"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 31 ottobre 2019

Memoriae. 14 «Medicare le parole presuppone che si dica la verità ai cittadini».


La “memoria” di oggi risale al mercoledì 7 di dicembre dell’anno 2011. Ci aveva pensato l’Europa a disarcionare l’indomito “cavaliere d’Arcore”, ché la “brava gente” degli italiani se lo sarebbe coccolato per un altro quindicennio ancora.

mercoledì 30 ottobre 2019

Strettamentepersonale. 23 «Le galline pensierose».


Quadro primo. “Una gallina un po’ incerta”. Una gallina un po’ incerta andava in giro per l’aia brontolando: - Chi sono io? Chi sono io?- Le compagne si preoccuparono perché pensavano che fosse diventata matta, finché un giorno una le rispose: - Una cogliona -. La gallina un po’ incerta da quel giorno smise di vaneggiare. “
Quadro secondo. “Una gallina sapiente”. Una gallina sapiente voleva insegnare alle compagne a contare e a fare le addizioni. Su un muro del pollaio scrisse i numeri da 1 a 9 e spiegò che mettendoli insieme se ne potevano ricavare altri più grandi. Per insegnare le addizioni scrisse su un altro muro: 1 + 1=11; 2 + 2=22; 3 + 3=33 e così via fino a 9 + 9=99. Le galline impararono le addizioni e le trovarono molto convenienti.

martedì 29 ottobre 2019

Cosedaleggere. 12 «Il nostro nido è il mondo e vi domina una nidiata di imbrattatori».


Tratto da “Giovani Chisciotte crescono” di Erri De Luca, pubblicato sul settimanale “Robinson” del quotidiano la Repubblica del 26 di ottobre 2019: (…). La legalità può stabilire con una maggioranza parlamentare di incriminare per favoreggiamento all’immigrazione clandestina il pescatore che tira a bordo e salva dall’annegamento un naufrago nel Mediterraneo. È esistita questa legge, con il pieno sigillo della legalità. Resta però contraria al sentimento di giustizia. Salvare una persona in pericolo di vita non è solo un diritto naturale ma è anche un obbligo. Altrimenti si omette soccorso, reato imperdonabile dalla propria coscienza. (…). Sento arrivare un’epoca di nuova gioventù che ha urgenza di trovare un nuovo equilibrio (…). Un verso del poeta latino Virgilio dichiara questo paradosso: ”La sola salvezza per i vinti è non sperare in nessuna salvezza”. Strano pensiero affidare la salvezza alla disperazione. Sono stato a bordo di una nave di Medici Senza Frontiere che nel Mediterraneo scippava dal naufragio persone in pericolo di vita. Traversavano il mare dall’Africa all’Italia su canotti sovraccarichi e scadenti. In quelle settimane ho visto salire a bordo più di ottocento persone, tra queste delle madri con figli in braccio. L’istinto di protezione materna è il più forte impulso naturale. Allora cosa era più potente per spingere una madre a mettere in pericolo grave la vita di suo figlio? La risposta appartiene al verso di Virgilio: non sperare in alcuna salvezza. La disperazione è la più potente forza motrice delle emigrazioni, perciò affronta qualunque rischio e non si fa respingere da nessun ostacolo. A bordo di una nave soccorso nel Mediterraneo ho conosciuto la verità sulle ragioni di chi si stacca, come l’eroe di Virgilio, dalla sua città in fiamme. L’Europa dopo l’ultima guerra, la più catastrofica della sua storia, ha fatto la scelta di scongiurare il ritorno di altri scontri tra nazionalismi. Ha costituito una unione di stati e di popoli rimuovendo le frontiere interne. Oggi esiste una generazione nata e cresciuta dentro quest’area geografica comune. I suoi titoli di studio valgono in ogni paese membro, le sue monete anche. I giovani di Europa sono liberi di andare a cercare ovunque nel suo spazio la migliore occasione per farsi valere. Questa gioventù si manifesta senza simboli religiosi perché li contiene tutti. Non si lascia dividere in schieramenti. Si occupa di mondo per fondare una nuova alleanza col pianeta. Le sue ragioni e urgenze di riparare torti e guasti a danno della terra non possono essere smentite. Possono essere ignorate da poteri attuali ma sono ragioni e urgenze insuperabili. Un personaggio della letteratura spagnola, Chisciotte, si batte da solo contro le ingiustizie e viene continuamente sconfitto. La sua grandezza consiste nel rimettersi in piedi ogni volta per affrontare una nuova impresa, sempre in inferiorità numerica. Così è alla lettera invincibile, non può essere vinto una volta per tutte.

lunedì 28 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 63 «Fascista è chi il fascista fa».


Questa “letturadeigiornipassati” ha anticipato di un anno giusto quella che sarebbe stata ed è stata la vittoria delle destre in Umbria. Poiché è fuor di ogni ragionevole dubbio che gli italiani “brava gente” aspirino ad avere un conductor che risolva loro tutti i problemi, senza sfacchinar troppo. Lo si diceva per l’appunto anche nel post del 26 ultimo – “Il pericolo siamo noi” – come dato sociologico ed antropologico di questa “deriva” che è propria del sentire degli italiani “brava gente”. Sarà un florilegio da domani in  poi ascoltare i soloni della televisione per cercare di capire il come ed il perché, quando è proprio la Storia che ce lo spiattella quel tratto di ricercata inconsapevolezza propria dei popoli adusi a cercare l’uomo della bacchetta magica. Sappiam bene come vanno a finire simile (dis)avventure. Oggi non ci rimane che sia il corso delle cose a darci la cifra e la giusta chiave di lettura delle vicende odierne. Ha scritto Sergio Luzzatto in “Paura odio vanità: Mussolini fa rima con Salvini”, pubblicato sul settimanale L’Espresso del 28 di ottobre dell’anno 2018: «Fascista è chi il fascista fa», dice un anonimo maschio - «come direbbe Forrest Gump», spiega l’autrice - dal disegno di copertina di  “Istruzioni per diventare fascisti” . Ed è il primo dei due messaggi importanti lanciati da Michela Murgia in questo libriccino prezioso, preziosissimo: più ancora che un contenuto, il fascismo è un metodo. Lo è sempre stato, fin da quando Benito Mussolini lo inventò, proprio cento anni fa, nell’Italia del primo dopoguerra. Il fascismo è il metodo di chi fa lotta politica non già combattendo un anniversario, ma costruendo un nemico. È il metodo di chi sa mascherare una realtà verticale in illusione orizzontale, di chi sa travestire il comando dall’alto in investitura dal basso, e la distanza del potere in comunione dei corpi. È il metodo di chi parla come mangia, e mangia con le mani come picchia con la lingua, perché sa che la politica resta, in ogni caso, potere dell’uomo sull’uomo (ancora di più, potere dell’uomo sulla donna).

domenica 27 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 62 «Insegnanti efficaci».


