Il
17 di luglio dell’anno 2019 ci lasciava Andrea Camilleri. Andrea Camilleri, che
è stato per tutta la Sua vita un “comunista” dichiarato “senza se e
senza ma”, ebbe a scrivere, all’indirizzo di quell’anticomunista sfegatato del
cavaliere di Arcore, questa “favoletta politicamente scorretta” che ha per
titolo “Il Cavaliere e la morte” –
postata la domenica 10 del mese di ottobre dell’anno 2004 -:
“Il Cavaliere, girando campagne e campagne, s’imbatté in una vecchia scheletrica, vestita di nìvuro, con una lunga falce in mano. La riconobbe subito e fece fare uno scarto al suo cavallo. «Schifosa comunista!», murmuriò. La Morte era d’orecchio fino e lo sentì. Si mise a ridere. «Tutte me le hanno dette! Ma comunista mai! Si può sapere perché?». «E chi è più comunista di te? Tu consideri tutti allo stesso modo, ricchi e poveri, belli e brutti, re e pezzenti! E questo non è giusto, gli uomini non sono eguali. Io, per esempio, sono il Cavaliere, l’uomo più ricco di questo paese, milioni di uomini mi ascoltano, mi seguono...». «Basta, basta», l’interruppe la Morte che non era né comunista né liberale, ma solo una grandissima carogna, «mi hai convinto. Tu sei degno di un trattamento speciale, avrò un occhio di riguardo. Ti dico l’anno, il mese, il giorno, l’ora, il minuto primo e il minuto secondo della tua morte». E glielo disse, scomparendo. Il Cavaliere, paralizzato dallo scanto e incapace di fare altro, cominciò a contare i secondi che passavano, passavano, passavano, passavano…”.
“Il Cavaliere, girando campagne e campagne, s’imbatté in una vecchia scheletrica, vestita di nìvuro, con una lunga falce in mano. La riconobbe subito e fece fare uno scarto al suo cavallo. «Schifosa comunista!», murmuriò. La Morte era d’orecchio fino e lo sentì. Si mise a ridere. «Tutte me le hanno dette! Ma comunista mai! Si può sapere perché?». «E chi è più comunista di te? Tu consideri tutti allo stesso modo, ricchi e poveri, belli e brutti, re e pezzenti! E questo non è giusto, gli uomini non sono eguali. Io, per esempio, sono il Cavaliere, l’uomo più ricco di questo paese, milioni di uomini mi ascoltano, mi seguono...». «Basta, basta», l’interruppe la Morte che non era né comunista né liberale, ma solo una grandissima carogna, «mi hai convinto. Tu sei degno di un trattamento speciale, avrò un occhio di riguardo. Ti dico l’anno, il mese, il giorno, l’ora, il minuto primo e il minuto secondo della tua morte». E glielo disse, scomparendo. Il Cavaliere, paralizzato dallo scanto e incapace di fare altro, cominciò a contare i secondi che passavano, passavano, passavano, passavano…”.
Tratto
da “Camilleri e la chimica dell’amicizia”,
intervista di Simonetta Fiori ad Antonio Sellerio – figlio di Elvira ed Enzo
Sellerio - pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 10 di luglio 2020: (…). "Avevo
cominciato in questo modo - ero ragazzo quando lo conobbi in casa editrice - e
così abbiamo continuato fino alla fine, tra il mio «lei» e il suo «tu». In quel
«lei» c'era molto rispetto, ma anche qualcos'altro, che però ho capito solo
negli anni. Era la mia strada per riuscire a essere più diretto. La distanza si
esauriva lì, in quel modo formale che mi permetteva tutto il resto: la
confidenza sulle cose private, l'affetto, la prossimità sentimentale. Il «lei»
era lo schermo attraverso cui passava un'intimità profonda".
C'era in Camilleri una componente paterna? "Sì,
certo. Ma Andrea era attento a non calcare troppo perché un atteggiamento
eccessivamente paterno avrebbe finito per fagocitare il mio ruolo di editore,
per il quale manifestava un grande rispetto".
Le riconosceva il fiuto, un dono naturale come quello
dei rabdomanti che sentono l'acqua sotto terra. Gliene parlava? "Sì, ma ha
fatto molto di più. Ed è una cosa su cui ho riflettuto da quando non c'è più.
Anche con me aveva creato quella che chiamò «l'amicizia siciliana», ossia una
confidenza nutrita da silenzi, non detti, capacità di anticipare i desideri
dell'altro".
In che cosa si sentì anticipato? "A un certo
punto cominciò a mandare in casa editrice due copie dei suoi manoscritti: una
per mia madre e una per me. Nessuno gliel'aveva chiesto. Era come se mi volesse
dare un segnale, riconoscermi nel mio ruolo e farmi sentire riconosciuto. E
dopo la morte di mia madre, quasi dieci anni fa, cominciò a raccontare a tutti
che sin da Il sorriso di Angelica i suoi romanzi arrivavano anche sul mio
tavolo. In un momento di passaggio molto delicato per la casa editrice,
fortemente incentrata sulla figura di mia madre, si adoperò per testimoniare la
continuità".
Lei avvertì protezione. "Mi colpì il suo gesto
netto, come se allungasse una mano sulla mia testa, su quelle di mia sorella
Olivia e dell'intera redazione: la casa editrice non si tocca. L'ha fatto senza
dichiararlo esplicitamente, ma standoci vicino e rafforzando la sua presenza
nel catalogo. Se Andrea avesse un po' allentato - questo Montalbano lo do a
voi, ma quest'altro romanzo lo do ad altri editori - la Sellerio non sarebbe la
stessa casa editrice che è oggi. Anche perché forse anche altri autori
l'avrebbero seguito nell'andamento ondivago".
