso a forma di ciliegina. "Il tema circense è molto presente nel suo immaginario. Associava la sua scrittura al lavoro del trapezista che arriva alla performance dopo anni di esercizio durissimo: però al momento dell'esecuzione non deve mostrare neppure una goccia di sudore. Così è stato Andrea fino alla fine, anche nel suo libro conclusivo. Un formidabile trapezista".

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