"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 28 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 63 «Fascista è chi il fascista fa».


Questa “letturadeigiornipassati” ha anticipato di un anno giusto quella che sarebbe stata ed è stata la vittoria delle destre in Umbria. Poiché è fuor di ogni ragionevole dubbio che gli italiani “brava gente” aspirino ad avere un conductor che risolva loro tutti i problemi, senza sfacchinar troppo. Lo si diceva per l’appunto anche nel post del 26 ultimo – “Il pericolo siamo noi” – come dato sociologico ed antropologico di questa “deriva” che è propria del sentire degli italiani “brava gente”. Sarà un florilegio da domani in  poi ascoltare i soloni della televisione per cercare di capire il come ed il perché, quando è proprio la Storia che ce lo spiattella quel tratto di ricercata inconsapevolezza propria dei popoli adusi a cercare l’uomo della bacchetta magica. Sappiam bene come vanno a finire simile (dis)avventure. Oggi non ci rimane che sia il corso delle cose a darci la cifra e la giusta chiave di lettura delle vicende odierne. Ha scritto Sergio Luzzatto in “Paura odio vanità: Mussolini fa rima con Salvini”, pubblicato sul settimanale L’Espresso del 28 di ottobre dell’anno 2018: «Fascista è chi il fascista fa», dice un anonimo maschio - «come direbbe Forrest Gump», spiega l’autrice - dal disegno di copertina di  “Istruzioni per diventare fascisti” . Ed è il primo dei due messaggi importanti lanciati da Michela Murgia in questo libriccino prezioso, preziosissimo: più ancora che un contenuto, il fascismo è un metodo. Lo è sempre stato, fin da quando Benito Mussolini lo inventò, proprio cento anni fa, nell’Italia del primo dopoguerra. Il fascismo è il metodo di chi fa lotta politica non già combattendo un anniversario, ma costruendo un nemico. È il metodo di chi sa mascherare una realtà verticale in illusione orizzontale, di chi sa travestire il comando dall’alto in investitura dal basso, e la distanza del potere in comunione dei corpi. È il metodo di chi parla come mangia, e mangia con le mani come picchia con la lingua, perché sa che la politica resta, in ogni caso, potere dell’uomo sull’uomo (ancora di più, potere dell’uomo sulla donna).
Il suo secondo messaggio importante, Michela Murgia lo lancia attraverso un espediente pop, un gioco a quiz chiamato «fascistometro»: oltreché un metodo, il fascismo è un enzima. È un acceleratore di reazioni chimiche, un fermento che opera nel ventre di ogni essere umano. È un catalizzatore biopolitico di sentimenti primari o secondari, coerenti o incoerenti, confessabili o inconfessabili, che ciascuno di noi può ben avere provato, tanto o poco, almeno una volta nella vita. «18. Facile parlare quando hai il culo al caldo e l’attico in centro». «19. E comunque esiste una famiglia naturale». «24. A questi manca la cultura del lavoro». «31. Rottamiamoli tutti». «36. Le quote rosa sono offensive per le donne». «55. Quando ti imporranno il burqa non lamentarti». Ci piaccia o non ci piaccia, lo si ammetta o non lo si ammetta, tanti fra i 65 pensierini del fascistometro corrispondono ai pensieri - occasionali o ricorrenti - di molti fra noi. Ieri la marcia su Roma. Oggi la marcia dei sovranisti. Un manuale per (non) adeguarsi ai tempi. Esiste, almeno in questo senso, un «fascismo eterno»: come nel titolo della conferenza meritatamente famosa di un semiologo, Umberto Eco. Mentre non è chiaro (paradossalmente) che cosa gli storici possano aggiungere alla comprensione contemporanea del fenomeno, attraverso le precisazioni e i distinguo che competono all’esercizio del loro mestiere. Salvo forse – in questo centesimo anniversario del 1918 – sottolineare come anche il nostro presente, pur non discendendo dai traumi immensi di una Grande Guerra, sia il prodotto di una Grande Trasformazione che minaccia direttamente, di nuovo, le istituzioni liberali e le società democratiche. Sicché di nuovo possiamo interrogarci, mutatis mutandis, sulle keynesiane «conseguenze economiche della pace». E possiamo domandarci se quella gigantesca rivoluzione che Alessandro Baricco chiama, in The Game, l’«insurrezione digitale», non sia destinata a tradursi, da ultimo, in terreno di coltura per nuovi fascismi. Sicuramente, l’attuale successo planetario di leader politici che parlano al ventre dei loro elettori, molto più che alla loro testa, corrisponde alla natura profonda delle comunità di appartenenza strutturate dalla Rete: comunità che funzionano – anche nel senso pubblicitario del termine – attraverso un investimento sulle qualità negative dell’essere umano, molto più che sulle sue qualità positive. Comunità che funzionano (potremmo riassumere, sin troppo facilmente) investendo su una triade da fascismo eterno: la paura, l’odio, la vanità. E sicuramente, in un futuro più o meno prossimo, l’autentica posta in gioco della lotta politica diventerà, anche nelle democrazie, il controllo centralizzato dei dati: il possesso dell’informazione come strumento per la manipolazione delle coscienze. Serviranno, allora, antidoti più efficaci che una ragione illuministica ormai vecchia di secoli, deperita, sfinita. Perché - diciamocelo - la crisi dell’antifascismo è oggi, più drammaticamente ancora, crisi dell’illuminismo. (…).

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