Era attento alle copie vendute? "Sì, aveva una
memoria di ferro e non gli sfuggiva alcun dettaglio. Ma da scrittore non
cercava mai soluzioni ammiccanti per allargare il pubblico. Era molto rigoroso.
E in questi anni ha incrementato il suo impasto linguistico particolarissimo,
rendendolo ancora più denso e forse meno accessibile a tutti".
La prima volta Sciascia mostrò qualche riserva sul suo
stile, mentre Elvira Sellerio non ebbe alcuna esitazione. "Sì, mia madre
non batté ciglio. In realtà fu proprio il primo libro pubblicato con noi nel
1983, La strage dimenticata, la sua innovazione più straordinaria. Era la prima
volta che un saggio storico fosse pensato e scritto in una lingua del genere.
Mentre nella narrativa l'invenzione dialettale è presente in molte letterature,
nella saggistica non mi viene in mente un esempio analogo".
Sua madre poi l'avrebbe messo in guardia dall'abuso
del dialetto. "Gli diceva che doveva usarlo solo quando era necessario,
altrimenti sarebbe diventato una maniera".
Tra loro parlavano anche in siciliano? "Qualche
battuta, non discorsi articolati. Credo che in dialetto mia madre un giorno
l'abbia provocato: - è inevitabile che un giorno o l'altro finirai per mettermi
le corna, ma attento: posso perdonarti solo se mi tradisci con Marilyn Monroe e
non con una donnetta qualsiasi. Ci siamo capiti? -".
E lui la tradì solo con una superstar, restandole in
sostanza fedele. "Fu generoso anche allora. Quando cominciò ad avere
successo, in tanti si fecero avanti, talvolta con anticipi straordinari. Andrea
consegnò qualche libro a Mondadori, ma mantenendo Sellerio come editore di
riferimento: a noi continuò a dare i racconti di Montalbano e i romanzi
storici".
Praticamente il suo cuore. "La lingua e la Sicilia,
che erano la sua identità. In realtà teneva molto anche agli altri lavori. Ora
siamo riusciti a riavere in catalogo quasi tutti i suoi centodieci
titoli".
Da cosa nasceva l'amicizia così forte con sua madre?
Lui la prima volta temette di trovarsi davanti una virago, una donna impetuosa
e sbrigativa. E invece fu spiazzato dalla naturalezza dell'incontro, come se si
conoscessero da sempre. "Erano due persone dotate - ciascuna a suo modo -
d'una qualità rarissima, ossia della capacità di entrare in contatto profondo
con l'altro. L'intesa fu immediata. E colpisce che l'amicizia sia cresciuta
negli anni in cui Camilleri non pubblicava libri: dopo La strage dimenticata
sarebbe rimasto fermo per altri otto anni. Nel loro rapporto l'aspetto
professionale era marginale".
Camilleri restò colpito dalla generosità di sua madre
in un momento di difficoltà, anche se poi non avrebbe accettato l'offerta. "Fu
un dialogo molto divertente. Camilleri raccontò di essere stato sfrattato dalla
casa in cui viveva, messa in vendita, e di non aver i soldi per comprarla. «Andrea
non ti preoccupare, i soldi te li do io», si offrì di slancio mamma. «Ma Elvirù
neppure tu ce li hai». «Non ce li ho, ma me li posso procurare più facilmente
di te». Scoppiarono a ridere come ragazzi".
Che cosa le ha insegnato Camilleri? "Il rispetto
delle persone con cui si lavora, anche la puntualità. E soprattutto il coraggio
nel lavoro. Da diversi anni era colpito da cecità, ma trovò il modo di
continuare senza cedere allo sconforto".
Da cieco volle riscrivere "Riccardino", il
suo commiato da Montalbano che state per mandare in libreria. "Sì, aveva
consegnato una prima stesura nel 2005, ma undici anni dopo volle rimetterci le
mani perché nel frattempo era cambiata la sua lingua. Faremo due edizioni: una
solo con il testo definitivo e l'altra con entrambe le stesure".
Il titolo "Riccardino" rappresenta una
rottura rispetto ai precedenti titoli di Montalbano, più evocativi. "Riccardino
era un titolo provvisorio a cui Andrea si era affezionato. Lo scelse diverso
dagli altri proprio perché voleva rimarcare la novità del libro: un
metaromanzo, più che un romanzo, dove lo scrittore dialoga con il suo
personaggio letterario e con quello televisivo. E riesce a farlo senza tradire
le regole del giallo".
Nasce da un gesto scaramantico. "In qualche modo
sì. Manuel Vázquez Montalbán e Jean-Claude Izzo erano morti prima dei loro
personaggi e Andrea diceva di non voler fare la stessa fine. Ma la ragione più
profonda è che non gli piaceva lasciare le cose in sospeso: voleva essere lui,
nel pieno possesso delle sue facoltà, a mettere la parola fine alla storia di
Montalbano".
Lo faceva sorridere l'idea che il libro fosse
conservato in cassaforte. "In realtà stava in un cassetto a casa di mamma.
Ora viaggia negli scatoloni dei corrieri in quattrocentomila copie. Io l'ho
letto solo quando è stato necessario. Avevo come un rifiuto, associato al
significato che quel libro rappresentava".
Nella copertina compare un clown, che evoca uno degli
ultimi sogni ricorrenti raccontati da Camilleri: bambini con il naso a forma di
ciliegina. "Il tema circense è molto presente nel suo immaginario.
Associava la sua scrittura al lavoro del trapezista che arriva alla performance
dopo anni di esercizio durissimo: però al momento dell'esecuzione non deve
mostrare neppure una goccia di sudore. Così è stato Andrea fino alla fine,
anche nel suo libro conclusivo. Un formidabile trapezista".
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