Tratto da “Non
siamo più Homo Sapiens”, intervista di Roberto Saviano allo storico e
saggista israeliano Yuval Noah Harari, pubblicata sul settimanale “Robinson”
del quotidiano “la Repubblica” del 27 di luglio dell’anno 2019: (…). Davvero
la storia dell’uomo è l’epica storia del debole che trionfa sul forte? (…). «Il
potere degli uomini non è determinato dal singolo individuo ma da una
collettività, poiché gli esseri umani da soli sono creature deboli. Un uomo non
è solo più debole di un mammut o un elefante, ma anche degli scimpanzé o dei
lupi. Noi umani riusciamo a dominare il mondo perché cooperiamo meglio di
qualsiasi altro animale sul pianeta. (…). Cinquantamila anni fa la Terra non
era popolata da una sola specie umana ma almeno da sei differenti specie
ominine, tra cui i nostri antenati Homo sapiens in Africa. L’Italia era
popolata dai Neanderthal e in Estremo Oriente si trovava Homo erectus e così via.
Quando Homo sapiens si è diffuso sul pianeta le altre specie ominine sono
scomparse. E sono scomparsi anche molti altri animali. In effetti sembra che
Homo sapiens sia una sorta di killer ecologico che ha annientato
sistematicamente altri animali, specialmente quelli che ci assomigliano di più.
Più un animale ci assomiglia, più costituiamo un pericolo per quella specie.
Roberto Saviano: Viene da sorridere pensando che molti saranno infastiditi dall’idea che tutti gli italiani discendano dagli africani. Ma i Neanderthal sono stati solo sterminati o sono stati anche assimilati? YH: Esistono prove che mostrano come in qualche caso Homo sapiens abbia avuto relazioni sessuali con membri di altre specie ominine. Per esempio, la maggior parte degli europei contemporanei e la maggior parte degli italiani hanno qualche antenato neanderthaliano. Il 96-98 per cento del patrimonio genetico appartiene a Homo sapiens, mentre il 2-3 per cento a quello di Neanderthal. Quindi, circa quarantamila anni fa, i nuovi immigrati dall’Africa Homo sapiens ebbero qualche relazione romantica o sessuale con i Neanderthal da cui discese prole fertile.
RS: L’uomo, quindi, si è fatto avanti a
“sportellate” nella storia, facendo stragi su stragi per arrivare dove è
arrivato. Mi chiedo se faccia parte del patto per dominare questo pianeta la
ferocia dell’uomo... YH: Non sono sicuro che sia necessario. Credo che gli
esseri umani abbiano sempre la possibilità di scegliere. Nella storia, gli
umani hanno scelto di eliminare certi gruppi etnici o religiosi. Ma non era
necessario, non era inevitabile. È noto che un secolo fa i nazisti pensavano
che, per creare un mondo migliore, fosse necessario sterminare quelle che
secondo loro erano razze umane inferiori.
RS: In realtà, quindi, quello che conta
nell’evoluzione è come uccidere, come controllare l’altro. Il Sapiens non
poteva tollerare che esistessero cugini. Noi siamo la razza frutto del grande
massacro dei nostri simili. Vince chi ammazza di più? YH: Non è proprio così.
Gli uomini hanno creato un mondo migliore nel corso degli ultimi decenni grazie
alla cooperazione, non grazie alla guerra, alla violenza e allo sterminio.
RS: Cooperazione come frutto
dell’evoluzione, della maggiore intelligenza, così credevo. Dai suoi libri,
invece, è chiaro che pensare che il nostro antenato preistorico fosse meno
intelligente è assolutamente un errore. Il progresso ha finito per renderci più
stupidi? YH: A livello individuale è così. Probabilmente siamo meno
intelligenti e meno capaci dei nostri antenati dell’Età della pietra: non
sapremmo sopravvivere in quelle condizioni. Occorreva sapere molte cose ed
essere dotati di capacità intellettuali e fisiche eccezionali. Capacità di cui
è priva la maggior parte di noi. Per esempio, se mi prelevaste e mi gettaste
nella savana africana e dovessi sopravvivere confidando solo sulle mie forze,
morirei in pochi giorni. Io non so come procurarmi da mangiare, non so come
cucire i vestiti che indosso. Non so come costruire un qualsiasi strumento. Io
sono uno storico e so scrivere libri. Mi pagano per scrivere libri e tenere
conferenze sulla storia. Da queste attività ricavo i soldi con i quali vado al
supermercato e per qualsiasi cosa di cui abbia bisogno dipendo dagli altri. La
maggior parte di noi sa fare soltanto poche cose. Per questo come individui, in
effetti, siamo meno capaci dei nostri antenati. Ma come collettività di
individui, come società umane, siamo mille volte più potenti. Quello che
abbiamo davvero imparato a fare è riuscire a cooperare efficacemente, con
modalità sempre più sofisticate, su larga scala.
