Tratto da “Non
ci sono scuse all'indifferenza” di Umberto Galimberti, pubblicato sul
settimanale D del 3 di ottobre dell’anno 2015: Diventare insensibili di fronte
alle tragedie che si susseguono è un rischio vero. Ma sta a noi resistere,
mantenendo alta la nostra sensibilità. Penso che Herman Melville, l'autore di
Moby Dick, abbia ragione nella sua diagnosi, ma io preferisco seguire l'invito
di Günther Anders che, ponendosi lo stesso problema a proposito della tragedia
dell'olocausto, non chiede alla nostra sensibilità di "sbarazzarsi"
delle tragedie le cui dimensioni ci fanno assaporare la nostra impotenza, ma di
educare il nostro sentimento a portarsi all'altezza della tragedia, per non
diventare "analfabeti emotivi" del tutto insensibili a quanto di
tragico sta davanti ai nostri occhi.
È vero, la nostra psiche ha un orizzonte limitato, e il sentimento che la percorre reagisce solo a ciò che è vicino. Se muore la mia compagna di vita soffro, talvolta in modo indicibile. Se muore il mio vicino di casa mi limito a fare le condoglianze. Se i mezzi d'informazione mi dicono che in ogni secondo muoiono nel mondo dieci bambini, la notizia finisce essere solo una statistica che non voglio approfondire per non assaporare la mia impotenza. Vale anche il contrario: spesso le nostre idee di tolleranza sono decisamente più ampie della nostra capacità di tollerare. Disposti ad accogliere tutti i disperati della terra, registriamo qualche insofferenza se il negozietto sotto casa, che cucina per gli avventori ghyros e kebab, non ci consente di aprire le finestre della nostra abitazione al piano di sopra. Allo stesso modo proviamo un senso di repulsione se ci capita di dover salire in ascensore con uomini di colore dall'igiene incerta. In questi casi le nostre larghe vedute in tema di tolleranza subiscono un rapido restringimento perché la nostra sensibilità non è all'altezza delle nostre idee. E allora? Allora dobbiamo educare il nostro sentimento, perché, rispetto a quando vivevamo solo tra noi, con informazioni limitate al nostro vicinato, oggi, per effetto della globalizzazione e soprattutto delle notizie che i mass media quotidianamente ci forniscono, come scrive Günther Anders: «I compiti del nostro sentire sono aumentati e la frattura tra questi compiti e la capacità di provare sentimenti, che probabilmente è rimasta costante, si è automaticamente ingrandita». Se non educhiamo il nostro sentimento a portarsi all'altezza di quanto sta accadendo entriamo in quel "nichilismo passivo", denunciato da Nietzsche, che scaturisce dal fatto che il "troppo grande" ci lascia freddi se non addirittura indifferenti: alla distruzione del sistema ecologico, al proliferare delle guerre con le loro atrocità, alla distruzione dei patrimoni artistici, alle condizioni disperate e talvolta inimmaginabili dei migranti, ai loro naufragi nel mare, ai muri e ai fili spinati che tentano di difendere una terra che non è mai stata solo di chi la abita. Di fronte a questi drammatici eventi, che hanno raggiunto una dimensione che va al di là della nostra capacità di intervento, non possiamo salvarci "sbarazzandoci" dei problemi più grandi di noi come dice Herman Melville, perché proprio l'inadeguatezza del nostro sentire rende possibile la ripetizione di questi terribili eventi, facilita il loro accrescersi, inceppando non solo i sentimenti dell'orrore e della compassione, ma anche il sentimento della nostra responsabilità. Che si azzera se, invece di educare il nostro sentire per portarlo all'altezza degli eventi che sono davanti ai nostri occhi, ci affidiamo pigramente a quel meccanismo di inibizione della nostra psiche, la cui sensibilità si arresta non appena gli eventi superano una certa grandezza. E per effetto di questa regola infernale, come scrive Günther Anders, «il mostruoso ha via libera».
