Ha scritto la carissima amica Agnese A. – che ringrazio
per la cortese Sua attenzione – a commento del post del 7 di gennaio ultimo: (…). …viviamo
ormai in un mondo dove la tecnologia è come se incatenasse le persone,
privandole spesso, anche di quelle caratteristiche irrinunciabili, in quanto
più autenticamente umane, che dovrebbero contraddistinguerle. L'amore è l'unica
ancora di salvezza per "una società mercificata". (…). L'amore nasce
dalla parte irrazionale di noi stessi ed è capace di farci rivivere il mondo
delle emozioni, sempre più disertato, per fare spazio alla società della
tecnologia. Platone nel Simposio considera l'amore una forza che permette di
trascendere la condizione umana e tendere verso l'assoluto. Quella dell'amore è
un'esperienza che consente di superare i limiti umani esistenziali e
conoscitivi. L'amore è capace di togliere l'io dal centro della sua
"egoità ". Per questo Platone erge "Amore" a simbolo della
condizione dell'uomo mai in possesso di sé e quindi sempre alla ricerca
incessante di pienezza. Il vero amore è come la stella polare nelle tempeste
della vita. Se è leale, sicuro, sincero è il più gratificante degli impegni.
Dovremmo imparare ad amare e rispettare gli altri, per vivere in un mondo
migliore. E dal ricchissimo “spicilegio” di Umberto Galimberti traggo oggi
“L'amore liquido in un mondo duro come
il cemento”, pubblicato sul settimanale “D” del 9 di gennaio dell’anno 2016,
un’altra “spiga d’oro” che non sfuggirà alla cortese attenzione dell’amica
carissima: L'arte è l'unica risposta alla mancanza di uno scopo? No, non penso che
basti "seguire le Muse". E neppure rassegnarsi alla rinuncia a ogni
responsabilità. (…), io con Zygmunt Bauman non sono molto d'accordo, perché la
società odierna a me non pare assolutamente "liquida". Anzi, (…) mi
sembra terribilmente "cementata". Se Bauman giustifica la sua tesi
facendo riferimento alla perdita di valori e dei punti di riferimento
tradizionalmente ritenuti sicuri, allora diciamo che queste cose le aveva
anticipate Nietzsche un secolo e mezzo fa, là dove parla di nichilismo, da lui
così definito: «Manca lo scopo, manca la risposta al perché? Tutti i valori si
svalutano». E prima di lui Hölderlin, là dove scrive: «Che più non son gli dèi
fuggiti e ancor non sono i venienti». E dopo di lui Heidegger, che parla del
nostro tempo come del «tempo della povertà estrema (dürftige Zeit)». Ma siccome
nessuno più legge i libri dei i filosofi e c'è addirittura l'intenzione di
togliere la filosofia dalle scuole superiori, basta inventare l'aggettivo
"liquido" per far passare come nuova un'indagine sociologica che da
tempo, chi frequenta gli autori sopra citati, già sa descritto con molta
maggior chiarezza e perspicacia. Che i valori si svalutino non è un problema,
perché appartiene al ritmo della storia. Altrimenti saremmo ancora all'età dei
Babilonesi.
Più interessante, per rifarci ancora a Nietzsche, è che «manca lo scopo», dal momento che, come i giovani sanno, il futuro è diventato imprevedibile se non addirittura minaccioso, e perciò non retroagisce come motivazione per trovare ragioni per impegnarsi e al limite per stare al mondo: «Manca la risposta al perché?». È finito il tempo dell'ottimismo con cui il cristianesimo ha segnalato il futuro come salvezza, la scienza come progresso, la rivoluzione come giustizia sulla terra, perché, come diceva Pasolini, la tecnica non tende al "progresso", qui inteso come miglioramento delle condizioni umane, ma solo a uno sviluppo afinalizzato, quindi al suo autopotenziamento, che tutti vogliono perché la tecnica appare come la condizione per realizzare qualsiasi scopo. Quanto all'arte, anch'essa non sfugge alla razionalità tecnica, se è vero che viene riconosciuta come tale solo se entra nel mercato, a sua volta regolato dalla succitata razionalità. (…). Ma (…) in una società regolata dalla razionalità tecnica, dove ciascuno deve compiere le azioni descritte e prescritte dall'apparato di appartenenza, per conseguire gli obiettivi prefissati dall'apparato, possa realizzare se stesso e le sue aspirazioni per conseguire così la propria felicità? Come già diceva Max Weber all'inizio del secolo scorso, noi viviamo in una «gabbia d'acciaio». Infatti, di "liquido" è rimasto solo l'amore, oggi coniugato con il nuovo concetto di libertà, purtroppo intesa solo come revocabilità di tutte le scelte.