RS: Osservare il pensiero strategico dei
Sapiens, che gli ha permesso di costruire la lancia migliore, di ragionare su
come soggiogare gli altri animali, può indurci a interpretare la capacità di
dominio umana come fondata sulla sola qualità logica. Lei, invece, riesce a
dimostrare che la specificità umana è un’altra. YH: La cosa davvero
stupefacente è il modo in cui cooperiamo: la cooperazione che ci
contraddistingue rispetto agli altri animali si fonda sulla nostra capacità di
creare storie inventate. Se si guarda a qualsiasi esempio di cooperazione umana
nel corso della storia, si vede che non è necessariamente fondata sulla verità,
ma piuttosto sull’abilità di persuadere un numero significativo di persone
della stessa storia inventata, frutto della nostra immaginazione.
RS: È l’immaginazione, quindi, ciò che rende
il Sapiens diverso da qualsiasi altra specie animale con cui condivide questa
Terra. La capacità di fabbricare miti che permettono la costruzione di identità
e tracciano una direzione comune è determinante nell’evoluzione biologica. Noi
crediamo ai miti non perché siano veri, ma sono veri perché li raccontiamo. Ma
è stata proprio la capacità di racconto a rendere l’Europa centrale nella storia
dell’umanità? YH: Al riguardo esistono teorie di ogni tipo, ma nessuna è
davvero convincente. Non sembrano esserci ragioni geografiche o biologiche
europee. Se fosse stato qualcosa di profondamente radicato nella biologia degli
europei, come si spiega allora il fatto che prima del XIV e del XV secolo
nessun importante sviluppo abbia avuto luogo in Germania o Francia o Spagna e
che anche oggi assistiamo a una riduzione dell’influenza dell’Europa?
RS: Perché tra tutti i continenti è stata
proprio l’Europa a marcare il segno di una superiorità militare e tecnologica?
In fondo c’erano anche altri imperi – cinese, mongolo, indiano, inca… – che non
erano meno ricchi e vasti dei nostri, eppure il colonialismo è un’invenzione
europea… YH: In realtà questa idea del colonialismo e dell’imperialismo non è
solo europea, la troviamo in quasi tutte le culture umane. È vero che nell’età
moderna l’Europa divenne il centro più importante per gli sviluppi tecnologici
e scientifici e aumentò anche il suo potere militare e il suo domino politico.
È un fenomeno nuovo. L’Europa non aveva mai ricoperto un ruolo così
fondamentale nella storia. Basta risalire a prima del XIV o del XV secolo. Ma
poi avvengono due rivoluzioni: quella scientifica e quella capitalista ed
entrambe portano alla rivoluzione industriale che dà all’Europa il potere di
conquistare e dominare il mondo intero. Non disponiamo di una buona teoria che
spieghi il motivo per cui la scintilla di queste rivoluzioni si accese in
Europa.
RS: E ora che ne è della centralità europea?
YH: L’Europa non sarà la potenza dominante del prossimo secolo. L’era della
dominazione europea è stata piuttosto breve nell’arco della storia umana. È
durata solo tre o quattro secoli al confronto dei tanti millenni di storia
trascorsi. I poli più influenti oggi sono gli Stati Uniti e l’Asia orientale.
Eppure, anche gli Stati Uniti sono il risultato o il frutto dell’imperialismo
europeo e persino l’attuale Asia orientale può essere considerata una
derivazione europea. Le istituzioni di queste aree sono in gran parte il
risultato delle idee e delle istituzioni europee. Basti pensare alla scienza,
ai sistemi finanziari e ai sistemi politici che oggi troviamo in Cina, Corea e
Giappone.
RS: Il latino fu lingua franca, la lingua
dell’Impero; il francese fu la lingua imposta da Bonaparte, la lingua della
diplomazia; la Spagna impose sul continente americano il castigliano; l’inglese
si è poi imposto con il commercio; il cinese mandarino, la lingua più diffusa
al mondo, è parlato da oltre 800 milioni di persone. Ma nessuna di queste,
imposta dal denaro o dalla quantità di persone che la parlano, ha raggiunto una
vera universalità. YH: Oggi tutti coloro che vivono sul pianeta Terra parlano
una sola lingua: questa lingua è la matematica. Che abitiate in Cina, Australia
o Brasile, non fa differenza: la lingua che domina le istituzioni, l’economia e
la politica è la matematica ed è precisamente questo il linguaggio di cui
l’imperialismo europeo ha favorito la diffusione in tutto il globo.
