Da “Quella
sovrabbondanza infinita che destabilizza l’economia globale” di Paul
Krugman, sul quotidiano la Repubblica del 25 di agosto dell’anno 2015: Che
cosa ha provocato il crollo improvviso delle Borse? Che cosa implica ciò per il
futuro? Nessuno lo sa, e non è un buon segno. I tentativi di spiegare le
oscillazioni quotidiane delle Borse sono in genere sprovveduti: un sondaggio
condotto in tempo reale nel 1987 sul crack delle Borse non riscontrò alcuna
prova che avallasse le spiegazioni che gli economisti e i giornalisti avrebbero
addotto a posteriori, scoprendo invece che la gente vendeva azioni perché –
l’avrete già capito – i prezzi erano in calo. Il mercato azionario, per di più,
è una guida tremenda per presagire il futuro dell’economia: Paul Samuelson una
volta scherzò dicendo che il mercato aveva previsto nove delle ultime cinque
recessioni. E su quel fronte niente è cambiato. Tuttavia, gli investitori sono
ovviamente nervosi. E a buon motivo. Negli ultimi tempi le notizie di economia
provenienti dagli Stati Uniti sono state buone, anche se non eccellenti, ma il
mondo nel suo complesso pare ancora significativamente propenso agli infortuni.
Da sette anni (e chissà per quanti altri ancora) stiamo vivendo in un’economia
globale che procede barcollando da una crisi all’altra: ogni qualvolta una
regione del mondo sembra finalmente rimettersi in sesto, ecco che subito
un’altra inizia a traballare. E l’America non può certo isolarsi del tutto da
queste calamità globali. Ma perché l’economia continua a incespicare? A prima
vista, si direbbe che ci siamo imbattuti in una considerevole quantità di
sfortuna. Prima c’è stata la bolla immobiliare, che ha innescato la crisi delle
banche. Poi, proprio quando il peggio sembrava passato, l’Europa è entrata in
una crisi debitoria e in una recessione che di fatto è una double-dip, una
doppia recessione. Alla fine l’Europa ha raggiunto una stabilità precaria e ha
ripreso a crescere, ma ecco che in Cina e in altri mercati emergenti, che in
precedenza consideravamo solidi pilastri, vanno affiorando grossi problemi. Ricorderete
che più di dieci anni fa Bern Bernanke sostenne che l’impennata del deficit
commerciale statunitense non era il prodotto di fattori interni, bensì di una “global
saving glut”, che potremmo chiamare una “bolla globale di risparmio”: in
pratica, una sovrabbondanza di risparmi sugli investimenti in Cina e in altre
nazioni in via di sviluppo, trainata in parte dalle reazioni politiche alla
crisi asiatica degli anni Novanta che stava arrivando negli Stati Uniti alla
ricerca di profitti. Bernanke si preoccupò un poco per il fatto che l’afflusso
di capitali non era convogliato in investimenti alle imprese, bensì nel settore
immobiliare. Ovviamente, avrebbe dovuto preoccuparsi molto di più (come fecero
alcuni di noi). Tuttavia, la sua supposizione secondo la quale il boom
immobiliare negli Usa era almeno in parte causato dalla debolezza delle
economie estere appare tuttora valida. Naturalmente, il boom divenne una bolla,
e quando scoppiò la bolla inflisse danni enormi. Ma c’è dell’altro, la storia
non finì lì.
Ci fu anche un flusso di capitali dalla Germania e da altri Paesi
dell’Europa settentrionale in direzione di Spagna, Portogallo e Grecia. Anche
questa si sarebbe rivelata una bolla, e quando la bolla scoppiò nel 2009-2010
accelerò la crisi dell’euro. No, no, la storia non finisce nemmeno a questo
punto. Non essendo più America ed Europa destinazioni allettanti, l’eccesso
globale di risparmio andò alla ricerca di altre bolle da gonfiare. E le trovò
nei mercati emergenti, spingendone le valute ad altezze insostenibili, per
esempio il real brasiliano. Tutto ciò non poteva durare, e di fatti non è
durato: ci troviamo ora nel bel mezzo di una crisi dei mercati emergenti che ad
alcuni osservatori ricorda la situazione degli anni Novanta in Asia. Sì,
proprio la stessa dalla quale ha avuto tutto inizio. E dunque: in quale
direzione si sposterà l’indicatore della sovrabbondanza? Che domande! Di nuovo
verso l’America, dove un afflusso fresco fresco di capitali stranieri ha spinto
il dollaro al rialzo, minacciando ancora una volta di rendere non competitiva
la nostra industria. Che cosa provoca questa sovrabbondanza globale?