Faccio precedere - straordinariamente - “La personalità dei professori” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano la Repubblica del 27 di ottobre dell’anno 2012, da una bella “paginetta” proposta oggi in lettura ed alla giusta riflessione tratta dal volume “Insegnanti efficaci” di Thomas Gordon. La “paginetta” pone al centro di ogni discorso educativo l’incontestabile primato che nella dolce e faticosa “arte dell’educare”  spetta all’attenzione che porrà l’educatore più motivato nell’intrecciare e sviluppare i suoi rapporti personali con i giovani affidatigli. È dalla natura corretta e spesso non lineare di questo rapporto che l’Autore ne fa discendere anche il conseguimento dei migliori risultati nell’impegno scolastico: (…). … insegnare può essere anche molto frustrante e deludente (…). Cos’è allora che rende diverso l’insegnamento che funziona da quello che fallisce e l’insegnamento che procura soddisfazioni da quello che invece provoca solo stress? C’è un fattore che influisce in maniera rilevante sul risultato finale ed è il grado di capacità dell’insegnante nello stabilire un determinato rapporto con gli studenti. È proprio la qualità di questo rapporto che è importante; ancor più di ciò che si sta insegnando, è determinante il modo in cui l’insegnamento viene impartito. Nei rapporti interpersonali il dialogo può essere sia costruttivo che distruttivo, esso può distaccare l’insegnante dagli studenti oppure creare uno stretto legame tra loro.

sabato 26 ottobre 2019

Memoriae. 13 «Il pericolo siamo noi».


La “memoria” di seguito riportata risale al 24 di settembre dell’anno 2008. Non si erano materializzati ancora sulla scena politica del bel paese né il governo della “rottamazione” né tantomeno il governo del “cambiamento”. La “memoria” principia con un brevissimo “incipit” tratto dal quotidiano l’Unità del 12 di agosto di quell’anno, poiché il glorioso quotidiano che fu creatura di Antonio Gramsci era solito riportare in bella evidenza gli “incipit” interessanti – come per tantissime altre citazioni – nella cosiddetta “striscia rossa”: Neri Marcorè sulla “caccia al nero” nelle spiagge di Pedaso e Porto San Giorgio: «È come se l’intolleranza si fosse istituzionalizzata, chiunque si sente superiore al senegalese, al somalo, al pakistano, e persino all’italiano che si ribella a tutto ciò. Certi gesti indefinibili compiuti da ministri della Repubblica, che non vengono deprecati, puniti, autorizzano i cittadini a comportarsi allo stesso modo. Quando i comportamenti sono negativi i risultati sono l’innalzamento della brutalità, della barbarie». A distanza di dieci anni abbiamo rivissuto quanto l’attore denunciava in quel settembre 2008. Cosa concluderne? Che in fondo quella “brava gente” degli italiani quel “vizietto” lì lo possiede e ne fa uso e consumo nelle epoche storico-politiche più impensabili. In fondo quel “capitano” lì conosce sin troppo bene l’indole di quella “brava gente”. Che a tutt’oggi gli riconosce, con sonanti consensi, d’essere da quel “capitano” ben rappresentati. Trascrivo il resto della “memoria”: Riporto di seguito l’intervista che Maria Serena Palieri ha raccolto dal sociologo inglese Anthony Giddens e che è stata pubblicata sul quotidiano l’Unità. L’intervista ha per titolo “Il pericolo siamo noi” e rappresenta una riflessione a tutto campo da parte dell’illustre studioso. Con essa si sottolinea come il ricorso alla paura collettiva sia stato uno strumento valido in tutte le epoche per calamitare il consenso popolare, ed in pari tempo essa ha rappresentato sempre e rappresenta tuttora uno specchietto per le allodole al fine di deviare l’attenzione e la consapevolezza sociale da problemi molto più pressanti e gravidi di tragiche conseguenze. Lo studioso inglese punta la sua attenzione soprattutto sui drammatici problemi ecologici che sono giunti oramai ad un punto di non ritorno, almeno per quanto riguarda lo sfruttamento estremo delle risorse energetiche fossili. La sua onestà intellettuale lo spinge ad accennare alle contrapposte scuole di pensiero nell’ambito delle infinite discussioni sulle prospettive del pianeta Terra; e sembra non voler a spada tratta schierarsi con uno dei due campi contrapposti, ricordando quanto sia difficile definire e classificare la pericolosità o meno di quelle paure che opportunisticamente vengono agitate dai potenti del mondo.

venerdì 25 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 61 «Poi solo tre euro all'ora».


Tratto da “Diploma, laurea e poi solo tre euro all'ora” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano la Repubblica del 25 di ottobre dell’anno 2014: Bel messaggio, per i giovani, che studiare non serve a nulla. Eppure in troppi casi è tragicamente vero. Dov'è e cosa fa la politica, che dovrebbe trovare il rimedio? (…). …in questo periodo, in cui tanto si discute dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, mi chiedo:

giovedì 24 ottobre 2019

Ifattinprima. 15 «Giovanna d’Arco non l’avrebbe mai fatto».


