Tratto da “Che
progresso è, se fa a meno degli uomini?” di Umberto Galimberti, pubblicato
sul settimanale “D” del 20 di agosto dell’anno 2016: Prometeo, il titano che ha donato
la tecnica ai mortali e che il mito greco voleva prudentemente incatenato dagli
dei, oggi non ha altro limite che la propria forza.
Il (…) ragionamento che a far disastri sulla Terra non è la tecnica con la sua razionalità ma la politica col suo arbitrio non farebbe una piega, se la tecnica fosse un'arte innocente e non condizionata dall'opinione dei tecnici, che difficilmente concordano sulle vie da seguire. Alcuni tecnici sono favorevoli al nucleare, altri non cessano di spaventarci illustrandoci i rischi che corriamo. Alcuni dicono che gli organismi geneticamente modificati non procurano alcun danno alla nostra salute, altri invece ci terrorizzano circa il futuro dell'umanità se questa pratica divenisse globale. Certi ritengono che il riscaldamento della Terra sia causato dall'uomo, altri ci dicono che tutto dipende dai normali cicli della natura. Cosa ci insegna tutto questo? Che i problemi che ho citato sono così grandi da trascendere la competenza specifica di ciascun tecnico (a cui peraltro manca la possibilità per verificare sui tempi lunghi, quindi per le generazioni future, l'effetto delle sue convinzioni). Oppure, più semplicemente, che occorre non dimenticare che anche i tecnici sono uomini, e al pari di tutti gli uomini, oltre alle competenze specifiche, hanno idee personali, passioni, appartenenze politiche, interessi privati che non consentono loro di dire la pura verità. Per cui anche i tecnici nei loro responsi non sono più puri e immacolati di quanto non siano i politici. Questa considerazione ha anche un aspetto positivo. Ci ricorda che l'uomo, come dicevano i Greci, è un "animale politico", irrimediabilmente politico. Nel senso che vive con gli altri, con interessi contrapposti, con passioni le più differenziate a cui seguono decisioni che - a differenza delle decisioni tecniche - non sono spassionate e neppure sempre e solo razionali. La razionalità della tecnica vede le passioni degli uomini, i loro sogni, le loro insoddisfazioni, le loro aspirazioni, le loro aspettative, i loro amori e le loro malinconie come fattori di disturbo del procedimento tecnico, che chiede solo di raggiungere il massimo degli scopi con l'impiego minimo di mezzi, senza intralci o inconvenienti antropologici. Se questa razionalità tecnica, per ora limitata ai luoghi di lavoro, dovesse estendersi per governare gli uomini con gli stessi criteri con cui si governano le macchine, avremmo un mondo perfettamente ordinato, senza però più la traccia dell'uomo come finora l'abbiamo conosciuto. Io non sono contro la tecnica che ci fa vivere meglio dei nostri nonni (anche se per esserne certi dovremo attendere ancora una o due generazioni). Io sono contro, e per quel che posso combatto, l'eventualità che la razionalità della tecnica diventi la razionalità universale. Perché in questo caso avremmo non solo una dittatura più costrittiva di quella dei fascismi e dei comunismi, dove tutto ancora dipendeva da un uomo o da un apparato a cui potersi ribellare, ma la perdita di tutte quelle espressioni irrazionali che rendono l'uomo capace di amare, piangere, sorridere, di guardare il cielo senza altro scopo che non sia contemplarne la bellezza (che, detto per inciso, è un altro fattore che dal punto di vista tecnico non riveste alcuna utilità). (…). …consiglio di leggere un libro che Günther Anders, ponendosi provocatoriamente dal punto di vista della razionalità tecnica, ha intitolato L'uomo è antiquato per illustrare come Prometeo, che il mito greco aveva "incatenato" a una roccia, oggi sia "scatenato": poiché oggi la capacità della tecnica di "fare" è enormemente superiore alla nostra capacità di "prevedere", siamo tornati all'angoscia che i primitivi provavano davanti all'imprevedibile. E il problema che si pone, scrive Anders, «non è che cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma che cosa la tecnica può fare di noi».
