Ha sostenuto Umberto Galimberti nel corso della
trasmissione televisiva “Tagadà” sull’emittente
La7: Salvini?
Non è un fascista, perché i fascisti hanno una visione, lui non ha neanche
quella. Salvini fa il fascista eventualmente. In realtà, i suoi comportamenti
assomigliano a quelli di un bullo di periferia. Se lui facesse la quinta
elementare, sarebbe qualificato come un bullo. (…).
Non voglio dare dell’ignorante a nessuno, ma la scuola da 40 anni non funziona, non leggiamo e quindi non coltiviamo la nostra mente, siamo all’ultimo posto in Europa per la comprensione di un testo scritto, come attesta una relazione dell’Ocse. Tutto questo lascia intendere che l’ignoranza, proprio perché non pensa e non ragiona, si lascia affascinare dagli slogan. A questo si aggiunge il fatto che soprattutto i più giovani, vivendo nel mondo dell’informatica dove il rapporto tra domanda e risposta deve essere iper-velocizzato, finiscono col dare risposte su base emotiva. Cioè si vota non una idea o un partito o un programma, ma un leader che ci piace. Non è una novità, ma questo fatto oggi è esasperato. (…). Salvini ricorre a frasi come “sono il padre di 60 milioni di italiani” o “lo dico da papà”, perché è un messaggio efficace che dà un senso di sicurezza e di protezione alla gente che ha delle insicurezze economiche. E tutte queste forme di rassicurazione fanno pensare che, se ci fosse lui al governo, i problemi sarebbero risolti. È la stessa ragione per cui Salvini usa il rosario, anche se non so quanto creda in Dio o nelle pratiche religiose. La verità è che lui ha solo bisogno di voti per fare maggioranza. I suoi slogan sono efficaci perché non sono un sillogismo. Dopo che lui ha enunciato una certa cosa, non c’è mai un ragionamento su come realizzare quella cosa. Questo non accade mai, perché il ragionamento è una cosa molto difficile per Salvini. Occorre salvare il “milite” Salvini affinché si salvino gli italiani tutti. Una brillante idea in proposito l’ha formulata Alessandro Robecchi in “Chi è Salvini”? Ma è solo il tizio che si occupa dei gattini…”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di luglio 2019: In un paese in cui il lavoro scarseggia e le statistiche sull’occupazione fanno spavento, la piaga del doppio o triplo impiego diventa insostenibile. E’ come se uno facesse il tornitore alla Breda, poi il tramviere, poi in pausa pranzo l’idraulico e dopo cena il pediatra. Tipo Salvini, insomma, che alla mattina fa il ministro dell’Interno (sgombero di 300 persone tra cui 80 bambini), il ministro del Lavoro al pomeriggio (incontro coi sindacati), il presidente del Consiglio per una mezz’oretta, il piazzista di flat tax mentre gli altri mangiano un panino, poi, per tutto il resto della giornata fa quello che a Milano si chiama “il piangina”, cioè quello che “tutti ce l’hanno con me”, quello che frigna. Puro salvinismo, insomma, che è una variante bulimica del classico “chiagni e fotti” del potere italiano. A tempo perso twitta foto di cibo e gattini (…). Insomma, per la prima volta ci troviamo di fronte a un multi-ministro, che in confronto i travestimenti di Silvio buonanima erano cabaret (il presidente operaio, il presidente ferroviere, ecc. ecc.). Come sempre quando qualcuno esagera sorge spontanea una domanda: non sarà un po’ colpa nostra che gli diamo retta (e per “nostra” intendo: di chi ha a che fare con lui)? Dopotutto lo spaccone da bar, quello che alza gli occhi dalla Gazzetta solo per intervenite a cazzo, nella vita lo abbiamo incontrato tutti, dovremmo sapere come si fa. Siccome viviamo qui da tempo, ricordiamo che questo prendersi spazio, prime pagine, attenzione sfrenata, non è una novità. Ci fu un periodo in cui Berlusconi finiva nei titoli di testa