"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 7 agosto 2019

Ifattinprima. 01 «Non ricordo dov’ero a Capodanno 2009, devo consultare l’agenda».


Questa prima puntata de’ “ifattinprima”“Il Celeste, Daccò e Simone: siam tre piccoli ciellini” -  di Marco Travaglio risale nel tempo alla santa domenica – sempre “santa”, ché il “Celeste” di questo “fattoinprima” si peritava di vivere ed onorare da par suo - del 24 di giugno dell’anno 2012. Un’era trascorsa. Principe incontrastato e venerato di quei “fatti” il “Celeste”, al secolo Roberto Formigoni, votato alla castità ed alla povertà, a suo modesto dire. Balle! Appena sette anni dopo, una sentenza lo condanna per corruzione. Una “celestialità” andata miseramente in fumo, o meglio, tra le fiamme dell’inferno (solita storiella per i soliti gonzi).  Scriveva Marco Travaglio: Segnatevi questi tre nomi: Roberto Formigoni, da 17 anni governatore di Lombardia; Pierangelo Daccò, consulente di cliniche private convenzionate con le Regioni; Antonio Simone, ex assessore regionale dc, coinvolto in Tangentopoli, in parte assolto in parte prescritto, anche lui consulente privato nel ramo sanità e no-profit (si fa per dire). Fino all’altro ieri avevano in comune solo un’antica amicizia e l’adesione a Comunione e liberazione (Formigoni è pure memor Domini, con voto di castità e povertà).
Da ieri il governatore ha raggiunto gli altri due anche per lo status di indagato: corruzione e illecito finanziamento ai partiti. Lui però è a piede libero, mentre Daccò e Simone sono in carcere, con l’accusa di aver portato via, all’estero, 70 milioni alla Fondazione Maugeri (Daccò anche per i 7 milioni incassati dal San Raffaele). Privato, cioè pubblico. Tutto ruota attorno alla Fondazione Maugeri, polo sanitario con sede a Pavia, privato ma all’italiana, cioè imbottito di soldi pubblici. La Lombardia di Formigoni è la regione più generosa coi privati: dei 17 miliardi annui di bilancio sanitario, il 43% va a loro. Mezzo miliardo l’anno al San Raffaele e 100 milioni alla Maugeri che dovrebbe fare ricerca, ma ricercava soprattutto il modo di pompare soldi pubblici per creare fondi neri esteri e girarli ai due strani consulenti, che ne dirottavano un po’ ad altri finora sconosciuti. Tanto nessuno controlla: il capo dei controllori Formigoni è della stessa parrocchia dei controllati. E così l’ex dirigente regionale della Programmazione sanitaria, Alessandra Massei, indagata per riciclaggio. Idem il direttore generale della Sanità, Carlo Lucchi Lucchina, inquisito per associazione a delinquere. I facilitatori. Che mestiere fanno Simone e Daccò? Dice Simone ai pm: “Faccio lo sviluppatore. Ho delle idee, Daccò mi dice: ‘Te le valorizzo io’. Le mie competenze completano il desiderio di chi può portare a frutto ciò che ha tra le mani”. Usa i contatti maturati da politico, prima di Tangentopoli: “Poi ho smesso e ho dovuto inventarmi un lavoro”. Daccò all’inizio è ancora più vago: “Faccio il lavoro, mi muovo, porto a casa il risultato perché lavoro molto sull’umano, sul contatto diretto, sono invadente”. Pare uscito dal film di Moretti: “Vedo gente, faccio cose…”. Poi specifica meglio: “Dal 1978 sblocco gli incagli delle pratiche in Regione”. Perché proprio lui? È un tecnico? “Non sono esperto di sanità”. Ma conosce politici: “Sono esperto nella frequentazione di tutti i meandri regionali della sanità: so cosa fare, quando intervenire e come”. Porte spalancate in Sicilia perché amico di Cuffaro, Cammarata e Micciché. E in Lombardia perché amico di Formigoni: “Ho sfruttato la mia conoscenza personale con lui per accreditarmi di fronte ai miei clienti”. La “percentuale”. Quali pratiche disincaglia, Daccò? Quelle dei gruppi privati – Fatebenefratelli, Ligresti, Maugeri – che chiedono rimborsi alla Regione: quelli “a prestazione” (operazioni, visite, analisi, ricoveri: 7 miliardi l’anno) e per “funzioni aggiuntive non tariffate”, fantomatici e discrezionali premi all’“eccellenza” (1 miliardo): solo per queste Daccò ha fatto avere alla Maugeri 155 milioni non dovuti in 7 anni; più altri 7 milioni grazie alla “legge Daccò”, varata dalla giunta Formigoni per finanziare enti no-profit come la Maugeri per vaghi progetti organizzativi e tecnologici. “Si tratta – dice Daccò ai pm – di giocare nell’ambito della discrezionalità amministrativa dell’ente pubblico”. Su ogni finanziamento regionale