Il (…) ragionamento che a far disastri sulla Terra non è la tecnica con la sua razionalità ma la politica col suo arbitrio non farebbe una piega, se la tecnica fosse un'arte innocente e non condizionata dall'opinione dei tecnici, che difficilmente concordano sulle vie da seguire. Alcuni tecnici sono favorevoli al nucleare, altri non cessano di spaventarci illustrandoci i rischi che corriamo. Alcuni dicono che gli organismi geneticamente modificati non procurano alcun danno alla nostra salute, altri invece ci terrorizzano circa il futuro dell'umanità se questa pratica divenisse globale. Certi ritengono che il riscaldamento della Terra sia causato dall'uomo, altri ci dicono che tutto dipende dai normali cicli della natura. Cosa ci insegna tutto questo? Che i problemi che ho citato sono così grandi da trascendere la competenza specifica di ciascun tecnico (a cui peraltro manca la possibilità per verificare sui tempi lunghi, quindi per le generazioni future, l'effetto delle sue convinzioni). Oppure, più semplicemente, che occorre non dimenticare che anche i tecnici sono uomini, e al pari di tutti gli uomini, oltre alle competenze specifiche, hanno idee personali, passioni, appartenenze politiche, interessi privati che non consentono loro di dire la pura verità. Per cui anche i tecnici nei loro responsi non sono più puri e immacolati di quanto non siano i politici. Questa considerazione ha anche un aspetto positivo. Ci ricorda che l'uomo, come dicevano i Greci, è un "animale politico", irrimediabilmente politico. Nel senso che vive con gli altri, con interessi contrapposti, con passioni le più differenziate a cui seguono decisioni che - a differenza delle decisioni tecniche - non sono spassionate e neppure sempre e solo razionali. La razionalità della tecnica vede le passioni degli uomini, i loro sogni, le loro insoddisfazioni, le loro aspirazioni, le loro aspettative, i loro amori e le loro malinconie come fattori di disturbo del procedimento tecnico, che chiede solo di raggiungere il massimo degli scopi con l'impiego minimo di mezzi, senza intralci o inconvenienti antropologici. Se questa razionalità tecnica, per ora limitata ai luoghi di lavoro, dovesse estendersi per governare gli uomini con gli stessi criteri con cui si governano le macchine, avremmo un mondo perfettamente ordinato, senza però più la traccia dell'uomo come finora l'abbiamo conosciuto. Io non sono contro la tecnica che ci fa vivere meglio dei nostri nonni (anche se per esserne certi dovremo attendere ancora una o due generazioni). Io sono contro, e per quel che posso combatto, l'eventualità che la razionalità della tecnica diventi la razionalità universale. Perché in questo caso avremmo non solo una dittatura più costrittiva di quella dei fascismi e dei comunismi, dove tutto ancora dipendeva da un uomo o da un apparato a cui potersi ribellare, ma la perdita di tutte quelle espressioni irrazionali che rendono l'uomo capace di amare, piangere, sorridere, di guardare il cielo senza altro scopo che non sia contemplarne la bellezza (che, detto per inciso, è un altro fattore che dal punto di vista tecnico non riveste alcuna utilità). (…). …consiglio di leggere un libro che Günther Anders, ponendosi provocatoriamente dal punto di vista della razionalità tecnica, ha intitolato L'uomo è antiquato per illustrare come Prometeo, che il mito greco aveva "incatenato" a una roccia, oggi sia "scatenato": poiché oggi la capacità della tecnica di "fare" è enormemente superiore alla nostra capacità di "prevedere", siamo tornati all'angoscia che i primitivi provavano davanti all'imprevedibile. E il problema che si pone, scrive Anders, «non è che cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma che cosa la tecnica può fare di noi».
Grazie, Aldo, di questo nuovo post. Ho molto apprezzato le interessantissime e veramente illuminanti considerazioni del Nostro Autore sulla potenza della tecnica. Sono uno stimolo efficace a riflettere sui pericoli e le eventuali,disastrose conseguenze per l'umanità, nel caso in cui la razionalità tecnica fosse estesa dai luoghi di lavoro a tutti gli altri aspetti della vita umana. Sarebbe il suicidio della parte migliore dell'uomo, per dar vita a un mostro che sicuramente poco avrebbe di"umano". Grazie ancora e buon lavoro. Agnese A.
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