anche se raccontava una barzelletta zozza (forse soprattutto per quello), Renzi se ne inventava una al giorno, e quando in prima pagina finiva qualcun altro gli veniva la gastrite. Salvini uguale col rilancio: vuole i titoli suoi, ma anche quelli degli altri. Ed è stato un grande momento quanto un sottosegretario leghista dimissionario per le accuse di corruzione, il famoso Siri, si è alzato nella grande sala del Viminale per spiegare ai sindacati la flat-tax. Ecco un caso di scuola del “noi che gli diamo retta”. Possibile che tra le mille e mille sigle sindacali che sono affluite ordinatamente al Viminale per sentire la lezioncina sulla flat-tax dell’indagato dimissionato non ci sia stato uno – che ne so, un vecchio delegato, una rappresentante delle commesse, un sindacalista degli edili – che si sia alzato dicendo: “Questo è troppo me ne vado”? Davvero strabiliante. Si è un po’ imbizzarrito il presidente del consiglio vero (Conte), quando ha capito che il ministro dell’economia falso (Salvini) stava usurpando il suo posto. E forse il ministro del Lavoro (quello vero, Di Maio) avrebbe dovuto presentarsi anche lui, per parlare al posto di quello falso (sempre Salvini). E magari mandare Salvini (quello vero) a rispondere al Parlamento delle sue trame russe. Insomma, un pesce a secco non sopravvive (provate a metterlo su un tavolo) e si sa che gli serve l’acqua. Ecco. L’acqua in cui nuota Salvini, grazie alla quale sopravvive, è l’assoluta incapacità di metterlo al suo posto, di arginarlo nel suo ruolo, che già sarebbe troppo. Lo so, è più facile dirlo che farlo, però prima o poi bisognerà cominciare, e forse proprio Salvini può insegnarci come. Basta fare come lui, far finta di niente, cadere dal pero. Lo trovi pappa e ciccia con un narcos e lui dice: non lo conosco. Savoini tratta forniture di petrolio con lo sconto per regalare 65 milioni alla Lega e presenzia ai bilaterali, e lui dice “Non l’ho invitato io”. Insomma, negare sempre. Ecco, bisognerebbe fare così: Salvini chi, quello dei gattini?
Non voglio dare dell’ignorante a nessuno, ma la scuola da 40 anni non funziona, non leggiamo e quindi non coltiviamo la nostra mente, siamo all’ultimo posto in Europa per la comprensione di un testo scritto, come attesta una relazione dell’Ocse. Tutto questo lascia intendere che l’ignoranza, proprio perché non pensa e non ragiona, si lascia affascinare dagli slogan. A questo si aggiunge il fatto che soprattutto i più giovani, vivendo nel mondo dell’informatica dove il rapporto tra domanda e risposta deve essere iper-velocizzato, finiscono col dare risposte su base emotiva. Cioè si vota non una idea o un partito o un programma, ma un leader che ci piace. Non è una novità, ma questo fatto oggi è esasperato. (…). Salvini ricorre a frasi come “sono il padre di 60 milioni di italiani” o “lo dico da papà”, perché è un messaggio efficace che dà un senso di sicurezza e di protezione alla gente che ha delle insicurezze economiche. E tutte queste forme di rassicurazione fanno pensare che, se ci fosse lui al governo, i problemi sarebbero risolti. È la stessa ragione per cui Salvini usa il rosario, anche se non so quanto creda in Dio o nelle pratiche religiose. La verità è che lui ha solo bisogno di voti per fare maggioranza. I suoi slogan sono efficaci perché non sono un sillogismo. Dopo che lui ha enunciato una certa cosa, non c’è mai un ragionamento su come realizzare quella cosa. Questo non accade mai, perché il ragionamento è una cosa molto difficile per Salvini. Occorre salvare il “milite” Salvini affinché si salvino gli italiani tutti. Una brillante idea in proposito l’ha formulata Alessandro Robecchi in “Chi è Salvini”? Ma è solo il tizio che si occupa dei