In una intervista rilasciata a commento del ritiro del cardinale Joseph Ratzinger dal seggio papale il teologo Hans Küng ebbe a sostenere: Professor Küng, per lei che ha sempre contestato l’infallibilità papale, che valore ha il ritiro del Papa? «È una smitizzazione solo per tutti coloro i quali vedono nel Papa un vice-Dio in Terra, e non prendono in considerazione il fatto che anche il Papa è solo un uomo, e quindi per forza di cose il suo magistero è limitato dal Tempo ».
Il ritiro è stato l’atto più importante del suo pontificato? «Presumo che il pontificato di Joseph Ratzinger resterà nella Storia della Chiesa perché egli è stato il primo Papa del tempo moderno che ha deciso di ritirarsi. Per questo resterà negli Annali».
Il ritiro e le parole (…) del Papa aprono nuove speranze? «Apre la speranza che finalmente ora la crisi della Chiesa cattolica e del ruolo del Pontefice siano riconosciute anche in Vaticano. (…).
(…). Auspica che i futuri Papi si preparino a non restare Papi fino alla morte? «La regola dell’anzianità dei vescovi dovrebbe valere anche per il vescovo di Roma. A partire dal 75mo anno i vescovi devono offrire il proprio ritiro. Fu introdotta dal Cardinale Suenens. Gli chiesi perché avesse escluso il Vescovo di Roma, il Pontefice. Mi rispose che altrimenti non avrebbe raccolto una maggioranza. Adesso constatiamo quanto sia negativo che un Papa resti in carica troppo a lungo, o fino a un’età troppo avanzata».
Il suo bilancio di questo pontificato è negativo? «Temo che resterà nella Storia piuttosto con un bilancio negativo, con deficienze e limiti, e occasioni perdute. Il caso del vescovo antisemita Williamson, o il mancato accordo su una maggiore comprensione con le chiese ortodosse e protestanti».
Crisi delle vocazioni, esodo dei fedeli: la crisi della Chiesa è drammatica. (…). «(…). La Curia romana era contro il Concilio Vaticano II prima che si tenesse, durante il Concilio ha impedito ciò che voleva, e dopo ha guidato la restaurazione con i devastanti effetti di crisi. Se questa Curia non verrà riformata e trasformata in centro efficiente, ogni riforma sarà impossibile. La Curia è l’ostacolo principale al rinnovo della Chiesa, a un dialogo ecumenico e a un’apertura al mondo moderno». (…). È in quel contesto di sempiterne lotte intestine all’interno del mondo vaticano che si troverebbe oggi una spiegazione plausibile ed accettabile di quel grave episodio di cui ha scritto Alessandro Robecchi ieri su “il Fatto Quotidiano” con il titolo “Il furto degli idoli: la saga della chiesa meglio di Dan Brown”:

mercoledì 23 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 60 «I salari arrancano ecco chi paga il conto della crisi».


