Finisce questo post “sullaprimaoggi” poiché il
suo contenuto cerca di illuminare uno dei punti più oscuri di questo tempo “trumpista”,
la cui presa nell’Occidente ha modalità di diffusione che non può non
impensierire i sinceri democratici. Si pensi per un istante a tutti gli autoproclamantisi
“moderati”
che abbiano frequentato il “teatrino” della politica del bel
paese. Se la memoria vi soccorre sarà facilissimo individuare nell’uomo venuto
da Arcore il campione massimo di quella categoria.
Ha scritto Umberto Galimberti in “Se la comunicazione non è veritiera” - sull’ultimo numero del settimanale “D” di sabato 3 di agosto -: «Non è veritiera non solo quando è falsa, ma quando enfatizza le situazioni che tornano utili al potere e tace su quelle che potrebbero metterlo in difficoltà». Di seguito, l’intervista di Luca Landò - "Carisma e battute, la formula Trump parla direttamente al nostro cervello" – al linguista George Lakoff pubblicata sul quotidiano la Repubblica di giovedì 21 di luglio dell’anno 2016: (…).
Professore, l'astrofisico Stephen Hawking ha detto che è più facile comprendere l'origine dell'universo che spiegare la popolarità di Donald Trump. "Apprezzo la battuta, ma fermiamoci lì. Il successo di Trump non è affatto un mistero. La sua popolarità nasce dall'applicazione rigorosa di un metodo di comunicazione che, piaccia o meno, sta condizionando il dibattito politico e ha profondi effetti sulle scelte degli elettori. Donald Trump ha un talento innato per le provocazioni e le iperboli, cosa che gli permette con estrema facilità di calamitare l'attenzione dei media lasciando in penombra gli avversari. Ma ridurre tutto a una questione di carattere, per quanto vulcanico e imprevedibile, sarebbe un grave errore ".
Ha scritto Umberto Galimberti in “Se la comunicazione non è veritiera” - sull’ultimo numero del settimanale “D” di sabato 3 di agosto -: «Non è veritiera non solo quando è falsa, ma quando enfatizza le situazioni che tornano utili al potere e tace su quelle che potrebbero metterlo in difficoltà». Di seguito, l’intervista di Luca Landò - "Carisma e battute, la formula Trump parla direttamente al nostro cervello" – al linguista George Lakoff pubblicata sul quotidiano la Repubblica di giovedì 21 di luglio dell’anno 2016: (…).
Professore, l'astrofisico Stephen Hawking ha detto che è più facile comprendere l'origine dell'universo che spiegare la popolarità di Donald Trump. "Apprezzo la battuta, ma fermiamoci lì. Il successo di Trump non è affatto un mistero. La sua popolarità nasce dall'applicazione rigorosa di un metodo di comunicazione che, piaccia o meno, sta condizionando il dibattito politico e ha profondi effetti sulle scelte degli elettori. Donald Trump ha un talento innato per le provocazioni e le iperboli, cosa che gli permette con estrema facilità di calamitare l'attenzione dei media lasciando in penombra gli avversari. Ma ridurre tutto a una questione di carattere, per quanto vulcanico e imprevedibile, sarebbe un grave errore ".
Addirittura? "La comunicazione politica
è da tempo entrata in una dimensione nuova che utilizza gli effetti che certe
parole hanno sulla nostra mente, finendo per condizionare le nostre opinioni e,
ovviamente, le nostre scelte elettorali".
Non è sempre stato così? "La storia ha
sempre prodotto dei leader il cui carisma e successo erano dovuti alla capacità
naturale di trovare espressioni e frasi in grado di colpire il cuore e le menti
di chi li ascoltava. La differenza è che prima tutto questo avveniva per caso,
mentre oggi sappiamo perché accade. E può essere ottenuto di proposito".
Sta dicendo che il nostro cervello risponde
passivamente alle parole che ascolta? "No, sto dicendo che alcune parole,
alcune frasi possono innescare dei meccanismi inconsci e automatici. Se le dico
"Non pensare all'elefante", che è il titolo di un mio libro ma anche
un gioco che faccio con gli studenti all'inizio di ogni corso, lei, che lo
voglia o no, finisce per disobbedirmi e pensare proprio all'elefante, perché
l'immagine di quell'animale è molto nota e viva nella mente di ciascuno di noi.
E molto più immediata del mio ordine, con il quale le ho chiesto di "non
pensare". Lo stesso avviene nella comunicazione politica: ci sono parole,
frasi, metafore che, più di altre, attirano l'attenzione della mente suscitando
reazioni positive o negative e che, per questo, lasciano il segno in chi le
ascolta".