da lui procacciato, Daccò prende la percentuale: 15,18, anche 25%. Tutto mascherato – secondo l’accusa – con false fatture per consulenze inesistenti (persino uno studio sulla vita su Marte). Soldi in Svizzera, Repubblica Ceca e Singapore. Così si arriva a quei 70 milioni, il più grosso bottino personale scoperto in un’indagine, roba da far impallidire la maxitangente Enimont. Tutti per sé? No, due sono per Formigoni e l’inseparabile Alberto Perego, anche lui memor Domini, anche lui con un’azienda di consulenze, nominato dalla Regione in due Cda di società pubbliche, condannato in primo grado per falsa testimonianza nello scandalo Oil For Food, dunque braccio destro e coinquilino di Formigoni. Per giustificare il prestito dello yacht, Daccò fa quattro contratti di noleggio per 144mila euro a Perego, che però non deve pagare. Contratti fasulli. Un sistema ingegnoso per regalare 144 mila euro sottobanco a Formigoni e all’amico. Poi una società di Daccò vende a Perego una villa di 14 vani in Costa Smeralda al prezzo stracciato di 3 milioni: 1 milione 100 mila li mette Formigoni. “Sono i miei risparmi”. Peccato che dichiari al fisco 100mila euro l’anno: evidentemente è molto economo, non spende nulla, così ha risparmiato il guadagno di 11 anni e l’ha dato tutto a Perego per la villa che lui chiama “casetta”. Le sette verità. Non è che si difenda benissimo, il Celeste governatore. Alibi sono ad assetto variabile: cambiano col tasso di umidità. 1. “Daccò? Nessun rapporto. A quel che si sa è consulente al San Raffaele, ma la Regione ha rapporti solo con gli amministratori”. Poi salta fuori che si conoscono da 20 anni. 2. “Daccò lo conosco da molti anni, però non ha mai avuto rapporti direttamente con me, ma con l’assessorato”. Poi escono le sue foto in costume sugli yacht di Daccò e le ferie a sbafo. Dice Daccò ai pm: “Abbiamo un rapporto di grande amicizia, Formigoni viene sempre al pranzo di Natale con la mia famiglia al Bulgari. Sono stato decine di volte a casa sua”. 3. “Mai ricevuto neppure un euro da nessuno. Nemmeno per le ferie: non ho pagato niente a Daccò e lui non ha pagato niente a me. Grazie a Dio ho la possibilità di pagare”. Ma le vacanze gratis e i finti contratti per lo yacht non sono pagamenti? 4. “Verificherò se quel viaggio ad Anguilla l’ho davvero svolto. Non ricordo dov’ero a Capodanno 2009, devo consultare l’agenda”. I giornali gli rinfrescano la memoria, pubblicando le sue foto a torso nudo, in slip fucsia e borsello a tracolla, sulla spiaggia di St. Marteen. 5. “Faccio vacanze di gruppo come tutti gli italiani. Si va in ferie tutti insieme, uno paga una cosa, uno l’altra . Chi pensa al viaggio, chi alle escursioni. Alla fine si fanno i conti e si conguaglia”. Cos’ha pagato lui? Non ricorda. E le ricevute dei conguagli a Daccò? “Le ho buttate”. Ma dai movimenti bancari non risulta un euro da lui a Daccò. Che dice ai pm: nei tre Capodanni ad Anguilla “Formigoni e altri amici hanno alloggiato senza corrispondere alcuna quota, Formigoni non mi ha rimborsato alcunché”. A parte un volo, forse in contanti. Idem per le crociere sugli yacht: “Non ha pagato nulla, era mio ospite”. 6. “Mai detto di aver dato soldi a Daccò: non c’è stato bisogno di nessun conguaglio”. Ma, se non ha conguagliato, perché dice di aver buttato le ricevute? 7. “Ricevere doni da amici non è reato. Daccò non ha mai tratto vantaggio indebito dalla Regione per il fatto di conoscermi. Non un euro di denaro pubblico sperperato. Se si dimostra il contrario mi dimetto”. Ma Daccò dice che lui di sanità non sa nulla, eppure tutti lo volevano come consulente per “aprire le porte in Regione… ho sfruttato la conoscenza di Formigoni per accreditarmi presso i miei clienti” e farli riempire di soldi pubblici. A quel punto lo scaricano anche il cardinale di Milano, il superciellino Angelo Scola, e il successore di don Giussani, monsignor Julián Carrón. E non gli crede neanche la Procura: che strano, dev’esserci un complotto. A breve, seguirà il sensazionale epilogo – di questi giorni - di quel “fatto” del “Celeste” secondo una rivoluzionaria, aggiornata giurisprudenza che si ispira ad “un nuovo principio giuridico: se vieni dentro (nelle carceri italiane, ovviamente n.d.r.), ti metto fuori”. Magnifica trovata! Che assicura al momento una lunga vita libera al “Celeste”.

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