Tratto da “Crescita, ma i salari arrancano ecco chi paga il conto della crisi” di Marco Ruffolo, pubblicato sul settimanale “A&F” del quotidiano la Repubblica del 23 di ottobre dell’anno 2017: La ripresa gonfia i portafogli delle famiglie? O li lascia malinconicamente leggeri? In che misura tutti quei “più” che leggiamo davanti a grandezze come Pil, produzione, fatturato, occupazione, si stanno effettivamente traducendo in buste paga più pesanti, in redditi meno magri? Insomma, quando la famiglia italiana media si fa i conti in tasca, può dire di essersi lasciata alle spalle la più grave recessione che abbia mai conosciuto dal dopoguerra ad oggi? Se lasciarsela alle spalle significa tornare ai livelli pre-crisi, a quelli di dieci anni fa, la risposta è certamente negativa. Il potere d’acquisto delle famiglie, dice l’Istat, si è ridotto dell’8 per cento. Dietro questo calo, tuttavia, scopriamo andamenti molto diversi tra loro: un vero e proprio tonfo per il reddito da lavoro autonomo (meno 15%), e una risicata tenuta per salari e stipendi (meno 1,1). Ma anche quest’ultimo dato, come vedremo, nasconde tragitti assai differenti, persino opposti. Al netto dell’inflazione, ci dice l’Istat, la retribuzione media dei dipendenti è scesa dai 29.738 euro del 2007 ai 29.419 del 2016. E le cose non sono cambiate un gran che quest’anno. In sostanza, rispetto a dieci anni fa, il dipendente medio italiano con la sua paga si trova a dover rinunciare a beni e servizi per 319 euro. Dunque, prima conclusione: nei tre anni di crescita del Pil non siamo stati capaci di riprendere la corsa interrotta un decennio fa. Come dieci anni fa. Nel migliore dei casi, siamo tornati ai blocchi di partenza. E non è poco, visto il crollo subito da tutte le grandezze economiche durante la crisi. Ora però ci si chiede se vi siano margini per far ripartire la corsa delle retribuzioni. Ad auspicarlo questa volta sono le stesse autorità monetarie che in passato predicavano la moderazione salariale: la Banca d’Italia di Ignazio Visco, e soprattutto la Bce di Mario Draghi. Visco e Draghi sanno che il fenomeno dei bassi salari non è solo italiano. “In molte economie avanzate, a cominciare dall’Europa – si legge nel nuovo World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale – la crescita dei salari nominali resta marcatamente sotto i livelli precedenti la grande recessione del 2008-2009”. E questo frena sia l’inflazione (che nell’eurozona non riesce ad avvicinarsi all’obiettivo del 2%) sia la ripresa, a causa dell’evidente debolezza dei consumi. Ma quali ostacoli si frappongono in Italia a una crescita dei redditi familiari? Per capirlo bisogna fare un salto indietro. Tra i segni più evidenti lasciati dalla lunga crisi economica, c’è una frattura profonda che ha diviso il mondo del lavoro dipendente. Da una parte il ciclone della crisi si è abbattuto sull’industria manifatturiera, che ha conosciuto una delle più massicce perdite di manodopera. Dall’altra è cresciuto un terziario poco produttivo e di bassa qualità, che ha assorbito una parte di quella manodopera e che continua tuttora a creare nuovi posti, anche se poveri. I "sopravvissuti". Anni terribili quelli tra il 2008 e il 2014 per i lavoratori dell’industria e delle costruzioni: 900 mila occupati in meno, dice l’Istat, con una perdita del 13%, che arriva al 20% se il calcolo si fa sui dipendenti tra il 2007 e il 2016. Eppure qui, nonostante la crisi, salari e stipendi reggono e anzi aumentano. La contrattazione nazionale continua a funzionare. E così nell’ultimo decennio le retribuzioni nominali nell’industria salgono del 24%, e quelle reali (al netto dell’inflazione) dell’8,5, in controtendenza rispetto all’andamento nazionale. Insomma, chi è riuscito a restare a bordo, chi ha conservato a fatica il posto in fabbrica e nei cantieri ha visto il proprio potere di acquisto aumentare, e non di poco. A partire dal 2014, tuttavia, le industrie sopravvissute, e alleggerite dalla grande emorragia di posti, hanno cominciato a contenere l’aumento dei salari per reggere alla concorrenza estera. Certo, teoricamente avrebbero potuto puntare sulla produttività invece che tenere bassi gli stipendi, ma uscivano da una recessione che aveva impedito loro di investire, di sostituire macchinari obsoleti. E la moderazione salariale ai loro occhi rappresentava l’unica via d’uscita per restare sull’unico mercato che tirava: quello estero. La povertà del terziario. Alberghi e ristoranti, servizi alle famiglie e alle imprese: è stato soprattutto questo terziario a fare in qualche misura da ammortizzatore della grande emorragia di lavoratori. Fino al 2014, almeno una piccola parte di quei 900 mila occupati rimasti senza lavoro nell’industria e nelle costruzioni, lo ritrova proprio in quei servizi: poco più di 100 mila. Poi, negli anni successivi, con la ripresa economica, le assunzioni nel terziario accelerano a un ritmo del tutto imprevisto: un altro mezzo milione entro il 2016. Il risultato è che da qualche mese, soprattutto grazie ai servizi, gli occupati complessivi in Italia sono tornati per la prima volta ai livelli pre-crisi, ossia sopra i 23 milioni. In questo forte recupero, giocano un ruolo fondamentale gli sgravi contributivi alle assunzioni stabili, utilizzati dalle imprese nel 2015 e 2016. È proprio grazie ad essi se dalla fine della crisi ad oggi più della metà delle assunzioni è stata a tempo indeterminato. C’è però un rovescio della medaglia in questa ondata di ritorno del lavoro: la maggior parte dei nuovi impieghi è di bassa qualità e mal pagata. Tra il 2007 e il 2016, ci dice l’ultimo rapporto annuale dell’Istat, il già basso stipendio reale dei dipendenti di alberghi e ristoranti (25.046 euro lordi) si è ridotto a 24.402 euro: il 2,6% in meno. E cali anche maggiori hanno riguardano il potere di acquisto di chi lavora nella sanità e nell’assistenza (meno 8%), nell’istruzione (meno 10,4), nel pubblico impiego (meno 7,9%), nelle attività finanziarie e assicurative (meno 9,5), tra facchini, imballatori e addetti alle consegne (meno 4,5). Si tratta proprio di quei mestieri che hanno visto crescere i posti di lavoro. Insomma, più occupazione povera in cambio di minori salari. Come testimonia anche una recente relazione della Commissione Lavoro del Senato. Gli effetti finali Il risultato di questa sconvolgente ricomposizione del lavoro, ce lo dà di nuovo l’Istat: durante gli anni della crisi, fino al 2014, l’occupazione a basso reddito è cresciuta dell’8%, quella di media retribuzione è crollata del 12%, mentre quella a reddito elevato (dirigenti, imprenditori e professionisti) è rimasta stabile.

martedì 22 ottobre 2019

Cosedaleggere. 11 «La sinistra è ciò che lascia il libero gioco al divenire».


A lato: 1913. Il sindacalista Alceste de Ambris festeggia la vittoria socialista alle elezioni a Parma.

Tratto da “La sinistra è un desiderio” di Giuseppe Genna, pubblicato sul settimanale L’Espresso del 13 di ottobre 2019:

lunedì 21 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 59 «Scopo della scuola è addestrare al senso critico».


Una rappresentazione delle condizioni della scuola pubblica – per come la ricordo ancora, dopo tanti lustri che ne sono uscito - ce la rende Manara Valgimigli in “La mia scuola”, testo pubblicato nel lontano 15 di gennaio dell’anno 1920:

domenica 20 ottobre 2019

Cosedaleggere. 10 Lussemburgo: «Ricchi con le tasse altrui, mentre l’Europa affonda».


Tratto da “Juncker killer d’Europa” di Paolo Biondani e Leo Sisti, pubblicato sul settimanale L’Espresso del 28 di ottobre dell’anno 2018: Una voragine nei conti dei 28 Paesi dell’Unione europea: mille miliardi di euro all’anno, tra elusione ed evasione fiscale. Multinazionali che non pagano le imposte e smistano decine di miliardi di dollari dei loro profitti, accantonati grazie a operazioni finanziarie privilegiate in Lussemburgo, verso altri paradisi rigorosamente “tax free”. Stati membri dell’Unione che si fanno concorrenza sleale sulle tasse.

sabato 19 ottobre 2019

Ifattinprima. 14 Quel “trilione” sottratto al benessere comune.


Avete idea di cosa sia un “trilione”? Siamo nel campo delle misure non facilmente intuibili. Ci chiarisce Wikipedia che un “trilione” è un numero naturale – enorme scoperta - che equivale a un miliardo di miliardi, ossia ad un milione alla terza potenza (1 000 000 000 000 000 000) o, ancor meglio - secondo sempre Wikipedia – al banalissimo 10 di diffusa conoscenza elevato però alla diciottesima potenza. Insomma, il “trilione” equivale anche a un milionesimo di quadrilione. Ed il “quadrilione”? Avendo a cuore la nostra salute mentale è il caso di chiudere immediatamente la pagina di Wikipedia. Un “trilione” di cosa? Non certo di ricchezza distribuita per il benessere collettivo. Nulla di tutto ciò al tempo del rampante capitalismo finanziario. È quanto si sottrae al benessere comune per depositarli nei cosiddetti “paradisi fiscali” per quell’un per cento di umani che vive a sbafo con la finanza creativa (copyright l’allora ministro Giulio Tremonti). Ma la cosa che sorprende è che tra quei “paradisi fiscali” si annoverano financo il Lussemburgo, che ha espresso l’ultimo presidente - uscente - della Commissione europea ed il paese – virtuoso quanto? - dei tulipani. Il danaro non “olet”, a tutte le latitudini. E pensare che la denuncia arriva dal “Fondo monetario internazionale” presieduto sino a qualche mese addietro dall’ineffabile signora Christine Lagarde che, vedi un po’, è stata imbarcata di recente nella Banca centrale europea in qualità di presidente. Ne ha scritto in “La bolla dei fondi fantasma” Eugenio Occorsio sul settimanale A&F del 14 di ottobre 2019:

venerdì 18 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 58 «Che cos’è l’umanità? È la maniera di fare esperienza della morte nella vita».


