"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 18 ottobre 2019

Letturedeigiornipassati. 58 «Che cos’è l’umanità? È la maniera di fare esperienza della morte nella vita».


Superata la politica detta della “rottamazione” ne è seguita la politica del “rinnovamento”, con il suo imprevisto, patetico fallimento. E come ad ogni stormir di fronde, si riprende oggigiorno a parlare di “fine vita” e di quant’altro attiene a questa esperienza ultima degli umani. Se ne riparla alla luce della sentenza della Cassazione che non ha intravisto reato alcuno nel gesto tutto umano di alleviare tormenti e sofferenze ad un fratello in umanità. C’è stata, in anni lontani oramai, e che a nulla ha portato sul piano della legislazione, la tragedia di Eluana Englaro, tragedia della quale  Massimo Adinolfi, sul quotidiano l’Unità del 9 di settembre dell’anno 2012 – “Eluana, dibattito senza umanità” –,  ebbe a scrivere: (…). Nel Parlamento, il decreto legge presentato il 7 febbraio 2009 dall’allora ministro Sacconi per stabilire con urgenza che «l’alimentazione e l’idratazione, in quanto forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze, non possono in alcun caso essere sospese» doveva contenere la soluzione: fermare il padre di Eluana, impedire che Eluana fosse ammazzata, come gridò il senatore Quagliariello in aula, in una sequenza agghiacciante e memorabile che il film ripropone. (…). Che cos’è l’umanità? Io non saprei dire altrimenti: è la maniera di fare esperienza della morte nella vita, della vita nella morte. La vita e la morte non sono infatti come le due facce di un foglio, l’una in ogni punto opposta all’altra, e dunque destinate a non incontrarsi mai. Per questo non è mai bastato ripetere con Epicuro che quando c’è la morte non ci siamo noi, mentre quando ci siamo noi non c’è la morte, per cui non abbiamo da preoccuparci, dal momento che non la incontriamo mai. Invece la incontriamo. La vita incontra la morte, proprio in quanto è vita umana, (…)
Ma non è vero che la vita e la morte rimangono uguali, come cantava Guccini: rimangono tali solo se la vita viene fissata come nuda vita di contro alla morte, e la morte non viene vissuta come un’esperienza umana, di cui è possibile appropriarsi (se si è laici) o in cui (se si è credenti) è possibile affidarsi. Ha scritto in merito Umberto Galimberti in “Il diritto di scegliere come e quando morire”, pubblicato sul settimanale “D” del 18 di ottobre dell’anno 2014: (…).Oggi (…) la politica, sempre timorosa di confliggere con le posizioni della Chiesa, non ha più alibi per decidere su temi che, prima ancora dell'etica, riguardano la dignità umana. Sulle questioni cosiddette etiche i nostri governi si sono espressi sempre con estrema prudenza (eufemismo per dire "ipocrisia"), perché temevano di confliggere con i principi ritenuti "non negoziabili" dalla Chiesa, e quindi di perdere il suo appoggio in occasione delle elezioni, in un Paese, il nostro, dove la gente va sempre meno in chiesa, ma non rinuncia a definirsi cattolica e ossequiente ai principi religiosi. Ma oggi questa prudenza ipocrita non ha più ragion d'essere, (…). E questo in omaggio al Vangelo, dove si legge che Gesù, a chi rimprovera i suoi discepoli di cogliere i chicchi di grano anche di sabato nonostante la legge lo proibisca, risponde: «Il sabato è fatto per l'uomo, non l'uomo per il sabato» (Marco, 12,27). Allo stesso modo Kant, nella sua fondazione della morale con gli strumenti della sola ragione, scrive: «La morale è fatta per l'uomo, non l'uomo per la morale». Questa centralità della persona, dove messaggio evangelico e razionalità illuminista si incontrano (nonostante falsi fraintendimenti o interessi malcelati li abbiano messi in conflitto), è oggi ripresa dal teologo cattolico Hans Küng che, nel suo ultimo libro Glücklich sterben? ("Morire felicemente?") scrive: «Appartiene al principio della dignità umana il diritto dell'autodeterminazione anche per l'ultima tappa, la morte. Dal diritto alla vita non discende in nessun caso il dovere di continuare a vivere in qualsiasi circostanza. Anche in questo ambito non dovrebbe intervenire nessuna eteronomia, ma solo l'autonomia della persona, che per i credenti ha il suo fondamento nella legge divina». A questo punto i nostri politici possono essere dispensati dalla loro ipocrita prudenza, ma nonostante ciò hanno il terrore di toccare temi cosiddetti etici, perché hanno ancora un concetto sacrale e quindi primitivo dell'etica, presentata fin dalla notte dei tempi, perché potesse imporsi, come volere di Dio (salvo poi spacciare per tale quel che in realtà è volontà del Potere). In realtà l'etica è un sistema di regole volto a garantire la minor conflittualità possibile all'interno di una comunità. Va da sé che queste regole dovrebbero evolversi man mano che si evolve una società dove, per esempio, la vita umana, programmata per 40-50 anni, grazie ai progressi della medicina, si è protratta fino a 80-90. Questo prolungamento della vecchiaia (più che della vita) ci espone a processi di degenerazione da cui erano esonerati i nostri nonni e bisnonni che, come dice Max Weber, «morivano sazi della vita, e non come noi stanchi della vita», quando non afflitti da sofferenze insostenibili. A questo punto la dichiarazione di Hans Küng: «Voglio decidere da solo quando e come morire» è davvero un atto contro l'etica e contro la fede, o è una difesa della dignità e dell'autonomia della persona anche nell'ultimo giorno? In fondo a soffrire sono io e quando non sono più in grado di sopportare il dolore posso decidere io di porvi fine, o c'è un'istanza superiore religiosa o politica che stabilisce quanto e fin quando io debba soffrire? E questo in nome di quale Dio sadico o di quale Legge insensibile alla mia sofferenza non più tollerabile? Ci ha lasciato in un preziosissimo dono scritto Anna Maria Ortese  in “Vita di Dea”: (…). Chi potrebbe affermare che i morti siano veramente sotterra? Una volta gettata l’ultima palata sulla loro fossa, essi si alzano e si allontanano vacillando pei sentieri oscuri, quali verso i cieli, quali verso i mari, quali verso le verdi profondità del globo, e Dio solo sa dove andranno e quale forma rivestiranno, e se non ci fissano ogni giorno, assorti, sotto forma di un povero animale o di un fiore. Questa Vita è talmente indipendente dal nostro pensiero limitato,  che tutto, dico tutto, ogni più nobile cosa può accadere: e lo sa chi, capace di ricordare e osservare,  prova continuamente davanti a essa un sentimento di rispetto e terrore.

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