“Sirene, rifugi e paura: l’odio che chiama odio”, testo della scrittrice israeliana Manuela Dviri scritto nella ricorrenza del secondo anniversario del “7 di ottobre” e riportato su di un supplemento de’ “il Fatto Quotidiano” del 4 di ottobre 2025: Un certo cabalista noto in ambienti esoterici israeliani già da tempo prediceva l'arrivo del Messia. Ma avvertiva: sarebbe stato preceduto da catastrofi di ogni tipo, pandea, guerre, attentati, e inimmaginabili avvenimenti di ogni genere. Ci è andato vicino. Il Covid che come catastrofe non scherza, è stato solo l'inizio. Poi una prima grande disgrazia per Israele: la caduta del governo Bennet Lapid, le elezioni e il ritorno al comando di un uomo tanto abile quanto cinico e corrotto, circondato da una coalizione da brividi di fascisti, messianici, incapaci e lecchini. Era tornato lui. Benjamin Netanyahu. L'angelo della distruzione. E con lui l'annuncio della temuta riforma giudiziaria. E l'inizio della protesta. Ogni sabato sera, invia Kaplan a Tel Aviv, siamo diventati "i kaplanisti". Cittadini che manifestavano in modo civile ed educato, senza rompere una vetrina o ferire un poliziotto. Senza cercare lo scontro interno. Almeno all'inizio. Ne avevamo già vissute troppe, di guerre. E se il governo di destra si dichiarava contrario a ogni dialogo o soluzione con i palestinesi, anche noi che la pensavamo diversamente eravamo stati sedotti dall'idea che si potesse continuare a vivere tranquillamente senza affrontare il problema vero, l'elefante nella stanza. Poi, esattamente due anni fa, hanno suonato improvvisamente gli allarmi. Un intero paese è sceso nei rifugi. Era iniziata nello sbalordimento generale, la guerra con Gaza. (Più tardi a Hamas si sarebbe unito anche Hezbollah dal Libano). Per ore ci siamo scambiati messaggi tra figli e nipoti e amici e parenti per sapere chi era stato colpito e dove e come, mentre alle redazioni iniziavano ad arrivare disperate richieste di aiuto e negli ospedali file di cittadini si mettevano in fila per donare sangue. Altri cittadini già aprivano le loro case al centro e nord del paese per gli abitanti al confine con Gaza che scappavano terrorizzati. Da mia figlia arrivò dal kibbutz Yad Mordechai la sua migliore amica M. con le figlie e il cane. Al contrario di altri kibbutz vicini, il suo si era salvato per miracolo, malgrado i terroristi avessero tentato di infiltrarsi anche lì. Furono salvati dalla squadra di sicurezza interna a cui apparteneva anche suo marito. Che rimase nel kibbutz per continuare a proteggerlo anche nei mesi seguenti. M. e le ragazze rimasero da mia figlia più di un mese, forse di più, e l'atmosfera in casa cambiò come se una nuvola nera avesse coperto la luce. La tristezza e il trauma erano tangibili. Ogni giorno tornavano da un funerale. Compagni di scuola, alunni della madre. M. era stata l'insegnante di uno dei bambini Brodutch, rapiti con la madre e Abigail, la bimba di tre anni dei vicini. I suoi fratelli, Michael e Amalia, si salvarono chiudendosi in un armadio per sette ore. Abigail riuscì a salvarsi strisciando da sotto il corpo del padre ucciso. Sporca di sangue fu raccolta da Hagar Brodutch che se la portò con sé e i suoi figli Ofri, Yuval, e 0riya quando furono presi in ostaggio. Avihai Brodutch, il padre, si piantò invece con una seggiolina di plastica e un cartello davanti al ministero della difesa. Il cartello diceva "rivoglio la mia famiglia". Non sorprese nessuno in quelle ore che proprio i gruppi della protesta e della dimostrazione, i "Kaplanisti", ormai già organizzati ed efficienti, si fossero ripresi per primi dallo choc e fossero stati i più rapidi a muoversi per organizzare i primi aiuti ai disgraziati abitanti dei kibbutz e Moshav della zona di Otef Aza (cioè intorno a Gaza). Anche i generali in pensione della protesta, bollati da Bibi come "anarchici kaplanisti”, tutti signori di una certa età, si presentarono subito a combattere rispondendo senza esitazioni alla muta richiesta d'aiuto. Le vittime, riconosciute col passare dei giorni, arrivarono a 1200 morti e 250 ostaggi, e a migliaia di feriti. Uno di quegli attempati generali, ex vice capo di stato maggiore, deciderà mesi dopo di entrare in politica. È Yair Golan, che creerà il partito dei democratici. I superstiti intanto iniziano a parlare: dei colpi sulle porte di casa, del disperato tentativo di nascondersi e infine della strage: spari, sangue, urli, disperazione, stupri, suppliche. Mogli hanno visto morire i mariti e mariti hanno visto morire mogli, bambini sono rimasti soli e/o rapiti, e poi c'è stato anche il saccheggio, la distruzione, la devastazione. Gli ostaggi. L'attacco di risposta deciso dal premier e dal governo sarà violentissimo. I bombardamenti feroci. Le vittime palestinesi, in numeri paurosi. Poi anche la fame. Tutto diventa rapidamente spettacolo mediatico, propaganda e guerra psicologica. Persa da Israele naturalmente. Mentre l'apparato di Hamas è rapidissimo e spregiudicato. E non ha regole di alcun genere nella guerra santa voluta da Dio (la jihad). Già in quei giorni si comincia ad avvertire un odio feroce nei confronti di Israele e degli israeliani, prima nei campus americani, poi ovunque nel mondo. Poi l'odio si allarga rapidamente anche verso gli ebrei in generale, (vedi omicidio in Inghilterra durante la preghiera di questo kippur). Nascono in quei giorni anche le idee cospirative come quella che sostiene che non è possibile che i migliori servizi segreti del mondo, il Mossad e lo Shin Bet, non sapessero cosa si stesse organizzando a Gaza praticamente sotto il loro naso. Che era tutto finto, il pogrom un'invenzione israeliana per permettere a Netanyahu di iniziare la strage dei gazawi. Pensavo che quelle ore, quei primi giorni, fossero stati tra i peggiori mai vissuti nella mia vita. E mi sbagliavo. Ci sarebbe stato di peggio. Per me gli eventi successivi sono diventati un'unica massa di immagini e parole. Non ne ricordo le date. Solo le sensazioni: l'uccisione dell'arci-nemico Nasrallah, quella di Sinwar e fratello, la fuga di Assad da Putin, i 12 giorni di guerra con l'Iran che lasciano il segno in palazzi squarciati dai missili a Tel Aviv.