Superata la politica detta della “rottamazione” ne è seguita la politica del “rinnovamento”, con il suo imprevisto, patetico fallimento. E come ad ogni stormir di fronde, si riprende oggigiorno a parlare di “fine vita” e di quant’altro attiene a questa esperienza ultima degli umani. Se ne riparla alla luce della sentenza della Cassazione che non ha intravisto reato alcuno nel gesto tutto umano di alleviare tormenti e sofferenze ad un fratello in umanità. C’è stata, in anni lontani oramai, e che a nulla ha portato sul piano della legislazione, la tragedia di Eluana Englaro, tragedia della quale  Massimo Adinolfi, sul quotidiano l’Unità del 9 di settembre dell’anno 2012 – “Eluana, dibattito senza umanità” –,  ebbe a scrivere: (…). Nel Parlamento, il decreto legge presentato il 7 febbraio 2009 dall’allora ministro Sacconi per stabilire con urgenza che «l’alimentazione e l’idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere sospese» doveva contenere la soluzione: fermare il padre di Eluana, impedire che Eluana fosse ammazzata, come gridò il senatore Quagliariello in aula, in una sequenza agghiacciante e memorabile che il film ripropone. (…). Che cos’è l’umanità? Io non saprei dire altrimenti: è la maniera di fare esperienza della morte nella vita, della vita nella morte. La vita e la morte non sono infatti come le due facce di un foglio, l’una in ogni punto opposta all’altra, e dunque destinate a non incontrarsi mai. Per questo non è mai bastato ripetere con Epicuro che quando c’è la morte non ci siamo noi, mentre quando ci siamo noi non c’è la morte, per cui non abbiamo da preoccuparci, dal momento che non la incontriamo mai. Invece la incontriamo. La vita incontra la morte, proprio in quanto è vita umana, (…)

giovedì 17 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 57 «Dio, il dolore, l'amore».


Tratto da “Dio, il dolore, l'amore: tre modi per parlare di noi” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano la Repubblica del 17 di ottobre dell’anno 2015: Scriveva Heidegger: «Non sempre una domanda chiede una risposta. La risposta, infatti, è solo l'ultimissimo passo del domandare». Se dovessi stilare una classifica degli argomenti più gettonati (…), al primo posto c'è Dio, al secondo il dolore, al terzo l'amore. Fanno eccezione le lettere dei giovani che parlano con angoscia del loro futuro, raramente d'amore, quasi mai di Dio. E le lettere delle persone anziane che parlano del loro passato tendenzialmente per deplorare il presente, senza nessun accenno al futuro. I primi tre argomenti, i più gettonati, a me paiono tra loro molto connessi perché unico è il tema: la fatica di vivere, sia che si parli di Dio, di dolore o d'amore. Ma incominciamo dalla tematica religiosa. Gli atei che, (…), non si danno pace per il fatto che esistono persone che credono in Dio e che naturalmente considerano inferiori perché ancora non sono approdati all'uso della ragione, a mio parere sono religiosi quanto i credenti, perché comunque insistono sulla tematica di Dio, e rivendicano la loro identità nella semplice negazione della sua esistenza. Nietzsche questo lo aveva capito perfettamente e perciò fa annunciare la morte di Dio non dall'ateo, ma dal folle. Con quella morte, annuncia la fine della cultura occidentale che, senza Dio, ha perso il suo punto di riferimento e la gerarchia dei valori che ne discendono. Una lezione che non abbiamo ancora imparato. Poi ci sono gli agnostici che si limitano a non prendere posizione e, avvolti nella loro aria di superiorità, perché non vogliono confondersi né con gli uni né con gli altri, non hanno il coraggio di staccarsi da Dio nè di aderire alla sua rivelazione. Dante li avrebbe collocati nell'inferno tra gli ignavi. La loro ignavia sta nel fatto che non vogliono impegnarsi in nessun pensiero. Per loro è troppo faticoso pensare. Infine ci sono i credenti, e lo sono per mille ragioni. Alcuni per educazione, perché se fossero nati in un ambiente musulmano crederebbero in Allah; altri, dall'identità debole, perché hanno un gran bisogno di appartenenza e preferiscono la Chiesa Cattolica alla massoneria, al Rotary, alla bocciofila del paese; altri ancora perché non trovano un senso della vita se non affidandosi alla fede cristiana che lenisce il dolore e invita all'amore; altri infine perché rispondono all'esigenza incondizionata propria della natura umana che, non accontentandosi dell'esistente, vuole trascenderlo. Molte altre sono le motivazioni che spingono a credere, a mio parere tutte giustificabili, purché non intervenga l'intolleranza, la peggiore prerogativa delle religioni monoteiste quando si propongono come verità assolute. In questo caso, come opportunamente avverte Karl Jasper, non abbiamo più a che fare con un credente (Glaubende), ma con un militante della fede (Glaubenskämpfer), non dissimile dagli atei che, (…), «non si danno pace». Alla fede in Dio è connesso anche il secondo tema più gettonato: il dolore. E la ragione è che la religione sottrae il dolore alla sua insensatezza iscrivendolo in un senso, perché lo legge come espiazione della colpa e caparra per la vita futura.

mercoledì 16 ottobre 2019

Cosedaleggere. 09 Orwell: «"Se i fatti lo negano, bisogna cambiare i fatti"».


