Faccio
precedere - straordinariamente - “La
personalità dei professori” di Umberto Galimberti, pubblicato sul
settimanale “D” del quotidiano la Repubblica del 27 di ottobre dell’anno 2012, da
una bella “paginetta”
proposta oggi in lettura ed alla giusta riflessione tratta dal volume “Insegnanti efficaci” di Thomas Gordon.
La “paginetta” pone al centro di ogni discorso educativo l’incontestabile
primato che nella dolce e faticosa “arte dell’educare” spetta all’attenzione che porrà l’educatore
più motivato nell’intrecciare e sviluppare i suoi rapporti personali con i
giovani affidatigli. È dalla natura corretta e spesso non lineare di questo
rapporto che l’Autore ne fa discendere anche il conseguimento dei migliori risultati
nell’impegno scolastico: (…). … insegnare può essere anche molto
frustrante e deludente (…). Cos’è allora che rende diverso l’insegnamento che
funziona da quello che fallisce e l’insegnamento che procura soddisfazioni da
quello che invece provoca solo stress? C’è un fattore che influisce in
maniera rilevante sul risultato finale ed è il grado di capacità
dell’insegnante nello stabilire un determinato rapporto con gli studenti.
È proprio
la qualità di questo rapporto che è importante; ancor più di ciò che si sta
insegnando, è determinante il modo in cui l’insegnamento viene impartito.
Nei
rapporti interpersonali il dialogo può essere sia costruttivo che distruttivo, esso
può distaccare l’insegnante dagli studenti oppure creare uno stretto legame tra
loro.
Infatti, l’effetto prodotto dal dialogo dipende dalla qualità del discorso e dalla capacità dell’insegnante di trovare le parole più adatte nelle diverse circostanze. Qualsiasi insegnamento può diventare interessante se impartito da un insegnante che abbia appreso il modo corretto di rapportarsi con gli studenti, instaurando una relazione di reciproco rispetto. Al contrario, se l’insegnante stabilisce con gli alunni un tipo di rapporto che li renda oppressi, diffidenti, distaccati, umiliati o valutati con occhio critico, qualsiasi attività o insegnamento provocherà in loro noia, disinteresse e rifiuto ostinato. Troppo spesso le scuole vedono i loro studenti non come persone ma come dei casi senza volto: ipodotati, superdotati con problemi educativi, culturalmente depressi, economicamente depressi, con alto o basso quoziente di intelligenza, ipercinetici, emotivi, ritardati e così via (…). Noi crediamo invece che ci siano molte più somiglianze che differenze negli studenti. Tutti sono esseri umani prima di tutto. Tutti hanno sentimenti umani, risposte umane (…). Tutti i ragazzi si entusiasmano o si scoraggiano a secondo se vengono accolti o emarginati. Tutti i ragazzi sviluppano dei meccanismi di difesa da contrapporre all’uso di potere da parte degli insegnanti. Tutti i ragazzi danno un grosso valore alle proprie necessità e proteggono i propri diritti civili. (…). Ha scritto magistralmente Galimberti: Non è il caso di sottoporre i docenti a una verifica non solo culturale ma anche della loro reale passione? (…). E qui dobbiamo dire che il sistema scolastico non può essere per sua natura che tecnico, oggettivo e valido per tutti gli ordini di scuola, mentre la crescita emotiva, oltre a quella intellettuale degli studenti, è affidata alla singola personalità dei professori. Ma chi verifica l'idoneità della personalità dei professori all'insegnamento? Nessuno. E le ragioni addotte sono che non si può selezionare gli insegnanti sottoponendoli a una verifica della loro personalità, anche se questa avviene in modo più o meno esplicito, in occasione di un'assunzione in qualsiasi posto di lavoro, tramite colloqui preliminari che ne decidono la selezione. Se ciò avviene là dove ci si occupa di lavoro e profitto, perché non deve avvenire dove in gioco è la formazione dei nostri ragazzi? La capacità di comunicare, di motivare e al limite di affascinare i ragazzi, sono doti di personalità che non si imparano nei corsi universitari (dove peraltro non c'è, per chi vuol dedicarsi all'insegnamento, neppure un corso di psicologia dell'età evolutiva), e tantomeno sui libri, ma la si possiede per natura. Potremmo dire che è un'"arte", come la musica, o il disegno. C'è chi è portato, e chi proprio no. E allora, oltre alla competenza relativa alla propria disciplina (non sempre garantita, vista la diversa assegnazione di insegnamenti che di anno in anno spesso cambia per i singoli professori), non è il caso di introdurre anche una verifica della personalità del professore, per capire se è idoneo e ha una vera passione per l'insegnamento? Quando parlo di "passione" non penso a una comprensione "umana, troppo umana" per gli studenti, che tra l'altro non rifiutano l'autorità, ma la accettano se appena "sentono" che chi la esprime, con l'autorevolezza dell'insegnamento, è interessato davvero a loro e ha davvero cura della loro crescita. Sappiamo tutti, infatti, che oltre alla "comunicazione diretta" dell'insegnamento, c'è anche quella "comunicazione indiretta" che passa per il sentimento a cui gli studenti sono particolarmente attenti e sensibili. Se non li si cattura qui, le parole pronunciate in cattedra implodono, e non c'è disciplina o rigore che possa rianimarle.