"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".
giovedì 20 novembre 2025
Doveravatetutti. 38 Tomaso Montanari: “Hannah Arendt ci ha insegnato che «nessuno ha il diritto di obbedire»”.
Picasso non indaga sui sentimenti dei massacratori, nel suo
Massacro in Corea. Citando Goya e Manet, in questo grande dipinto su legno egli
rappresenta l'eccidio di Sinchon (1950), dove l'esercito sudcoreano e quello statunitense
eliminarono circa 35 mila persone: egli Io fa ritraendo i soldati come automi
ubbidienti, maschi armati che compiono senza fiatare l'esecuzione di massa di
donne e bambini nudi. Soldati e comandante disciplinati, efficienti,
ubbidienti: docili strumenti di uno sterminio. Non ne conosciamo i nomi, così
come non vediamo i volti di quelli che compongono il plotone di esecuzione
dipinto da Picasso. Un terribile anonimato grava sui carnefici: un anonimato
che li cancella dalla storia, senza tuttavia cancellarne le responsabilità
individuali, un combinato disposto che configura la più terribile delle
condanne morali. Cosa avrebbero detto costoro alla "Norimberga" che
li avesse processati? Forse: «ho obbedito»? Ma Hannah Arendt ci ha insegnato
che «nessuno ha il diritto di obbedire». Non valeva ad Auschwitz, non valeva in
Corea: non vale a Gaza. Nel quadro di Picasso i volti dei soldati-carnefici
sono nascosti da elmi strani: elmi senza tempo, e senza una precisa identità
storico-stilistica, quasi fossero manufatti non umani. Forse perché quegli elmi
negano l'umanità di chi li indossa, affogano il loro libero arbitrio. Ma anche
perché rappresentano i capi politici, gli alleati più o meno lontani, i
concittadini e le concittadine che non insorsero contro i massacri perpetrati
in loro nome. E, ancora, perché così questa diventa una vera opera aperta,
nella quale ogni generazione può vedere rappresentato Io sterminio che avviene
sotto i suoi occhi, e può immaginare che sotto quelle celate si trovino i volti
dei potenti del suo tempo. Sarebbe del tutto legittimo esporre oggi questo
quadro con un titolo che dicesse: Il genocidio di Gaza. E allora, sotto gli
elmi del plotone di esecuzione immagineremmo non solo i volti di Netanyahu e
dei suoi ministri criminali e terroristi, ma anche quelli di Trurnp, Merz,
Macron, Meloni, Salvini, dei mercanti d'armi e dei giornalisti conniventi, e di
tutti coloro che si sono girati dall'altra parte... e infine anche il nostro
stesso volto, se non faremo di tutto per spezzare l'attesa di morte che ancora
grava su un popolo intero. Davvero nessuno potrà perdonare noi occidentali, se
non ci strappiamo di dosso quegli elmi. E senza capire questo, non capiremo mai
nemmeno Picasso. (Tratto da “Chi c’è dietro l’elmo dei massacratori”
di Tomaso Montanari pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del
14 di novembre 2025).
I missili Houthi di giorno e di
notte. E i rari momenti di gioia quando gli ostaggi iniziano a tornare dalla
prigionia a Gaza. Ma ne restano ancora una ventina nei tunnel di Gaza. Anche le
dimostrazioni in Israele aumentano e ce ne sono per tutti i gusti. Da quella
soft alla "piazza degli ostaggi" a quella più dura davanti al
ministero della difesa, a quella durissima con le foto dei bambini palestinesi
morti sotto le bombe a Gaza. A quella a Gerusalemme, la più importante, perché
lì risiede il governo e il parlamento. Ma Netanyahu vuole ancora guerra. Finché
c'è guerra c'è governo. Idem Hamas, responsabile non meno di Netanyahu della
sofferenza del suo popolo. Poi si è mosso Trump. Spero che il suo piano
funzioni, perché ciò che vivono le famiglie degli ostaggi, vivi o morti, è uno
strazio che non ha fine. Perché i gazawi sono allo stremo. Perché anche noi non
ne possiamo più. Perché questa guerra non ha più senso. Se mai le guerre hanno
un senso. Perché i problemi di questa terra martoriata vanno risolti una volta
per tutte. Odio chiama odio e guerra chiama guerra, e solo la riconciliazione
può fermare la spirale. Il Kippur il giorno dell'espiazione e del perdono è
appena passato. Abbiamo bisogno di entrambi.
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