Tratto da “Dizionario della lingua di Trump” di Ezio Mauro, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 15 di ottobre 2019: (…). Capita (…) che l'oggetto da tradurre sia il "Newspeak", la lingua artificiale che il potere usa per sostituire la vecchia visione del mondo con un'altra realtà più vera del reale, al punto da dominare il discorso pubblico, mettendo fuorigioco ogni altra forma di pensiero. Non c'è un codice, per questo linguaggio, non c'è neppure un vocabolario, tantomeno una grammatica e una sintassi: bisogna navigare a vista. Nello stesso tempo, saltano tutti i vecchi codici, quel patto non scritto tra il leader che parla, il traduttore che trasforma il linguaggio nel passaggio dalle cuffie al microfono, i giornalisti che stanno prendendo appunti: per cui il tono sarà controllato, il contesto resterà civile, la retorica risulterà istituzionale. E invece no. Quando irrompe la neolingua, non si sa come tradurla e come interpretarla, perché in ogni istante non si capisce cosa sta per accadere, non essendoci più alcuna regola. Cosa vuol dire Donald Trump quando si rivolge a Brigitte Macron, appena la incontra il 14 luglio del 2017 a Parigi? "You're in such good shape": molti giornali francesi, nel fare la cronaca, hanno usato la formula letterale "Lei è in splendida forma".

martedì 15 ottobre 2019

Ifattinprima. 13 «In Italia il 38% degli adulti ha competenze numeriche e linguistiche decisamente basse».


Tratto da “Italia 2019, il lavoro sparito” di Marco Ruffolo, pubblicato sul settimanale A&F del 7 di ottobre 2019: (…). Ogni volta che si incrociano i dati Istat sulla disoccupazione con i risultati delle indagini Excelsior-Unioncamere sui posti che restano scoperti, si viene catapultati in una specie di teatro dell’assurdo, in un paradosso a dir poco sconcertante. Questo accade soprattutto al Nord dove ogni cento disoccupati restano scoperti 84 posti di lavoro. Cifra che si dimezza al Centro (43 su 100) e si riduce a 18 su 100 nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali il problema principale non è tanto quello dell’incrocio tra domanda e offerta quanto la mancanza stessa di lavoro. Diciamo subito che non si tratta di un confronto tra grandezze del tutto omogenee, perché da una parte abbiamo persone (i disoccupati Istat), e dall’altra contratti di lavoro, quelli che le aziende hanno previsto di fare ma che non vanno in porto per indisponibilità o inadeguata preparazione dei candidati. I risultati, tuttavia, sono talmente eclatanti da dare un’idea sicuramente realistica (anche se non precisa) del paradosso che attanaglia il mercato del lavoro in Italia. La spiegazione La spiegazione di questo paradosso può essere riassunta così: mancanza di competenze. Che a sua volta è il frutto avvelenato di una formazione professionale più finta che vera e di un orientamento post-scolastico del tutto assente.

lunedì 14 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 56 Baricco: «La nostra generazione può tentare di interpretare il Game».


Tratto da “Forza intellettuali, buttatevi nel web”, dialogo a più voci di Simonetta Fiori con lo scrittore Ian McEwan ed Alessandro Baricco, pubblicato sul settimanale Robinson del quotidiano la Repubblica del 14 di ottobre dell’anno 2018: (…). Cominciamo dal principio. Più che una rivoluzione, sostiene Baricco, si è trattato di una insurrezione digitale. Alessandro Baricco: "Sì, "insurrezione" è una parola che in italiano usiamo poco. Evoca una reazione forte, violenta, con un cuore di rabbia. All'origine della nuova civiltà digitale c'è la ribellione negli anni Settanta della controcultura californiana. Quei pionieri, tra cui Stewart Brand, volevano rovesciare il tavolo. E anche se non avevano un'idea di mondo da inseguire, avevano un'idea di mondo da cui fuggire".

domenica 13 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 55 «La vita dei forzati del talk show».


Chissà se da lassù l’indimenticato Alberto Statera, dando uno sguardo a quanto avviene nel bel paese in fatto di televisioni, internet e quant’altro attiene ed avvinghia la politica, tornerebbe a scrivere, o ne disconoscerebbe la paternità, quel “pezzo che ha per titolo “Talk show e guru apocalittici un’era sul viale del tramonto”, “pezzo” pubblicato sul settimanale A&F del 13 di ottobre dell’anno 2014, “pezzo” che all’epoca fece rumore assai:

sabato 12 ottobre 2019

Ifattinprima. 12 «Fine mafia mai» vs «fine pena mai».


Tratto da “Fine pena vediamo” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” dell’11 di ottobre 2019: Facciamo così. Siccome il cosiddetto “ergastolo ostativo” – cioè vero, senza sconti né scappatoie – l’hanno inventato Falcone e Borsellino e l’hanno ottenuto soltanto nell’agosto del 1992, da morti ammazzati per mano della mafia, chi non è d’accordo la smette di tirare in ballo Falcone e Borsellino quando parla di lotta alla mafia.

venerdì 11 ottobre 2019

Ifattinprima. 11 Gustave Le Bon e il «politico così modesto e pedestre».