gattini…”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 17 di luglio 2019: In un paese in cui il lavoro scarseggia e le statistiche sull’occupazione fanno spavento, la piaga del doppio o triplo impiego diventa insostenibile. E’ come se uno facesse il tornitore alla Breda, poi il tramviere, poi in pausa pranzo l’idraulico e dopo cena il pediatra. Tipo Salvini, insomma, che alla mattina fa il ministro dell’Interno (sgombero di 300 persone tra cui 80 bambini), il ministro del Lavoro al pomeriggio (incontro coi sindacati), il presidente del Consiglio per una mezz’oretta, il piazzista di flat tax mentre gli altri mangiano un panino, poi, per tutto il resto della giornata fa quello che a Milano si chiama “il piangina”, cioè quello che “tutti ce l’hanno con me”, quello che frigna. Puro salvinismo, insomma, che è una variante bulimica del classico “chiagni e fotti” del potere italiano. A tempo perso twitta foto di cibo e gattini (…). Insomma, per la prima volta ci troviamo di fronte a un multi-ministro, che in confronto i travestimenti di Silvio buonanima erano cabaret (il presidente operaio, il presidente ferroviere, ecc. ecc.). Come sempre quando qualcuno esagera sorge spontanea una domanda: non sarà un po’ colpa nostra che gli diamo retta (e per “nostra” intendo: di chi ha a che fare con lui)? Dopotutto lo spaccone da bar, quello che alza gli occhi dalla Gazzetta solo per intervenite a cazzo, nella vita lo abbiamo incontrato tutti, dovremmo sapere come si fa. Siccome viviamo qui da tempo, ricordiamo che questo prendersi spazio, prime pagine, attenzione sfrenata, non è una novità. Ci fu un periodo in cui Berlusconi finiva nei titoli di testa anche se raccontava una barzelletta zozza (forse soprattutto per quello), Renzi se ne inventava una al giorno, e quando in prima pagina finiva qualcun altro gli veniva la gastrite. Salvini uguale col rilancio: vuole i titoli suoi, ma anche quelli degli altri. Ed è stato un grande momento quanto un sottosegretario leghista dimissionario per le accuse di corruzione, il famoso Siri, si è alzato nella grande sala del Viminale per spiegare ai sindacati la flat-tax. Ecco un caso di scuola del “noi che gli diamo retta”. Possibile che tra le mille e mille sigle sindacali che sono affluite ordinatamente al Viminale per sentire la lezioncina sulla flat-tax dell’indagato dimissionato non ci sia stato uno – che ne so, un vecchio delegato, una rappresentante delle commesse, un sindacalista degli edili – che si sia alzato dicendo: “Questo è troppo me ne vado”? Davvero strabiliante. Si è un po’ imbizzarrito il presidente del consiglio vero (Conte), quando ha capito che il ministro dell’economia falso (Salvini) stava usurpando il suo posto. E forse il ministro del Lavoro (quello vero, Di Maio) avrebbe dovuto presentarsi anche lui, per parlare al posto di quello falso (sempre Salvini). E magari mandare Salvini (quello vero) a rispondere al Parlamento delle sue trame russe. Insomma, un pesce a secco non sopravvive (provate a metterlo su un tavolo) e si sa che gli serve l’acqua. Ecco. L’acqua in cui nuota Salvini, grazie alla quale sopravvive, è l’assoluta incapacità di metterlo al suo posto, di arginarlo nel suo ruolo, che già sarebbe troppo. Lo so, è più facile dirlo che farlo, però prima o poi bisognerà cominciare, e forse proprio Salvini può insegnarci come. Basta fare come lui, far finta di niente, cadere dal pero. Lo trovi pappa e ciccia con un narcos e lui dice: non lo conosco. Savoini tratta forniture di petrolio con lo sconto per regalare 65 milioni alla Lega e presenzia ai bilaterali, e lui dice “Non l’ho invitato io”. Insomma, negare sempre. Ecco, bisognerebbe fare così: Salvini chi, quello dei gattini?
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