Ricorderete tutti quella patetica
figura così ben tratteggiata in quel capolavoro letterario che è “Il deserto dei tartari” di Dino
Buzzati. A chi gli chiedeva quale fosse stata l’intuizione che lo avesse
portato alla stesura del Suo capolavoro lo scrittore ebbe ad indicare che la
motivazione precipua stesse nella «monotona routine redazionale notturna che
facevo a quei tempi. Molto spesso avevo l'idea che quel tran tran dovesse
andare avanti senza termine e che mi avrebbe consumato così inutilmente la
vita. È un sentimento comune, io penso, alla maggioranza degli uomini,
soprattutto se incasellati nell'esistenza ad orario delle città. La
trasposizione di questa idea in un mondo militare fantastico è stata per me
quasi istintiva». Come per il
sottotenente Giovanni Drogo. Di quel sottotenente che dall’alto dei
camminamenti del fortino scruta ansioso l’orizzonte in attesa dell’assalto dei “barbari”.
Un’attesa spasmodica, una “fuga dal tempo”. In una altrettanto straordinaria
opera cinematografica dell’anno 1976 a firma di Valerio Zunini quella figura è
resa magnificamente ad imperitura memoria di tutti i “Drogo” di questo mondo
dell’oggi e del domani da Jacques Perrin. Una “fuga dal tempo” sembra abbia
posseduto una intera comunità nazionale al punto che quell’arrivo dei “barbari”
tanto temuto non è stato lontanamente presagito. Ha scritto Alberto Asor Rosa
sul quotidiano la Repubblica del 13 di agosto ultimo: "L'Italia è stata
sottoposta, nel suo complesso in questi ultimi decenni a un autentico processo
di "barbarizzazione". La "barbarie" oggi è dappertutto,
costumi, persuasioni etiche, forme della politica, rapporti umani, usi e
abitudini della lingua. Se non s'interviene a cambiare tutto questo, il barbaro
avrà comunque il sopravvento. Bisogna cambiare le cose, tutte le cose, con
idee, programmi, comportamenti. Lo raccomandava già 500 anni fa, dalla sua
altezza di pensiero, Niccolò Machiavelli. Possibile che non abbiamo ancora
imparato questa semplice lezione?". Non è da oggi allora che la "barbarizzazione"
abbia contaminato la vita della società nel suo complesso e degli atomizzati singoli,
atomizzati non possedendo essi più una visione d’assieme del vivere sociale, sino
al punto da rendere oramai tutti impresentabili ed irriconoscibili. Recupero dal
mio “archivio” un testo - “Il nuovo dizionario della destra” - di Francesco
Merlo pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 22 di agosto dell’anno 2013: (…).
Dunque Berlusconi, che ha commesso il delitto, chiama «pacificazione »
l’abolizione del castigo che è la guerra del delitto al diritto, l’esatto
contrario della pace. E il voto del Parlamento, che è la massima espressione
civile della democrazia, per Cicchitto è un «tribunale speciale» che, secondo
Quagliarello, si trasforma esso stesso in «plotone di esecuzione».
Attenzione, però, questa non è una guerra di parole ma sono parole di guerra. (…). …Berlusconi mistifica la sentenza che lo inchioda alla frode fiscale come se fosse la nobile sconfitta di mezza Italia. «La pacificazione » per lui è trascinare nel suo singolare, individuale destino di frodatore quella parte d’Italia che, per legittimi motivi, non è di centrosinistra: tutti dentro il suo carniere di bracconiere. «Siamo tutti colpevoli, siamo tutti evasori » ha sostenuto infatti la Santanché con un altra raffica di senso comune capovolto. (…). …ora l’imbonitore si è appropriato dello strumento toccante della fratellanza ed ecco che «siamo tutti ladri», «siamo tutti Berlusconi». E il meccanismo è così ramificato ed efficace che i quotidiani della casa sempre più spesso pubblicano sfoghi di lettori che raccontano di essere stati aggrediti e insultati come «ladri» perché leggono appunto Libero e il Giornale. Trionfa così l’impostura. È la prova che la menzogna sta prendendo piede, e non solo provoca ma confonde e disinforma. Il ladro è Berlusconi e non chi lo ha votato. È stato condannato lui e non gli elettori di centrodestra. L’imbonitore lavora per trasformare in delinquenti anche i suoi sostenitori, è come lo spacciatore che vuole la solidarietà delle sue vittime, come il bracconiere che si appella alla complicità della selvaggina che impallina, come il mafioso che dice di essere Enzo Tortora. Quella di Berlusconi è la sindrome di Sansone: muore sì, ma con tutti gli italiani. (…). …nel gergo del truffatore pop il massimo della complessità consentita è «il problema di sistema» di Quagliariello oppure la «la questione di democrazia» di Brunetta. Non trucchi linguistici ma slogan di quella «guerra civile» annunziata da Bondi. «L’agibilità», «le più mature determinazioni », «l’omicidio politico», il dramma della democrazia», «l’atteggiamento pregiudiziale »: sono tutti