Il post di questa “sfogliatura” è
apparso su questo blog la domenica 16 di gennaio dell’anno 2005. Aveva per
titolo “Un inferno chiamato Terra”. Come per la “sfogliatura”. Non si
era ancora entrati nella grande “crisi” dei sub-prime e di tutte le altre
diavolerie procurate al mondo globalizzato dal capitalismo finanziarizzato. Sono
trascorsi ben due lustri e passa e siamo ancora lì a leccarci le ferite di una “cancrena”
che non si è capaci di aggredire in alcun modo. Ad ogni proclama di una “luce
in fondo al tunnel” puntualmente sopraggiunge una “gelata” che rimanda tutto ad
un improbabile intervento della provvidenza. E questo “inferno chiamato Terra”
continua ad esserlo sempre di più per la stragrande maggioranza degli esseri
umani. Non si era a quel tempo ancora alle grandi migrazioni di disperati di
questi giorni nostri. Sembra proprio che si siano perse quelle residue speranze
nutrite dal secolo diciannovesimo in poi affinché questo angolo di Universo possa
divenire una “casa” ospitale per tutto il genere umano. Scrivevo a quel tempo:
Proviamo a leggere insieme un numero, per
esempio 1.000.000.000.000.000.000:
facile? È stato facile leggerlo? Bene.
Proviamo a rispondere alla domanda: un anno-luce equivale a quanti chilometri?
Facile anche questa domanda, o è stato necessario ricorrere alle nostre passate
conoscenze scolastiche, in fatto di aritmetica o altro? Ma in verità, le nostre
conoscenze scolastiche sono state in grado di porci nelle condizioni di leggere
quel numero e di rispondere a quella domanda? Nutro dei serissimi dubbi. È questo
un gioco che torna comodo fare per un problema molto più grande ed imbarazzante
per gli umani d’oggi. È che oggi l’umanità, ma che dico, l’umanità progredita e
che abita e consuma nel mondo progredito, non possiede di fatto una cultura,
una mente strutturata che le consentano di partecipare al gigantesco fenomeno
della globalizzazione; l’umanità progredita e consumista a livello di
conoscenze ed anche di strutture mentali, cerebrali, è rimasta come l’umanità
della capanna o al massimo come l’umanità del villaggio, piccolo piccolo e non
globalizzato. La inadeguatezza delle strutture cerebrali non rende di conto a
pieno della gravità dei problemi che affliggono il pianeta Terra, per la
qualcosa un ridimensionamento dei problemi e quindi dei numeri su di una scala
da villaggio preistorico, forse può rendere di più all’attenzione, se non alla sensibilità degli umani progrediti e
consumisti, le problematiche planetarie. In un tale gioco di riduzione in scala
del mondo dell’oggi, ad un villaggio della preistoria, si è cimentato
egregiamente Giuseppe Turani, studioso e commentatore di economia e finanza del
quotidiano la Repubblica. Scrive Giuseppe Turani:
(…). … facciamo finta che il mondo sia costituito da un villaggio di
appena cento abitanti. Trasferiamo dentro quel villaggio le proporzionali reali
del mondo e poi descriviamolo. I risultati saranno sconcertanti per molti,
suppongo. Ne viene fuori un’immagine diversa da quella che siamo abituati a
considerare.Fra cento abitanti del villaggio-mondo 57 risultano essere
asiatici, 21 sono europei, 4 appartengono alle due Americhe (nord e sud), 8
sono africani. Più altri dieci sparsi qui e là. (…). È anche un pianeta delle donne, che nel
nostro villaggio-mondo contano ben 52 presenze contro le 48 degli uomini. Infine,
e questa è la parte più difficile da accettare, la Terra non è il pianeta degli
uomini bianchi e nemmeno dei cristiani. I non-bianchi sono infatti 70, i bianchi
solo 30 (sul totale di cento). E la stessa proporzione si ritrova fra cristiani
e non cristiani: 70 non cristiani e 30 cristiani. Sulla Terra gli omosessuali
sono ancora una minoranza, ma una minoranza consistente. In totale, 11 su
cento, gli altri risultano essere eterosessuali. Nel nostro villaggio-mondo (
che riproduce quello che in proporzioni molto più grandi avviene sulla Terra )
la distribuzione della ricchezza e del sapere è qualcosa di semplicemente
spaventoso, orribile e quasi inconcepibile. Sei persone su cento controllano
infatti poco meno del 60 per cento della ricchezza del villaggio. Queste sei
persone, peraltro, sono tutte di razza bianca e in gran parte americane. Nel
nostro villaggio-mondo di cento persone solo una possiede un computer e
soltanto una persona dispone di un’istruzione universitaria. Per il resto, 70
persone su cento non sanno leggere e 50 persone su 50 risultano essere
denutrite. La povertà sembra essere il dato più significativo del pianeta
Terra: 80 persone su cento vivono al di sotto di quello che viene considerato
un decente livello di vita, e quindi non accesso all’istruzione e ai computer.