Infatti, l’effetto prodotto dal dialogo dipende dalla qualità del discorso e dalla capacità dell’insegnante di trovare le parole più adatte nelle diverse circostanze. Qualsiasi insegnamento può diventare interessante se impartito da un insegnante che abbia appreso il modo corretto di rapportarsi con gli studenti, instaurando una relazione di reciproco rispetto. Al contrario, se l’insegnante stabilisce con gli alunni un tipo di rapporto che li renda oppressi, diffidenti, distaccati, umiliati o valutati con occhio critico, qualsiasi attività o insegnamento provocherà in loro noia, disinteresse e rifiuto ostinato. Troppo spesso le scuole vedono i loro studenti non come persone ma come dei casi senza volto: ipodotati, superdotati con problemi educativi, culturalmente depressi, economicamente depressi, con alto o basso quoziente di intelligenza, ipercinetici, emotivi, ritardati e così via (…). Noi crediamo invece che ci siano molte più somiglianze che differenze negli studenti. Tutti sono esseri umani prima di tutto. Tutti hanno sentimenti umani, risposte umane (…). Tutti i ragazzi si entusiasmano o si scoraggiano a secondo se vengono accolti o emarginati. Tutti i ragazzi sviluppano dei meccanismi di difesa da contrapporre all’uso di potere da parte degli insegnanti. Tutti i ragazzi danno un grosso valore alle proprie necessità e proteggono i propri diritti civili. (…). Ha scritto magistralmente Galimberti: Non è il caso di sottoporre i docenti a una verifica non solo culturale ma anche della loro reale passione? (…). E qui dobbiamo dire che il sistema scolastico non può essere per sua natura che tecnico, oggettivo e valido per tutti gli ordini di scuola, mentre la crescita emotiva, oltre a quella intellettuale degli studenti, è affidata alla singola personalità dei professori. Ma chi verifica l'idoneità della personalità dei professori all'insegnamento? Nessuno. E le ragioni addotte sono che non si può selezionare gli insegnanti sottoponendoli a una verifica della loro personalità, anche se questa avviene in modo più o meno esplicito, in occasione di un'assunzione in qualsiasi posto di lavoro, tramite colloqui preliminari che ne decidono la selezione. Se ciò avviene là dove ci si occupa di lavoro e profitto, perché non deve avvenire dove in gioco è la formazione dei nostri ragazzi? La capacità di comunicare, di motivare e al limite di affascinare i ragazzi, sono doti di personalità che non si imparano nei corsi universitari (dove peraltro non c'è, per chi vuol dedicarsi all'insegnamento, neppure un corso di psicologia dell'età evolutiva), e tantomeno sui libri, ma la si possiede per natura. Potremmo dire che è un'"arte", come la musica, o il disegno. C'è chi è portato, e chi proprio no. E allora, oltre alla competenza relativa alla propria disciplina (non sempre garantita, vista la diversa assegnazione di insegnamenti che di anno in anno spesso cambia per i singoli professori), non è il caso di introdurre anche una verifica della personalità del professore, per capire se è idoneo e ha una vera passione per l'insegnamento? Quando parlo di "passione" non penso a una comprensione "umana, troppo umana" per gli studenti, che tra l'altro non rifiutano l'autorità, ma la accettano se appena "sentono" che chi la esprime, con l'autorevolezza dell'insegnamento, è interessato davvero a loro e ha davvero cura della loro crescita. Sappiamo tutti, infatti, che oltre alla "comunicazione diretta" dell'insegnamento, c'è anche quella "comunicazione indiretta" che passa per il sentimento a cui gli studenti sono particolarmente attenti e sensibili. Se non li si cattura qui, le parole pronunciate in cattedra implodono, e non c'è disciplina o rigore che possa rianimarle.
Carissimo Aldo, il lavoro del docente, come ben sappiamo per esperienza personale, richiede una dedizione particolare che non viene acquisita col tempo, ma "la si possiede per natura" e impronta il proprio operare in un approccio emotivo,capace di generare un ascolto attivo. Solo a partire dalle nostre emozioni possiamo entrare con l'altro in una sintonia emotiva che è l'unica capace di farci sentire quello che l'altro sente. È chiaro che in una relazione, come quella educativa, la capacità di sintonizzarsi sullo stato emotivo dell'educando, cioè la capacità empatica, diventa fondamentale. Il docente deve saper ascoltare e percepire le ragioni e i sentimenti degli studenti, stabilendo quel contatto autentico che può diventare base solida per una relazione proficua ed efficace. La capacità di ascoltare, il modo in cui ascoltiamo crea uno stile di comunicazione che influenza beneficamente o negativamente l'ambiente che ci circonda. Saper ascoltare empaticamente e saper mettere a proprio agio i ragazzi significa contribuire a creare un ambiente sicuro, in cui ciascuno può esprimersi meglio. Grazie per questo post eccezionale che mi riporta in quel mondo del mio passato, a cui mi sento ancora affettivamente legata e buona continuazione. Agnese A.
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