RS: Dalla lingua universale della matematica
nasce la rivoluzione degli algoritmi, forse paragonabile a quella
dell’identificazione del primo frumento addomesticato, che permise all’uomo da
semplice cacciatore e raccoglitore di diventare agricoltore. È dal frumento addomesticato
che si è sviluppata la società così come la concepiamo oggi. YH: Io penso che
ciò a cui assistiamo oggi ha probabilmente un impatto evolutivo persino
maggiore di quello dell’invenzione dell’agricoltura e dell’allevamento, perché
l’attuale rivoluzione dell’intelligenza artificiale e della biotecnologia ci
offre la possibilità di cambiare l’umanità stessa, e non soltanto la nostra
economia, quello che mangiamo, la società e la politica. Le precedenti
rivoluzioni, sia che si tratti della rivoluzione agricola, dell’ascesa
dell’Impero Romano o della diffusione della cristianità, hanno cambiato le
società ma non hanno modificato il corpo e la mente umani. Ma ora queste nuove
conoscenze renderanno possibile per la prima volta la trasformazione del corpo,
del cervello e della mente. Verranno così create nuove forme di entità con un
numero di caratteristiche diverse da noi maggiore di quello che ci differenzia
dagli altri ominidi o dagli scimpanzé.
RS: Quindi sta per nascere una superspecie?
Noi siamo gli ultimi esemplari di una specie destinata a essere superata? La
velocità della tecnologia ha reso il Sapiens inadatto, troppo limitato? YH: La
trasformazione del Sapiens potrà prendere avvio da piccoli cambiamenti, per
esempio la modifica del nostro Dna tramite l’ingegneria genetica. Del resto,
l’unica differenza tra i Neanderthal e noi consiste in un ristretto numero di
differenze genetiche: i Neanderthal erano in grado di produrre soltanto dei
coltelli di selce, ma noi produciamo navette spaziali e bombe atomiche. Ma può
verificarsi un evento ancora più estremo, quando entra in azione l’intelligenza
artificiale in combinazione con la biotecnologia: creare cyborg, entità che
mescolano l’organico con parti inorganiche, ovvero qualcosa che non abbiamo mai
visto prima nel corso di quattro miliardi di anni di vita sulla Terra. Finora
tutte le evoluzioni della vita si sono basate su componenti organiche. Adesso
siamo sul punto di poter progettare entità che almeno in parte non lo sono.
RS: Abbiamo intravisto la commistione tra
corpo umano e robot nella letteratura di Isaac Asimov, di Ursula Le Guin, di
Philip Dick, di Aldous Huxley. Ora umano e tecnologico si stanno fondendo, e
sta accadendo nel nostro presente. YH: Questo è il cambiamento nell’evoluzione
della vita più rilevante che si sia mai verificato. È un mutamento che la
grande maggioranza della gente non riesce a cogliere, non comprende l’enormità
della rivoluzione sulla quale ci stiamo affacciando. Se la mia mano viene
staccata dal corpo e viene posta in un’altra stanza non funzionerà, ma questo
non accade a un cyborg. A un cyborg non occorre la coincidenza spaziale per
funzionare, quindi è possibile connettere il cervello organico a un braccio
bionico. Il braccio non deve essere necessariamente attaccato al resto del
corpo, può trovarsi nella stanza accanto o nell’abitazione a fianco o anche
nella città più vicina o addirittura in un altro Paese e tuttavia può
continuare a funzionare. Pertanto, l’idea complessiva di quello che significa
essere un organismo vivente cambierà quando disporremo della capacità di
connettere direttamente, per esempio, i cervelli ai computer.
RS: Declinata in questo modo, la fusione di
umano e tecnologico potrebbe sembrare un supporto in grado di aiutare l’uomo a
superare i suoi limiti biologici. Eppure, leggendo il suo Homo Deus, è chiaro
che già stiamo assistendo a un’inversione dei rapporti tra umano e tecnologico:
supporto sembra essere diventato l’organico e a dominare è sempre più
l’inorganico, sotto forma di algoritmo o di intelligenza artificiale. Quando
usiamo uno smartphone, non siamo solo noi a guardarlo, ma è lo smartphone che
sta guardando noi. YH: Oggi le persone entrano in contatto tra loro attraverso
i loro smartphone, i loro computer e un numero crescente di decisioni sulle
nostre vite sono prese da questi strumenti. Ma tra venti o trent’anni la
tecnologia contenuta in uno smartphone sarà inserita direttamente nei nostri
cervelli tramite elettrodi e sensori biometrici. Sarà in grado di monitorare
quello che accade all’interno del corpo e del cervello in ogni momento. Potrà
conoscere i miei desideri, le mie sensazioni, i miei sentimenti persino in modo
più accurato di quanto io stesso ne abbia percezione, e sempre più questa
tecnologia si troverà nelle condizioni di prendere decisioni al mio posto.
