"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 11 ottobre 2019

Ifattinprima. 11 Gustave Le Bon e il «politico così modesto e pedestre».


Si pone la “questione” sul disarcionato “capitano di breve corso”, avendone di già rintracciata la dotta spiegazione, Daniela Ranieri - con un pizzico di riposta retorica che non guasta mai - in “I talk show sono gli steroidi di Salvini” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” di oggi, ovvero come la “questione” di «un politico così modesto e pedestre riesca ancora a incanalare i sentimenti collettivi lo spiega la psicologia delle folle di Gustave Le Bon: “L’autoritarismo e l’intolleranza sono per le folle sentimenti che esse sostengono e praticano con estrema facilità. Le folle rispettano la forza e sono mediocremente impressionate dalla bontà, che al più è valutata come una forma di debolezza. Se le masse volentieri calpestano il despota detronizzato, è perché, avendo quegli perduto la sua forza, rientra nella categoria dei deboli che, non temuti, meritano disprezzo”». Al di là e senza scomodare tanto l’illustre Gustave Le Bon la risposta più immediata è che il becerume della vita politica ed associata degli italiani ha toccato il massimo della sua parabola. Poiché quel becerume non poteva non nutrirsi di quella categoria dello spirito che oggi è di gran moda, ovvero il vanto della propria “ignoranza”. Ignoranza portata come marchio delle nuove plebi che in virtù di essa non anelano a nessun riscatto e progresso. Ne ha scritto come sempre argutamente Michele Serra – dal quale mi sono sentito quasi tradito avendo Egli mantenuto l’impegno Suo in quel partito nonostante l’uomo di Rignano sull’Arno – sul settimanale “il Venerdì” del 4 di ottobre laddove ha scritto - in “La schiavitù dell’ignoranza” - che «(…). …gli ottimisti sostengono che l’ignoranza c’è sempre stata (anzi, ce n’era molta di più in passato) e la sola differenza è che i social l’hanno portata alla luce. L’hanno messa in chiaro. I pessimisti dicono invece che i social non si sono limitati a renderla visibile ma l’hanno sdoganata e moltiplicata, come un contagio. Ne sono stati il potentissimo vettore. E la cattiva politica, ruffiana, spudorata, ci ha sguazzato, trovando la maniera di promuovere l’ignoranza come “valore popolare” e ricevendone in cambio la gratitudine e i voti degli ignoranti. Con il tragico risultato che l’ignorante, un tempo infelice di esserlo, ora rivendica il proprio status orgogliosamente, come una liberazione. Io, a seconda del mio umore del giorno, oscillo tra le due lettura; con una lieve predilezione, ahimè, per quella infausta, la seconda. Ma con irriducibile fiducia nei nostri anticorpi (individuali e sociali). L’ignoranza non produce felicità e nemmeno dignità. Abbrutisce e impedisce la soddisfazione di sentirsi, passo dopo passo, migliori di come si era in partenza. Rende subalterni e meno liberi. E dunque non diamole troppa fiducia; l’ignoranza tornerà ad essere, prima o poi, quello che è sempre stata: una forma di minorità e soggezione dalla quale emanciparsi…». È la speranza che ci piace coltivare. Ha scritto Daniela Ranieri che “a un certo punto della sera di martedì, mentre traeva fomento dalla terza ovazione del pubblico dell’omonima trasmissione, Salvini è sembrato entrare in un evidente stato di alterazione psico-fisica – Salvini che, è bene ricordarlo, esiste e gode di tanto consenso perché per anni è stato insufflato di steroidi proprio dai talk show, felicissimi di ridursi a suoi casini da caccia.
Da Floris c’era un’infilata di giornalisti pronti a metterlo in difficoltà sui temi a lui meno cari, come il Russiagate. “Domani gli italiani si svegliano con la paura di un’invasione della Russia o il problema è che i figli non trovano lavoro?”, ha risposto, come se fossero due alternative logiche. La tattica di bassa semiologia di Salvini è nota: agli italiani non interessa X (dove X sono magagne della Lega presentate come questioni lunari e pedantesche) ma le tasse/il lavoro/le pensioni/il prezzo del latte/i neri stupratori-ladri-spacciatori, con l’aggravante inedita, l’altra sera, del caso di un bambino disabile di Narni a cui Salvini ha promesso di mandare gli infermieri a casa (lui spiccia micro-questioni che il governo delle élite non ha la volontà di risolvere). In questo modo, Salvini fa credere che tutto ciò che non è X sia sottovalutato da chiunque non sia Salvini. A giudicare dalla claque, che escludiamo si sia portato dietro dal Papeete e dunque era autenticamente incantata dalla sua performance cardiovascolare, si direbbe che la tattica funziona ancora. Il turpiloquio lo galvanizza: “Non ho preso un rublo. Dove cazzo vuole cha abbia messo 60 milioni di dollari? Ma secondo lei, io sarei qua a parlare con lei se avessi 60 milioni di dollari? O sarei ai Caraibi?”.  Salvini immagina l’italiano-tipo del tutto incapace di capire la differenza tra l’arricchimento di un politico corrotto e un sistema di corruzione internazionale che a riguarderebbe, se provato, vicendevoli favori su campagne elettorali, compravendita di petrolio e influenze varie. L’arena di DiMartedì ha apprezzato che Salvini sorvolasse sulla noiosa questione del “complotto” ai suoi danni e si riarrogasse il diritto di riferire del suo comportamento solo al pubblico televisivo: “È un anno che andate avanti con questo pippone sulla Russia, gli italiani vogliono sentir parlare di taglio delle tasse e problemi della vita reale!”; ma poi non sa parlare che dell’Umbria, dove è in corso la campagna elettorale. Il trucco è lo stesso di sempre: se l’interlocutore fa una premessa, Salvini concentra l’attenzione sulla premessa, impedendogli di continuare il discorso. Così è riuscito per anni a giocare a flipper coi giornalisti, trattati come cani lanciati a inseguire un bastone. Se come l’altra sera qualcuno premette: “I bambini muoiono in mare”, Salvini si aggancia: “E che è, colpa mia?”, il che obbliga le persone a pensare di chi sia la colpa se i bambini muoiono in mare (per quelle sintonizzate sul suo bias di conferma, delle madri che li mettono sui gommoni); e da lì scatena il domino della passivo-aggressività: “È sempre colpa di Salvini! Manca che la Raggi dica che non riesce a svuotare i cassonetti per causa mia!”. Il pubblico urla, applaude, drogato dalla vertigine dello spostamento, dimentico della questione-matrice. Forse non si aspettava nemmeno lui una platea così calda. (…). Ciò significa che Salvini – sempre secondo la versione di Gustave Le Bon n.d.r. -, se non piagnucola, non è affatto finito”.

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