allarmi, avvisi, dettati, ricatti all’Italia che deve piegarsi alla «anomalia Berlusconi» (scrive il Foglio) che una volta era la vittoria dell’outsider e ora è l’impunità del reo. Non parole, ma parole d’ordine dunque, truffe di significato come l’appello della Gelmini per «un approfondimento della legge Severino» che in questo neoitaliano eversivo è l’appello a disattendere una legge, l’appello a mettersi fuori legge. (…). I personaggi sono i “soliti noti”, che calcano da decenni e calcano ancora il teatrino dell’avanspettacolo della politica del bel paese. È di questi giorni di calura, a seguito della dipartita del governo Conte, la sollecitazione, l’indicazione proveniente da non poche figure di quell’avanspettacolo, affinché rifaccia una nuova “discesa in campo” nell’agone della politica quel condannato in via definitiva per “frode fiscale”. Sosteneva il comico-demiurgo Beppe Grillo che il programma politico del suo movimento trovava la sua essenza nell’"abolire le classi dirigenti, qualunque sia la loro collocazione politica. Il popolo non vuole le caste dirigenti e quindi deve tagliare gli alberi e lasciare il prato ai suoi piedi. Quando questa operazione sarà compiuta noi faremo il nostro programma, ma fino ad allora il daffare è chiaro: tagliare gli alberi". Quel programma “politico” è rovinosamente naufragato. Punto. I “barbari” sono tra di noi, ma da tempo assai.
Attenzione, però, questa non è una guerra di parole ma sono parole di guerra. (…). …Berlusconi mistifica la sentenza che lo inchioda alla frode fiscale come se fosse la nobile sconfitta di mezza Italia. «La pacificazione » per lui è trascinare nel suo singolare, individuale destino di frodatore quella parte d’Italia che, per legittimi motivi, non è di centrosinistra: tutti dentro il suo carniere di bracconiere. «Siamo tutti colpevoli, siamo tutti evasori » ha sostenuto infatti la Santanché con un altra raffica di senso comune capovolto. (…). …ora l’imbonitore si è appropriato dello strumento toccante della fratellanza ed ecco che «siamo tutti ladri», «siamo tutti Berlusconi». E il meccanismo è così ramificato ed efficace che i quotidiani della casa sempre più spesso pubblicano sfoghi di lettori che raccontano di essere stati aggrediti e insultati come «ladri» perché leggono appunto Libero e il Giornale. Trionfa così l’impostura. È la prova che la menzogna sta prendendo piede, e non solo provoca ma confonde e disinforma. Il ladro è Berlusconi e non chi lo ha votato. È stato condannato lui e non gli elettori di centrodestra. L’imbonitore lavora per trasformare in delinquenti anche i suoi sostenitori, è come lo spacciatore che vuole la solidarietà delle sue vittime, come il bracconiere che si appella alla complicità della selvaggina che impallina, come il mafioso che dice di essere Enzo Tortora. Quella di Berlusconi è la sindrome di Sansone: muore sì, ma con tutti gli italiani. (…). …nel gergo del truffatore pop il massimo della complessità consentita è «il problema di sistema» di Quagliariello oppure la «la questione di democrazia» di Brunetta. Non trucchi linguistici ma slogan di quella «guerra civile» annunziata da Bondi. «L’agibilità», «le più mature determinazioni », «l’omicidio politico», il dramma della democrazia», «l’atteggiamento pregiudiziale »: sono tutti allarmi, avvisi, dettati, ricatti all’Italia che deve piegarsi alla «anomalia Berlusconi» (scrive il Foglio) che una volta era la vittoria dell’outsider e ora è l’impunità del reo. Non parole, ma parole d’ordine dunque, truffe di significato come l’appello della Gelmini per «un approfondimento della legge Severino» che in questo neoitaliano eversivo è l’appello a disattendere una legge, l’appello a mettersi fuori legge. (…). I personaggi sono i “soliti noti”, che calcano da decenni e calcano ancora il teatrino dell’avanspettacolo della politica del bel paese. È di questi giorni di calura, a seguito della dipartita del governo Conte, la sollecitazione, l’indicazione proveniente da non poche figure di quell’avanspettacolo, affinché rifaccia una nuova “discesa in campo” nell’agone della politica quel condannato in via definitiva per “frode fiscale”. Sosteneva il comico-demiurgo Beppe Grillo che il programma politico del suo movimento trovava la sua essenza nell’"abolire le classi dirigenti, qualunque sia la loro collocazione politica. Il popolo non vuole le caste dirigenti e quindi deve tagliare gli alberi e lasciare il prato ai suoi piedi. Quando questa operazione sarà compiuta noi faremo il nostro programma, ma fino ad allora il daffare è chiaro: tagliare gli alberi". Quel programma “politico” è rovinosamente naufragato. Punto. I “barbari” sono tra di noi, ma da tempo assai.
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