Qualche esempio? "Prendiamo la
questione degli immigrati e dei rifugiati. I termini che più si usano sono
quelli di "invasione" e di "onda" che, se ci pensiamo, sono
delle immagini, delle metafore che spostano, anzi rovesciano i termini del
problema. Perché le vittime non sono più i migranti che fuggono da situazioni
oggettive di pericolo e difficoltà, ma gli europei che vengono
"invasi" e travolti da "ondate" migratorie contro le quali,
non a caso, si costruiscono muri e barriere. Degli argini, appunto. Il risultato
è che abbiamo un problema enorme, una emergenza umanitaria che andrebbe gestita
con intelligenza e razionalità, mentre quello che accade è esattamente
l'opposto, con atteggiamenti privi di senso dettati da paura e
irrazionalità".
Tutto questo per le parole che si usano? "Il
nostro cervello è una macchina complessa che deve gestire una quantità
impressionante di informazioni. Appena può, utilizza schemi che ha già
elaborato e che già conosce. Quando qualcosa di nuovo attira la sua attenzione,
prima di cominciare da zero guarda se al proprio interno ci sono immagini e
concetti che possono essere utilizzati. Non ce ne accorgiamo perché il 93 per
cento dell'attività cerebrale avviene a livello inconscio, ma nella nostra
testa procediamo per schemi e metafore: utilizziamo qualcosa di noto e
familiare per meglio comprendere qualcosa di nuovo e insolito. Il guaio è che
se la vecchia immagine è troppo forte, troppo potente, la metafora ci porta
fuori strada. Anziché conoscere e comprendere qualcosa di nuovo, ripetiamo
qualcosa di vecchio. E non capiamo quel che sta accadendo".
E questo cosa c'entra con la comunicazione
politica? "C'entra, perché nei discorsi di molti politici l'uso delle
metafore non è casuale, ma voluto e cercato. Studiato. I primi a capirlo sono
stati i Repubblicani che ne hanno quasi fatto una scienza, piegandola ai loro
interessi. Frank Luntz, famoso e bravissimo cognitivista, ha scritto diversi
manuali sulle parole e le espressioni che i Repubblicani dovrebbero usare per
vincere le elezioni. È stato lui a inventare il famoso "Contratto con gli
americani", poi importato in Italia da Berlusconi. Lui ha suggerito ai
Repubblicani di abbandonare l'espressione "riscaldamento globale"
sostituendola con la più generica "cambiamento climatico": la prima
implica che qualcuno abbia innescato un processo negativo e che si possa fare
qualcosa per interromperlo, la seconda libera l'uomo, e le aziende petrolifere,
da ogni responsabilità perché rimanda tutto a mutamenti naturali contro cui non
possiamo agire. È il clima che cambia e noi non possiamo farci nulla".
Glielo chiedo di nuovo: tutto solo grazie ad
alcune parole? "Non si tratta di parole ma di " frame", schemi
mentali che abbiamo all'interno del nostro cervello. Le parole che usiamo non
fanno altro che attivare schemi che già esistono. Prima vengono i frame e poi
le parole. L'abilità di uno scienziato cognitivista è riconoscere i frame
presenti nella nostra mente, l'abilità di un politico è usare le parole in
grado di attivarli".
Torniamo a Trump. "È una macchina da guerra, perché sa esattamente come attivare i frame che riscaldano i cuori e le menti dei Repubblicani. Con una particolarità in più: che senza perdere il consenso dei suoi, riesce ad attirare l'attenzione di fasce ancora indecise del bacino elettorale. Trump non usa un linguaggio moderato, eppure riesce a richiamare parte di quello che, sbagliando, viene definito il popolo moderato".
Perché non si può definirlo così? "I
moderati, da un punto di vista cognitivo, non esistono. Esistono progressisti e
conservatori, che guardano e interpretano il mondo con schemi mentali, frame
appunto, molto differenti tra loro. In mezzo non ci sono moderati, ma persone
che hanno nella mente alcuni schemi tipici dei progressisti e altri propri dei
conservatori. Quelli che chiamiamo moderati sono in realtà dei
"biconcettuali", perché su alcuni argomenti possono rispondere ai richiami
di un Bernie Sanders o di una Hillary Clinton mentre su altri ascoltano con
interesse Trump. Secondo uno studio recente esistono almeno 15 tipi di
biconcettuali, che miscelano in modo diverso i frame conservatori con quello
progressisti".
Quindici sfumature di grigio? "No,
quindici mosaici diversi composti da un diverso assemblaggio di tasselli
bianchi e tasselli neri. I tasselli grigi non esistono". (…).
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