È vero, la nostra psiche ha un orizzonte limitato, e il sentimento che la percorre reagisce solo a ciò che è vicino. Se muore la mia compagna di vita soffro, talvolta in modo indicibile. Se muore il mio vicino di casa mi limito a fare le condoglianze. Se i mezzi d'informazione mi dicono che in ogni secondo muoiono nel mondo dieci bambini, la notizia finisce essere solo una statistica che non voglio approfondire per non assaporare la mia impotenza. Vale anche il contrario: spesso le nostre idee di tolleranza sono decisamente più ampie della nostra capacità di tollerare. Disposti ad accogliere tutti i disperati della terra, registriamo qualche insofferenza se il negozietto sotto casa, che cucina per gli avventori ghyros e kebab, non ci consente di aprire le finestre della nostra abitazione al piano di sopra. Allo stesso modo proviamo un senso di repulsione se ci capita di dover salire in ascensore con uomini di colore dall'igiene incerta. In questi casi le nostre larghe vedute in tema di tolleranza subiscono un rapido restringimento perché la nostra sensibilità non è all'altezza delle nostre idee. E allora? Allora dobbiamo educare il nostro sentimento, perché, rispetto a quando vivevamo solo tra noi, con informazioni limitate al nostro vicinato, oggi, per effetto della globalizzazione e soprattutto delle notizie che i mass media quotidianamente ci forniscono, come scrive Günther Anders: «I compiti del nostro sentire sono aumentati e la frattura tra questi compiti e la capacità di provare sentimenti, che probabilmente è rimasta costante, si è automaticamente ingrandita». Se non educhiamo il nostro sentimento a portarsi all'altezza di quanto sta accadendo entriamo in quel "nichilismo passivo", denunciato da Nietzsche, che scaturisce dal fatto che il "troppo grande" ci lascia freddi se non addirittura indifferenti: alla distruzione del sistema ecologico, al proliferare delle guerre con le loro atrocità, alla distruzione dei patrimoni artistici, alle condizioni disperate e talvolta inimmaginabili dei migranti, ai loro naufragi nel mare, ai muri e ai fili spinati che tentano di difendere una terra che non è mai stata solo di chi la abita. Di fronte a questi drammatici eventi, che hanno raggiunto una dimensione che va al di là della nostra capacità di intervento, non possiamo salvarci "sbarazzandoci" dei problemi più grandi di noi come dice Herman Melville, perché proprio l'inadeguatezza del nostro sentire rende possibile la ripetizione di questi terribili eventi, facilita il loro accrescersi, inceppando non solo i sentimenti dell'orrore e della compassione, ma anche il sentimento della nostra responsabilità. Che si azzera se, invece di educare il nostro sentire per portarlo all'altezza degli eventi che sono davanti ai nostri occhi, ci affidiamo pigramente a quel meccanismo di inibizione della nostra psiche, la cui sensibilità si arresta non appena gli eventi superano una certa grandezza. E per effetto di questa regola infernale, come scrive Günther Anders, «il mostruoso ha via libera».
Carissimo Aldo,la lettura di questo post veramente eccezionale mi ha indotto a riflettere sul grosso pericolo che tutti corriamo di diventare insensibili di fronte a quelle grosse tragedie verso le quali ci sentiamo incapaci e inadeguati. Riteniamo di non potere intervenire in alcun modo, di non essere per nulla responsabili e tanto basta per mettere a tacere la coscienza. Così facendo "ci affidiamo pigramente a quel meccanismo di inibizione della nostra psiche, la cui sensibilità si arresta non appena gli eventi superano una certa grandezza". Rischiamo di diventare analfabeti emotivi, insensibili, freddi, indifferenti alle sofferenze altrui. Non dobbiamo permettere al nostro cuore di inaridirsi, privandolo della sensibilità e della compassione! È necessario, invece, coltivare e accrescere l'intelligenza emotiva che ci consente di essere empatici verso gli altri, capirli, "metterci nei loro panni" per meglio percepire le loro esigenze. Bisogna combattere l'analfabetismo emotivo che spesso determina un timore eccessivo e quindi un atteggiamento aggressivo verso l'altro che viene percepito quasi sempre come un potenziale nemico. Grazie della condivisione e buona continuazione. Agnese A.
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