"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 10 gennaio 2020

Ifattinprima. 31 «Quel che resta, al netto delle mazzette, di Craxi».


“Al netto” – per usare la felice e molto azzeccata espressione di Marco Travaglio, poiché il “netto” di “lor signori” (altra storica, “melloniana” espressione) puzza sempre di sterco - “al netto”  dicevo di tutte le considerazioni possibili, quel “tipo” risulta essere a tutt’oggi un condannato definitivo dai Tribunali della Repubblica italiana. Altri giri di parole non consentono divagazioni alcune – peccato per il regista Gianni Amelio, stimato finché lo si vuole, mio pre-silano corregionale – né tantomeno insperabili – in un Paese che non sia affetto dal complesso della “redenzione” a tutti i costi anche degli umani condannati in via definitiva – mire salvifiche (politicamente scorrette, pedagogicamente sbagliate, poiché avvalorano le tesi diffusissime che “lor signori” la sfangano – da sfangare/sfan·gà·re/transitivo, nel significato arcaico di “pulire dal fango” per l’appunto - sempre) di una tristissima memoria della quale quella condanna definitiva ci fornisce la misura – “ad abundantiam” - e la perniciosa per l’intero Paese sua natura e sostanza. Tratto da “Riposi in pace, amen” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 9 di gennaio 2020:
(…). Durante i quattro anni del suo governo (1983-87) il debito pubblico passò da 400 mila a 1 milione di miliardi di lire e il rapporto debito-Pil dal 70 al 92%, di pari passo con l’impazzimento della spesa pubblica e dell’abusivismo selvaggio (anche grazie al suo mega-condono edilizio). Per il resto, il “riformismo” craxiano è una lunga galleria di orrori. In politica interna: la trattativa con le Br per liberare Moro contro la fermezza del fronte Dc-Pci-Pri; l’opposizione a ogni risanamento dei carrozzoni delle Partecipazioni statali, gestiti dai boiardi craxiani (Di Donna, Bitetto, Cagliari, Necci…) come vacche da mungere a spese dello Stato con passivi miliardari; la feroce lottizzazione della Rai, l’attacco ai giornalisti e persino ai comici scomodi (da Alberto Cavallari a Beppe Grillo) e, sotto la presidenza di Enrico Manca, la pax televisiva con la Fininvest; i due decreti ad personam del 1985-’86 per neutralizzare le ordinanze dei pretori che pretendevano di far rispettare la legge all’amico Silvio e, nel ’90, la legge Mammì, monumento al monopolio della tv privata; l’ostilità alle poche privatizzazioni giuste e necessarie (come quella della Sme, che produceva panettoni di Stato con voragini nei conti pubblici, tentata dall’Iri di Prodi nel 1985; e quella dell’Alfa Romeo, che Prodi nell’86 voleva vendere alla Ford, mentre Craxi preferì regalarla alla Fiat); l’assalto alla Mondadori tramite l’apposito B., col contorno di tangenti ai giudici; l’ingaggio come consulente giuridico del giudice corrotto Renato Squillante, che garantiva i socialisti da indagini e arresti. E, in compenso, i primi attacchi politici ai migliori magistrati e i progetti piduisti per assoggettare le procure al governo. Il referendum del 1987 sulla responsabilità civile dei magistrati per intimidire quelli che già allora stavano scoprendo le mazzette craxiane. Il proibizionismo sul consumo delle droghe leggere, che portò all’assurda legge Vassalli-Iervolino. Le prime picconate alla Costituzione in nome di una “Grande Riforma” cesarista, affidata al fido Giuliano Amato e poi ripresa anni dopo da Berlusconi. La gestione satrapica del partito, con congressi plebiscitari e antidemocratici (quando Norberto Bobbio, nel 1984, denunciò la “democrazia dell’applauso” dopo la rielezione per acclamazione di Craxi al congresso di Verona, questi lo zittì sprezzante: “Quel filosofo ha perso il senno”). Il nepotismo sfrenato, che lo portò a piazzare il giovane figlio Bobo al vertice del Psi milanese e il cognato Paolo Pillitteri a sindaco di Milano. La repressione di ogni dissenso interno, culminata nella cacciata di Codignola, Bassanini, Enriques Agnoletti, Leon, Veltri e altri, bollati nell’81 come “piccoli trafficanti della politica” e accusati di intelligenza col nemico (il Pci di Berlinguer) per aver osato sollevare la questione morale sullo scandalo Ambrosiano. Le porte spalancate a “nani e ballerine” dell’assemblea socialista. Le candidature in Parlamento di statisti del calibro di Gerry Scotti e Massimo Boldi. E, tutto intorno al Capo, preclari figuri da museo Lombroso come Larini, Mach di Palmstein, Tradati, Troielli, Raggio, Giallombardo, Parretti, Fiorini, Chiesa &C.. Senza dimenticare i traffici con Gelli e Calvi e i rapporti persino con l’entourage di Epaminonda. Tutti personaggi piuttosto lontani dalla tradizione “riformista”, tant’è che nella “Milano da bere” si diceva che il Psi era passato “da Turati a Turatello”. In politica estera, si ricorda sempre Sigonella, dove nel 1985 Craxi si sarebbe opposto intrepido alla tracotanza di Reagan. In realtà sottrasse al blitz Usa i terroristi palestinesi che avevano appena sequestrato la nave Achille Lauro e assassinato un ebreo paralitico, Leon Klinghoffer, gettandone il cadavere in mare; si impegnò a farli processare in Italia; poi fece caricare il loro capo Abu Abbas su un aereo dei servizi segreti recapitandolo prima nella Jugoslavia di Tito e poi in Iraq, gradito omaggio a Saddam Hussein. Fu l’acme di una politica filoaraba e levantina che portò all’appoggio acritico all’Olp di Arafat (ben prima della svolta moderata), paragonato da Craxi addirittura a Mazzini in pieno Parlamento. Quanto all’europeismo craxiano, basta ricordare l’appoggio dato a regimi sanguinari e corrotti come quelli del tagliagole somalo Siad Barre in cambio di leggendarie ruberie sulla “cooperazione”. E il capolavoro della guerra delle Falkland, nel 1982, quando Bettino si schierò col regime dei generali argentini (quelli che avevano fatto sparire migliaia di oppositori) contro la Gran Bretagna appoggiata da tutto l’Occidente. Ecco quel che resta, al netto delle mazzette, di Craxi. Lasciatelo riposare in pace, ché è meglio.

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