Si pone la “questione” sul disarcionato “capitano di breve corso”, avendone di già rintracciata la dotta spiegazione, Daniela Ranieri - con un pizzico di riposta retorica che non guasta mai - in “I talk show sono gli steroidi di Salvini” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, ovvero come la “questione” di «un politico così modesto e pedestre riesca ancora a incanalare i sentimenti collettivi lo spiega la psicologia delle folle di Gustave Le Bon: “L’autoritarismo e l’intolleranza sono per le folle sentimenti che esse sostengono e praticano con estrema facilità. Le folle rispettano la forza e sono mediocremente impressionate dalla bontà, che al più è valutata come una forma di debolezza. Se le masse volentieri calpestano il despota detronizzato, è perché, avendo quegli perduto la sua forza, rientra nella categoria dei deboli che, non temuti, meritano disprezzo”». Al di là e senza scomodare tanto l’illustre Gustave Le Bon la risposta più immediata è che il becerume della vita politica ed associata degli italiani ha toccato il massimo della sua parabola. Poiché quel becerume non poteva non nutrirsi di quella categoria dello spirito che oggi è di gran moda, ovvero il vanto della propria “ignoranza”. Ignoranza portata come marchio delle nuove plebi che in virtù di essa non anelano a nessun riscatto e progresso. Ne ha scritto come sempre argutamente Michele Serra – dal quale mi sono sentito quasi tradito avendo Egli mantenuto l’impegno Suo in quel partito nonostante l’uomo di Rignano sull’Arno – sul settimanale “il Venerdì” del 4 di ottobre laddove ha scritto - in “La schiavitù dell’ignoranza” - che «(…). …gli ottimisti sostengono che l’ignoranza c’è sempre stata (anzi, ce n’era molta di più in passato) e la sola differenza è che i social l’hanno portata alla luce. L’hanno messa in chiaro. I pessimisti dicono invece che i social non si sono limitati a renderla visibile ma l’hanno sdoganata e moltiplicata, come un contagio. Ne sono stati il potentissimo vettore. E la cattiva politica, ruffiana, spudorata, ci ha sguazzato, trovando la maniera di promuovere l’ignoranza come “valore popolare” e ricevendone in cambio la gratitudine e i voti degli ignoranti. Con il tragico risultato che l’ignorante, un tempo infelice di esserlo, ora rivendica il proprio status orgogliosamente, come una liberazione. Io, a seconda del mio umore del giorno, oscillo tra le due lettura; con una lieve predilezione, ahimè, per quella infausta, la seconda. Ma con irriducibile fiducia nei nostri anticorpi (individuali e sociali). L’ignoranza non produce felicità e nemmeno dignità. Abbrutisce e impedisce la soddisfazione di sentirsi, passo dopo passo, migliori di come si era in partenza. Rende subalterni e meno liberi. E dunque non diamole troppa fiducia; l’ignoranza tornerà ad essere, prima o poi, quello che è sempre stata: una forma di minorità e soggezione dalla quale emanciparsi…». È la speranza che ci piace coltivare. Ha scritto Daniela Ranieri che “a un certo punto della sera di martedì, mentre traeva fomento dalla terza ovazione del pubblico dell’omonima trasmissione, Salvini è sembrato entrare in un evidente stato di alterazione psico-fisica – Salvini che, è bene ricordarlo, esiste e gode di tanto consenso perché per anni è stato insufflato di steroidi proprio dai talk show, felicissimi di ridursi a suoi casini da caccia.

giovedì 10 ottobre 2019

Cosedaleggere. 08 Elias Canetti: «Non ricordarsi di nulla, ricordare qualcosa, ricordare tutto».


Tratto da “Amnesia, oblio e altri disastri” di Elvira Seminara, pubblicato sul settimanale L’Espresso del 16 di dicembre dell’anno 2018: «Io abito al civico 75. Quando aspetto amici a cena so che ogni volta, alle 20 e 40, arriverà la telefonata: «Sono alla Baia verde, mi ricordi il tuo numero?».

mercoledì 9 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 54 «Siamo diventati delle pure e semplici risposte agli altri».


Sembra, ad una prima lettura, che questo testo di Umberto Galimberti - “Impara a essere come gli altri ti vogliono” - pubblicato sul settimanale “D” del quotidiano la Repubblica del 9 di ottobre dell’anno 2010 voglia sconfessare quanto da me sostenuto in uno dei post precedenti – il 12 di settembre 2019 in “letturedeigiornipassati” n° 43 - laddove scrivevo che “siamo come gli altri ci aiutano a divenire”, come se l’illustre volesse quasi negare una possibilità che sia di “autodeterminazione” di ciascuno di noi. In verità il senso dello scrivere di Umberto Galimberti è in perfetta sintonia con il vissuto collettivo di questi perigliosissimi tempi:

martedì 8 ottobre 2019

Ifattinprima. 10 «Facebook che fa di tutto per attivare il cervello rettile».

Si conclude così il “pezzo” di Roberto Saviano – che ha per titolo “Viaggio nel web oscuro” – scelto, proposto e pubblicato sul quotidiano la Repubblica di ieri 7 di ottobre: «Come ricorda il formatore Andrew Lewis, "se non state pagando qualcosa non siete un cliente: siete il prodotto che stanno vendendo"».

lunedì 7 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 53 «La finanza non è economia reale».


Tratto da “Nuovo capitalismo cercasi”,  colloquio con Richard Sennett – sociologo - di Wlodek Goldkorn pubblicato sul settimanale L’Espresso del 7 di ottobre dell’anno 2018: (…). Nei decenni dominati dal pensiero e da politiche socialdemocratiche abbiamo creduto che il capitalismo fosse legato al progresso, al benessere, alle regole condivise anche tra gli avversari. Oggi, il benessere viene meno, idem il progresso e le regole non sono condivise. Cosa è successo al capitalismo? «Sono questioni diverse. Alcune riguardano la redistribuzione del reddito. Ma a me interessa il tema strutturale: l’automazione e le sue conseguenze sulla forza lavoro. Parto da una constatazione elementare: la sostituzione dell’uomo con le macchine, una volta, era un processo parziale. E sa perché? Perché spesso il lavoro umano costava meno dell’acquisto di una macchina. Oggi, costruire una macchina che funziona a base di un algoritmo costa meno che impiegare un uomo o una donna. Abbiamo a che fare con macchine che non sono più replicanti delle nostre funzioni ma sono molto più potenti della nostra mente. È un cambiamento radicale che non riguarda più solo il lavoro manuale, ma pure quello dei colletti bianchi. La loro percentuale scenderà del venti per cento. Ci sono politici che parlano della minaccia che gli immigrati rappresentano per chi ha un lavoro, ma quella presunta minaccia è poco o niente rispetto alla minaccia costituita dalle “macchine immigrate” ».

domenica 6 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 52 «Il paradigma dominante contro cui Keynes combatteva».

