Tratto da “Una
democrazia fondata sul populismo” di Roberto Esposito, pubblicato sul
quotidiano “la Repubblica” del 24 di gennaio 2020: Quando, nel suo discorso di
insediamento alla Casa Bianca, Trump affermava che non era lui a parlare, ma il
popolo americano, esprimeva qualcosa che andava ben oltre una vittoria
elettorale. Quello che nelle sue parole si compiva era il percorso aperto
qualche decennio prima da Perón, allorché sosteneva di incarnare nella propria
persona il popolo argentino. Non diversamente Chávez aveva dichiarato di non
essere un individuo, ma l’intero popolo venezuelano. A unire tali dichiarazioni
è più che un’aria di famiglia. È un cambio di paradigma riassunto efficacemente
da Matteo Salvini all’indomani delle elezioni italiane: «Il punto non è più
destra contro sinistra, ma popolo contro establishment». Confinato fino a poco
fa nella periferia del mondo, il populismo si è progressivamente installato al
cuore della democrazia occidentale. Ma cosa è davvero il populismo? Come si
genera e soprattutto come cambia, una volta andato al governo? È solo un
avversario politico del liberalismo o l’anticamera di un nuovo tipo di
fascismo? Una risorsa o una minaccia per la democrazia? (…). Il populismo non è
un nemico venuto dall’esterno, ma un prodotto deformato della stessa
democrazia. Non solo perché nasce dai suoi scompensi – l’allagarsi delle
disuguaglianze sociali, il prevalere delle potenze finanziarie globali a
scapito degli interessi nazionali –, ma perché resta formalmente dentro il
perimetro democratico. Non intende rovesciare i suoi istituti, come fa il
fascismo, ma li “stressa” al punto da minarne il funzionamento. Sostituendo al
classico clivage destra/sinistra il discrimine popolo/casta, divarica i
presupposti della democrazia rappresentativa. Da un lato assolutizza il
principio maggioritario, attribuendo alla parte vincente il ruolo del tutto.
Dall’altro declassa i principi liberali della separazione dei poteri e dei
diritti costituzionali a ostacoli da superare. Il presupposto dei suoi
sostenitori – non solo di destra, ma anche raffinati intellettuali di sinistra
come Ernesto Laclau, Chantal Mouffe e Nancy Fraser – è il contrasto di fondo
tra democrazia e liberalismo, teorizzato a suo tempo da Carl Schmitt in
funzione antiparlamentare. (…). …una democrazia populista può esistere, almeno
fin quando il populismo non entri in contrasto con i suoi stessi presupposti.
Che sono da un lato il rapporto immediato tra popolo e movimento – attraverso
l’uso ininterrotto del web – e dall’altro l’identificazione salvifica tra
movimento e leader. Ora, se entrambe le cose risultano realizzabili stando
all’opposizione, diventano problematiche quando il movimento populista va al
governo. Intanto perché deve, prima o poi, trasformarsi in partito. E poi
perché viene meno la sua proclamata diversità dalle altre forze politiche.
Entrambe queste difficoltà sono attualmente sperimentate dai 5Stelle, (…). ...molte
delle contraddizioni espresse dal populismo risalgono, prima ancora che agli
scompensi della democrazia, alla costituzione delle categorie politiche
occidentali, fin dall’origine sdoppiate in due significati disomogenei. Per
esempio il termine “popolo” è stato inteso da sempre in due sensi diversi e
contrastanti, riconducibili da un lato alla “parte popolare” e dall’altro
all’intera cittadinanza, ora alla plebs ora al populus. L’altra considerazione
è che il modo più efficace per affrontare i populismi dilaganti sta nel
ripensare radicalmente il rapporto tra movimenti e istituzione. Non solo
istituzionalizzando i movimenti, ma anche “mobilitando le istituzioni”.
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