(…). Bene, fine del gioco della simulazione. Scriveva tempo addietro
Umberto Galimberti in una sua corrispondenza apparsa su di un supplemento al
quotidiano la Repubblica
col titolo “La Terra dà i numeri”: Se non disturba, (…) qualche numeretto lo
aggiungo anch'io. Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Pnud)
riferisce che il 18 per cento della popolazione mondiale, più o meno 800
milioni di persone, dispone dell'83 per cento del reddito mondiale, mentre l'82
per cento della popolazione mondiale, più o meno 5 miliardi di persone, si
spartisce il restante 17 per cento. Quanto all'uso, all'abuso e alla distruzione
delle risorse della terra, i Paesi più ricchi consumano il 70 per cento di
energia, il 75 per cento del metallo e l'85 per cento del legno.
"L'estrema povertà", riferisce il rapporto Pnud, "potrebbe
essere sradicata con una spesa di 80 miliardi di dollari l'anno, cioè meno del
patrimonio netto accumulato dalle sette persone più ricche del mondo". E,
in effetti, le 10 persone più facoltose del mondo possiedono patrimoni per 133
miliardi di dollari, che equivalgono a una volta e mezzo il reddito nazionale
dei 48 Paesi meno fortunati. Che non tutto, in questo bollettino di disfatta
del capitalismo storico a qualche secolo dai suoi inizi, sia addebitabile ai
maledetti comunisti e alla loro funzione di freno delle magnifiche sorti
progressiste, lo dice anche qualche cifra che riguarda il cortile di casa degli
Usa, dove, come è noto, non ci sono comunisti. Ebbene, riferisce il Pnud, negli
Stati Uniti l'1 per cento della popolazione possiede il 40 per cento della
ricchezza, il 20 per cento un altro 40 per cento, e il 79 per cento il restante
20 per cento. Secondo i dati del ministero del Lavoro dal '79 all'83 il solito
quinto più povero ha perso il 17 per cento del reddito che aveva, mentre il
quinto più ricco l'ha aumentato del 18 per cento. È evidente che in una
condizione del genere la democrazia non può andare oltre le scelte degli
esecutori tecnicamente più capaci nell'applicare i comandi del capitale
finanziario che si muove a livello transnazionale, per cui quando Marx diceva
che i governi erano comitati d'affari della grande borghesia, aveva torto, ma
solo per difetto. Quello che allora era un cattivo costume, oggi è un sistema,
anzi, è il sistema. Per cui se nel mondo antico i debitori insolventi finivano
schiavi, nel mondo del capitalismo globale interi Stati vengono costretti a
lavorare per conto delle grandi finanziarie e delle grandi imprese. Dopo aver
vinto la guerra dei settant'anni contro il comunismo, il capitalismo comincia
così a mostrare il suo vero volto, che non è proprio quello del progresso che
aveva scritto sulle sue bandiere. Infatti,
se questi dati e queste considerazioni hanno un loro senso e una loro
plausibilità, non sembra remoto lo spettro di un'ingloriosa soluzione finale
dell'esperimento umano, sia per quanti non hanno di che vivere, sia per i ben
pasciuti a cui non si riconosce altra dignità se non quella di funzionari a
diversi livelli del capitale. I cataclismi umani che il Novecento ha
metabolizzato nelle guerre mondiali fra le potenze, e nelle guerre coloniali
contro le potenze, all'inizio del Nuovo Millennio ancora ribollono nelle falde
sommerse di una terra regolata dai soli criteri dell'accumulazione infinita e
della competizione sfrenata, il cui limite è solo artificio e tregua di guerra,
nella più totale assenza di rispetto per uomini e natura. Essendo il
capitalismo diventato globale, e avendo occupato tutti i luoghi della Terra, a
contrastarlo,(…), non resta che "utopia", ossia quel
"non-luogo" dove si sono rifugiati o sono stati confinati, spinti sia
da destra sia da sinistra, personaggi, progetti, idee, proposte, finite
nell'unico posto al mondo che accetta tutti i detriti della storia. Da questo
"non-luogo" non possono nascere, oggi, organizzazioni di contrasto,
strategie di riscatto o rivoluzioni liberatorie, ma solo una chiamata che viene
dal futuro, dalle sorti future della terra e dell'uomo, simile alla chiamata
che un giorno mosse Abramo a lasciare la sua casa, la sua terra, il suo popolo,
per diventare il padre di una popolazione utopica, all'epoca senza luogo, come
senza luogo è già il nostro abitare sulla Terra. Infatti l'unica civiltà che si va diffondendo, a scapito di tutte le
altre possibili espressioni tradizionali e non, è la civiltà del profitto, che
oggi appare come l'unico generatore simbolico dell'ordine che deve regnare
sulla Terra e della partizione dei ruoli che gli uomini, sia quelli affamati
sia quelli sazi, devono rigorosamente assumere per avere diritto di
cittadinanza.
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