"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 28 agosto 2019

Letturedeigiornipassati. 36 «Cantami, o Diva, del pelide Achille l'ira funesta».


«Cantami, o Diva, del Pelìde Achille l'ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco generose travolse alme d'eroi, e di cani e d'augelli orrido pasto lor salme abbandonò (così di Giove l'alto consiglio s'adempìa), da quando primamente disgiunse aspra contesa il re de' prodi Atride e il divo Achille». Tratto da “L’ira non sempre è funesta” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 28 di agosto dell’anno 2010: Scrive Aristotele: «Adirarsi è facile, ma non è assolutamente facile e non è da tutti adirarsi con la persona giusta, nella misura giusta, nel modo giusto, nel momento giusto e per la causa giusta ».
Siamo soliti identificarci con la nostra parte razionale e concepire la rabbia come una forza estranea e negativa contro cui bisogna lottare, o quantomeno tenere sotto controllo prima che ci assalga e ci travolga. In realtà la rabbia è l'urlo dell'impotenza che si scatena quando non si hanno più ragioni da opporre al nostro avversario, o quando, pur disponendo di tutte le ragioni, non abbiamo alcuna possibilità di modificare l'atteggiamento dell'altro. In entrambi i casi ci alteriamo, perché in gioco, anzi in pericolo, c'è la nostra identità che si alimenta del riconoscimento dell'altro. E quando questo riconoscimento viene a mancare, temiamo di perdere noi stessi. Se la rabbia è un modo di riaffermare se stessi e il mondo dei propri valori, questo vale soprattutto per l'universo maschile, perché, come scrive opportunamente Valentina D'Urso in un suo bel libro che ha per titolo Arrabbiarsi (il Mulino), quando una donna si arrabbia viene considerata un'arpia, una megera, una strega, un'isterica, e di lei non si dice che grida o urla, ma che strilla e sbraita, mentre l'uomo quando si arrabbia è perché ‘non si fa mettere sotto i piedi’ o perché ‘ha gli attributi’. In questo modo si giustifica la rabbia dei maschi e si ribadisce che, in ogni situazione, la donna deve essere dolce, accomodante, in una parola sottomessa. E così, anche nelle manifestazioni della rabbia, si ribadisce la superiorità dell'uomo sulla donna. E quando la donna ha interiorizzato la sua inferiorità (perché le prepotenze di chi esercita il potere non hanno effetto senza la complicità dei sottomessi), non ha più il coraggio di esprimere con forza il proprio dissenso, ma preferisce interrompere il contatto ed evitare il dialogo. Se dai rapporti di forza in famiglia ci spostiamo ai rapporti i forza nella società, allora vediamo che i ricchi e i potenti non hanno quasi mai bisogno di arrabbiarsi, perché la loro identità è salvaguardata dalla ricchezza e dalla potenza, che consente loro di raggiungere ciò che vogliono senza alterarsi, mentre, quando sono i poveri ad arrabbiarsi, se non guadagnano una forza tale da mettere a rischio il potere, li si lascia semplicemente sfogare, o al massimo li si beneficia di uno sguardo di compassione. Eppure la rabbia delle donne e la rabbia degli oppressi meriterebbero ben altro ascolto. Anzi, come fanno i palestinesi il 6 febbraio di ogni anno, in tutti i paesi dovrebbe essere istituito il giorno della rabbia, per evitare la rassegnazione e avere la possibilità di denunciare tutte quelle situazioni che esigono giustizia, perché, se è vero che la rabbia non sempre è in grado di risolvere i problemi, la deprecazione della rabbia spesso nasconde l'ingiustizia, e rischia di rendere invisibili i più vergognosi giochi di potere.

1 commento:

  1. Carissimo Aldo, questo post ha catturato la mia attenzione, non solo, come al solito, perché tratto da uno scritto di uno degli autori che più mi affascina, ma soprattutto per il modo inisuale di trattare il problema. La rabbia sicuramente non è un'emozione piacevole e pertanto è auspicabile, per quanto possibile, evitarla, ma sarebbe pericoloso sopprimerla o ignorarla, soprattutto quando nasce da una causa giusta. Spesso a determinarla hanno contribuito le ingiustizie, la prepotenza, l'insensibilità,l'egoismo, la mancanza di rispetto per i valori fondamentali della vita umana... Ritengo che in questi casi, nel modo giusto,bisogna manifestare il proprio dissenso con forza e decisione e anche con rabbia, senza timore alcuno di critiche di qualsiasi genere, che lasciano il tempo che trovano, perché la critica in questi casi ha come obiettivo quello di coprire - come afferma Galimberti- "i più vergognosi giochi di potere". Congratulazioni per la scelta e buona continuazione. Agnese A.

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