Per la “giornata della Memoria” – 27 di
gennaio – il testo tratto da “Dove era
Dio? Perché Auschwitz è il simbolo del male” di Wlodek Goldkorn, pubblicato
sul quotidiano “la Repubblica” del 23 di gennaio 2020: Quindici anni fa, alla domanda perché
Auschwitz è sinonimo della Shoah, Marek Edelman, il comandante in seconda della
rivolta nel ghetto di Varsavia, rispondeva: "Auschwitz non è sinonimo di
niente, è invece la testimonianza dell'estrema miseria del fascismo". Nel
frattempo la storia è andata avanti e anche la memoria di quel luogo dello
sterminio, a metà strada fra Cracovia e Katowice, ha subito un'ulteriore
evoluzione. Il numero dei visitatori dell'ex lager nazista è in crescita
costante, l'anno scorso due milioni e 300 mila persone hanno voluto toccare con
mano l'orrore, provare l'emozione che assale il cuore di chiunque si affaccia
su quel terreno marcato dalle ceneri di almeno un milione e 100mila uomini e
donne, uccisi nelle camere a gas e i cui cadaveri, dopo aver subito l'asportazione
dei denti d'oro, furono bruciati a ritmo industriale in enormi forni crematori,
costruiti appositamente dalle industrie tedesche. Il museo di
Auschwitz-Birkenau è una meta sempre più frequentata: segno che quella memoria
è portatrice di un messaggio universale. E tuttavia resta valida l'intuizione
di Edelman: il ricordo ha un suo lato prettamente politico e quindi di parte. Quest'anno,
a 75 anni, spazio di tre generazioni, da quando le truppe dell'Armata rossa,
sulla via di Berlino, aprirono i cancelli del lager, per trovare poche migliaia
di superstiti, più moribondi che vivi (decine di migliaia furono avviati dai
tedeschi in fuga nella marcia della morte in direzione di altri lager), (…).
Brutalmente, anche la codificazione del ricordo sta diventando, sempre di più,
una questione di geopolitica e di alleanze fra Stati in un mondo in frammenti e
in mano ai sovranisti. Ma poi, resta la domanda: cosa è Auschwitz? E anche in
questo caso, la risposta dipende dal contesto. Il lager nasce in primavera del
1940, il primo comandante è Rudolf Höss (verrà impiccato non lontano dal suo
ufficio, nell'aprile 1947), i primi detenuti sono prigionieri politici
polacchi. Poi, con la costruzione di Auschwitz II a Birkenau, nel 1941, il
luogo diventa teatro dello sterminio degli ebrei. Stando ai dati dello storico
polacco Dariusz Libionka: 439 mila ebrei ungheresi, 300mila polacchi, 70mila
francesi, oltre 7.500 italiani. La maggior parte di loro non viene neanche
registrata. Dai vagoni, in arrivo dai ghetti e dai campi di transito, fra cui
Fossoli, gli ebrei sono avviati direttamente alle camere a gas: gli uomini
marciano a sinistra, le donne a destra, i bambini sono con le donne, i neonati
sono spesso strappati dalle braccia delle mamme alla discesa dai convogli, e
assassinati dalle Ss con le loro mani. Quando si parla di Auschwitz come di una
"fabbrica della morte" non va dimenticato il lato puramente sadico
della prassi dello sterminio: i carnefici godevano per le sofferenze delle
vittime. E la morte non era indolore. (…).
Fra i primi a voler commemorare i morti c'erano ovviamente gli ebrei. Era un moto quasi spontaneo di artisti, intellettuali, attivisti politici, rimasti in Polonia. Poi tutto venne istituzionalizzato e prevalse una memoria che non aveva affatto al centro il destino degli ebrei, ma seguiva l'idea staliniana della "fratellanza dei popoli vittime del nazismo" e anzi vedeva nel discorso sulla Shoah, una manifestazione di un "nazionalismo di stampo sionista". La Shoah come paradigma della memoria occidentale e come esempio del nichilismo radicale, dell'epifania del Male, del rovesciamento della Rivelazione del Sinai con i suoi dieci comandamenti, per cui i carnefici erano convinti che uccidere fosse bene, è una costruzione culturale relativamente recente e sicuramente necessaria. Un teologo ebreo André Neher parlava del silenzio di Dio. Papa Francesco in quel luogo, visitato nel 2016, volle restare silente. Le parole le ha trovate dopo, per domandare: "Dove era Dio". Primo Levi sosteneva che "se c'è Auschwitz non c'è Dio". Ma forse l'insegnamento più attuale e laico è sempre quello di Levi: "So che gli assassini sono esistiti e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale, un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità".
Fra i primi a voler commemorare i morti c'erano ovviamente gli ebrei. Era un moto quasi spontaneo di artisti, intellettuali, attivisti politici, rimasti in Polonia. Poi tutto venne istituzionalizzato e prevalse una memoria che non aveva affatto al centro il destino degli ebrei, ma seguiva l'idea staliniana della "fratellanza dei popoli vittime del nazismo" e anzi vedeva nel discorso sulla Shoah, una manifestazione di un "nazionalismo di stampo sionista". La Shoah come paradigma della memoria occidentale e come esempio del nichilismo radicale, dell'epifania del Male, del rovesciamento della Rivelazione del Sinai con i suoi dieci comandamenti, per cui i carnefici erano convinti che uccidere fosse bene, è una costruzione culturale relativamente recente e sicuramente necessaria. Un teologo ebreo André Neher parlava del silenzio di Dio. Papa Francesco in quel luogo, visitato nel 2016, volle restare silente. Le parole le ha trovate dopo, per domandare: "Dove era Dio". Primo Levi sosteneva che "se c'è Auschwitz non c'è Dio". Ma forse l'insegnamento più attuale e laico è sempre quello di Levi: "So che gli assassini sono esistiti e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale, un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità".
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