Pensiamo alle applicazioni nel campo della prevenzione medica o negli affari o
nelle relazioni sentimentali. Potendo fare affidamento sulla potenza di questi
computer e algoritmi, ci lasceremo guidare in misura crescente da loro, che
diventeranno così parti integranti di noi stessi.
RS: È il totalitarismo delle macchine? La
dittatura dell’algoritmo? Possono i social network e le società informatiche
che possiedono i nostri dati arrivare a controllare ogni aspetto della nostra
vita? Siamo ormai consapevoli di essere guidati dall’algoritmo ogniqualvolta
siamo indotti a comprare o a vedere ciò che il nostro computer ci suggerisce.
Ma quando si può parlare di una situazione di regime? YH: I sintomi di una
situazione pericolosa sono sostanzialmente di due tipi. Il primo è quando
troppo potere e informazione si concentrano nelle mani di sempre meno persone o
di una minoranza o di una singola istituzione. Se una singola istituzione, che
sia un governo o un’azienda o un gruppo religioso, ha troppo potere sulla
società, questa è la premessa per un regime totalitario. L’altro sintomo
dell’ascesa di un regime totalitario si verifica quando diventa impossibile
cercare la verità o pubblicare la verità. Il dittatore, o il partito autoritario
al potere, affermando di rappresentare la volontà popolare, usano questo
argomento per fermare le persone o le istituzioni che hanno il compito di
trovare la verità. Affermano che la gente non è interessata alla verità. È
importante ricordare che persino le elezioni democratiche non ruotano attorno
alla ricerca della verità, bensì ai desideri della gente.
RS: Nel suo ultimo libro, 21 lezioni per il
XXI secolo, lei dimostra che i dati sono per l’epoca contemporanea quello che
era la terra un tempo, cioè la risorsa più importante. E mette in guardia: se i
dati si concentreranno nelle mani di pochi, non si avrà una divisione in classi
sociali, come accaduto in passato, ma una divisione dell’umanità in specie
differenti. YH: In precedenza, nella storia, la disuguaglianza è stata
principalmente di ordine economico e politico. Alcuni individui detenevano
grandi ricchezze e potere politico e altri individui non possedevano né le une
né l’altro. Ma si trattava pur sempre degli stessi esseri umani, con le stesse
caratteristiche biologiche. Il pericolo è che nel XXI secolo la disuguaglianza
economica si trasformi in disuguaglianza biologica. Avremo la tecnologia che ci
permetterà di potenziare il nostro corpo e il nostro cervello. E i ricchi
potrebbero evolvere per diventare biologicamente diversi dalle masse della
popolazione. E in questo modo il genere umano si suddividerebbe in differenti
caste biologiche. Questo è qualcosa che non abbiamo mai visto prima nella
storia dell’uomo: potremmo avere degli esseri umani potenziati e degli esseri
umani ordinari con capacità differenti.
RS: Fino a quando l’uomo controlla la
tecnologia, la tecnologia può essere al suo servizio, ma ora che la tecnologia
controlla l’umano, cosa potrebbe accadere? YH: Stiamo acquisendo la capacità
tipicamente divina di creazione e distruzione e il rischio è che non sapremo
maneggiare questi immensi poteri e finiremo con usarli male. In fondo è
all’incirca lo stesso processo che ha riguardato il sistema ecologico: possiamo
dire di aver acquisito poteri divini sul resto degli animali e delle piante,
dei fiumi e delle foreste, e possiamo anche dire di aver usato male i nostri
poteri. E ora il sistema ecologico è completamente squilibrato ed è prossimo al
collasso. Stiamo acquisendo il potere di cambiare il nostro mondo interiore, il
nostro cervello, e di nuovo potremmo fare un cattivo uso di questo potere e
invece di questi esseri umani potenziati potremmo finire col creare qualcosa
che non sarà migliore di noi: potenti come divinità ma irresponsabili e
insoddisfatti.
RS: Mi piace la sua abilità nel tracciare
interpretazioni macrostoriche, come se dipingesse una tela impressionista il
cui unico protagonista è la nostra specie. In questa complessità d’analisi le
chiedo uno sforzo di sintesi: mi indichi l’immagine che più di tutte descrive
il nostro tempo. YH: Un’immagine che mi ha colpito è quella della consacrazione
di papa Ratzinger: nella foto, un migliaio di persone in Vaticano ha gli occhi
puntati sul pontefice; otto anni dopo, alla consacrazione del nuovo Papa, nella
stessa identica situazione, nella stessa immagine, tutti tengono in mano uno
smartphone. La realtà è mediata dallo smartphone.
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