Più interessante, per rifarci ancora a Nietzsche, è che «manca lo scopo», dal momento che, come i giovani sanno, il futuro è diventato imprevedibile se non addirittura minaccioso, e perciò non retroagisce come motivazione per trovare ragioni per impegnarsi e al limite per stare al mondo: «Manca la risposta al perché?». È finito il tempo dell'ottimismo con cui il cristianesimo ha segnalato il futuro come salvezza, la scienza come progresso, la rivoluzione come giustizia sulla terra, perché, come diceva Pasolini, la tecnica non tende al "progresso", qui inteso come miglioramento delle condizioni umane, ma solo a uno sviluppo afinalizzato, quindi al suo autopotenziamento, che tutti vogliono perché la tecnica appare come la condizione per realizzare qualsiasi scopo. Quanto all'arte, anch'essa non sfugge alla razionalità tecnica, se è vero che viene riconosciuta come tale solo se entra nel mercato, a sua volta regolato dalla succitata razionalità. (…). Ma (…) in una società regolata dalla razionalità tecnica, dove ciascuno deve compiere le azioni descritte e prescritte dall'apparato di appartenenza, per conseguire gli obiettivi prefissati dall'apparato, possa realizzare se stesso e le sue aspirazioni per conseguire così la propria felicità? Come già diceva Max Weber all'inizio del secolo scorso, noi viviamo in una «gabbia d'acciaio». Infatti, di "liquido" è rimasto solo l'amore, oggi coniugato con il nuovo concetto di libertà, purtroppo intesa solo come revocabilità di tutte le scelte.
Carissimo Aldo, è impossibile far passare inosservata questa "spiga d'oro" che meglio chiarisce il pensiero del Prof Galimberti sulla società odierna che, a giusta ragione, egli definisce "cementata", dove "di liquido è rimasto solo l'amore, oggi coniugato con il nuovo concetto di libertà, purtroppo intesa solo come revocabilità di tutte le scelte". Non è a questo tipo di amore, che amore, secondo me, non è, che mi riferivo nel commento del post del 7 gennaio ultimo. Quella intesa come revocabilità di tutte le scelte non è libertà, è libertinaggio perché promuove l'etica dell'edonismo. La libertà è la capacità di dominare i nostri istinti egoistici che spesso sono causa di molti atti inconsulti. La vera libertà non può prescindere dalla razionalità, dalla capacità di discernimento che induce a dire no alle cose illecite. La razionalità non si oppone affatto ai sentimenti, ma all'atteggiamento di chi cerca un facile alibi per giustificare ogni suo comportamento e all' incapacità di trovare una condotta coerente di vita. La ragione delimita i percorsi entro cui sentimenti veri e profondi possono esprimersi con la massima libertà e senza pericolo alcuno. Goleman chiama intelligenza emotiva quella capacità umana di provare emozioni e usarle in modo consapevole per il raggiungimento del proprio benessere psicologico, sempre senza intaccare quello altrui. Ma questo diventa possibile solo se si impara ad usare la ragione, ovvero a riconoscere le emozioni, a comprenderle e a gestirle nel modo giusto. Ragione e sentimento si devono muovere armonicamente, così da permettere ai processi di cambiamento di essere vissuti come autentici momenti evolutivi. L'uso intelligente delle emozioni è possibile ed auspicabile, per vivere meglio il rapporto con se stessi e con gli altri. Grazie e buona continuazione. Agnese A.
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