Tratto da “A sinistra vive un finto Keynes” di Marco Ruffolo, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 6 di ottobre dell’anno 2018: (…). Quel guanto di sfida del 2,4% lanciato in faccia ai tecnocrati di Bruxelles non può infatti non rievocare il coraggio della rivoluzione keynesiana contro l'ortodossia neoclassica.

sabato 5 ottobre 2019

Cosedaleggere. 07 «Sono state le pre-existing conditions a determinare il voto americano».


Tratto da “In viaggio con Steinbeck nell'America di Trump” di Enrico Deaglio, pubblicato sul settimanale "il Venerdì" del quotidiano la Repubblica del 16 di novembre dell’anno 2018: L’idea era quella di vedere che cosa restava di quel grande libro, The Grapes of Wrath, tradotto in Italia con Furore; di verificare se quel capolavoro della letteratura di denuncia sociale era ancora attuale, nell’America buia di Trump come nella California ricca e democratica. Vedere che traccia hanno lasciato quel mezzo milione di pezzenti bianchi che negli anni Trenta, scacciati dall’Oklahoma a causa di una spaventosa nuvola di polvere – un mutamento climatico provocato dall’uomo – che aveva reso sterile la terra, e sfrattati dalle banche che requisirono le loro case e poi le rasero al suolo perché non pagavano il mutuo, migrarono fino alla terra promessa della California per scoprire la fame, la violenza, il razzismo.

giovedì 3 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 51 «Per non diventare "analfabeti emotivi"».


Tratto da “Non ci sono scuse all'indifferenza” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale D del 3 di ottobre dell’anno 2015: Diventare insensibili di fronte alle tragedie che si susseguono è un rischio vero. Ma sta a noi resistere, mantenendo alta la nostra sensibilità. Penso che Herman Melville, l'autore di Moby Dick, abbia ragione nella sua diagnosi, ma io preferisco seguire l'invito di Günther Anders che, ponendosi lo stesso problema a proposito della tragedia dell'olocausto, non chiede alla nostra sensibilità di "sbarazzarsi" delle tragedie le cui dimensioni ci fanno assaporare la nostra impotenza, ma di educare il nostro sentimento a portarsi all'altezza della tragedia, per non diventare "analfabeti emotivi" del tutto insensibili a quanto di tragico sta davanti ai nostri occhi.

mercoledì 2 ottobre 2019

Cosedaleggere. 06 «Fanatici? Sì, ma fanatici che sapevano fare politica».


«Qualcuno era comunista» di Giorgio Gaber:

Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia
Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà
La mamma no
Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa
La Cina come una poesia, il comunismo come il paradiso terrestre
Qualcuno era comunista perché si sentiva solo
Qualcuno era comunista perché aveva avuto un'educazione troppo cattolica
Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva
La pittura lo esigeva, la letteratura anche: lo esigevano tutti
Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto
Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto
Qualcuno era comunista perché prima, prima, prima, era fascista
Qualcuno era…


Quel “Qualcuno era comunista” di Siegmund Ginzberg è stato pubblicato sul quotidiano la Repubblica di oggi 2 di ottobre 2019: Ma esisteva davvero una “diversità antropologica” dei militanti, dei leader, degli intellettuali comunisti? Nella seconda metà del Novecento l’idea si protrasse a lungo. E continuò ad essere un mito fondante, e al tempo stesso pietra al collo, anche per il Pci. Ciò non toglie che ce ne fossero, eccome, di personalità di tempra particolare. (…). Alcuni li ho conosciuti. E pure da vicino. Sereni mi aveva chiamato da Milano a lavorare con lui alle Botteghe oscure che non avevo neanche vent’anni. Ero affascinato dalla sua cultura sterminata ed enciclopedica. Dalla sua figura di dirigente del Pci e del Comitato di Liberazione dell’Alta Italia. Avevo letto la biografia scritta dalla sua compagna, Marina. Andai a trovarlo a casa sua a Roma, a Monteverde nuovo. Mi impressionò quanto fosse stracolma di libri, e di cassette su cui registrava musica classica, nella stessa maniera ossessiva e sistematica con cui faceva ritagli e compilava milioni di schede di lettura, su sottilissimi rettangolini di carta velina. Ma più ancora rimasi colpito dal tenerissimo affetto verso una delle figliolette, che giocava in una stanza anch’essa piena di libri, tutti sulla Cina. Aveva anche molto humour. Mi attraeva, e al tempo stesso però mi allarmava la sicurezza, un po’ eccessiva, in tutto quel che faceva e diceva. Ho conosciuto anche Vidali. Anche lui amava definirsi, come Sereni, un «rivoluzionario di professione». Anzi era stato un professionista dell’azione, prima ancora che della politica, un agente operativo al servizio di Stalin. Nella guerra civile spagnola, da commissario politico del Quinto reggimento, il “comandante Carlos” era stato spietato con la cosiddetta Quinta colonna, i “nemici interni” della Repubblica, gli anarchici e i trotskisti, accusati di fare il gioco di Francisco Franco. Si diceva che gli era venuto un callo tra pollice e indice a forza di giustiziare i “traditori”. Paolo Franchi, autore de Il tramonto dell’avvenire (Marsilio), un giorno gli chiese se fosse stato lui a organizzare in Messico il primo attentato fallito contro Trotski. Lui si alzò di scatto e batté il pugno sul tavolo: «Se quell’attentato lo avesse organizzato il compagno Vidali, non sarebbe fallito!».

martedì 1 ottobre 2019

Cosedaleggere. 05 «Il mondo globalizzato e saturo vive tra stasi e guerra, in ogni caso mortifero».


Tratto da “Non cancelliamo il diritto ai diritti” di Gustavo Zagrebelsky, pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 14 di settembre 2019: Un'espressione particolarmente densa di significato, usata per la prima volta da Hannah Arendt con riguardo alla condizione in cui si trovò il suo popolo, il popolo ebraico, nell'Europa nazi-fascista e nazionalista, nei venti anni dei decenni 1930-1940, è "diritto di avere diritti" ed è entrata nel nostro lessico politico e giuridico soprattutto a opera di Stefano Rodotà che ne ha fatto titolo di un suo importante libro del 2013.