Probabilmente, un mix di fattori diversi. La crescita della popolazione sta
rallentando in tutto il mondo, e malgrado tutto il gran parlare di tecnologia
non sembra proprio che essa stia creando una produttività in eccedenza o una
grossa domanda di investimenti delle imprese. L’ideologia dell’austerità, che ha
portato a una debolezza della spesa pubblica senza precedenti, ha aggravato
ancor più il problema. E per finire, la bassa inflazione in tutto il mondo –
che significa bassi tassi di interesse anche quando le economie sono in piena
espansione – ha ridotto al minimo i margini per tagliare i tassi quando le
economie subiscono un crollo rapido e improvviso. A prescindere da qual è il
mix preciso delle varie cause di questo fenomeno, ciò che più conta adesso è
che i policy-maker prendano sul serio la possibilità, che chiamerei
probabilità, che la nuova normalità sia questa: risparmi in eccedenza e
debolezza globale persistente. Ho la sensazione che vi sia una ben radicata
mancanza di volontà, perfino tra i funzionari più autorevoli, ad accettare
questa realtà. E credo che vi sia anche una sorta di pregiudizio irrazionale
contro il concetto stesso di sovrabbondanza globale. Politici e tecnocrati la
pensano nello stesso modo: vogliono essere considerati persone serie che
prendono decisioni difficili e che scelgono, per esempio, come tagliare
programmi popolari e aumentare i tassi di interesse. A loro non piace sentirsi
dire che viviamo in un mondo nel quale politiche apparentemente severe non
faranno che peggiorare le cose. Eppure è così, e le cose andranno di male in
peggio.
Da “Deflazione,
il mondo sotto zero" di Federico Rampini, sul quotidiano la Repubblica
del 12 di febbraio 2016: (…). È un mondo alla rovescia, quando gli
investitori sono disposti a mettere i loro soldi in certe categorie di titoli
"sicuri", sapendo che il rendimento è negativo e quindi domani
ricaveranno meno di quanto pagano oggi. Perché fanno una cosa apparentemente
autolesionista? Perché pensano che i prezzi scenderanno ancora: quindi il
valore dei bond "negativi" in realtà può salire; e perché pensano che
su qualsiasi altra tipologia di investimenti (vedi le azioni in Borsa) le
perdite sarebbero molto più pesanti. Benvenuti nel Brave New World, il mondo
sotto il tallone della deflazione. Non è una patologia del tutto priva di
precedenti. Nella storia i due esempi più importanti di deflazione risalgono
alla Grande Depressione degli anni Trenta, poi al Giappone degli anni Novanta.
Il Giappone non ne è mai guarito, e già questa non è una constatazione
rassicurante. Comunque l'inflazione è stata molto più frequente, ci è
familiare, è una malattia che abbiamo conosciuto per lunghi periodi e si è
rivelata curabile. La deflazione, che è il suo rovescio, ci trova impreparati.
La si definisce come un calo generalizzato dei prezzi. In questo momento le
cause mondiali della deflazione sono due, e concatenate fra loro. La prima sta
in Cina: rallenta da due anni, consuma meno, importa meno. C'è dunque una
pressione deflazionistica dal lato della domanda, la riduzione generalizzata di
acquisti fa scendere i prezzi. La seconda causa, direttamente legata alla
prima: è crollato il prezzo del petrolio, insieme a quello di tante altre
materie prime, anzitutto perché la Cina ne compra meno (ha contribuito anche
l'eccesso di offerta, la rivoluzione tecnologica americana che ha reso
disponibili nuovi giacimenti). Queste due concause ne alimentano altre. Il
crollo delle materie prime impoverisce tante nazioni emergenti, che a loro
volta comprano meno di una volta. Tutto ciò s'inserisce in un quadro di
debolezza su altri fronti: l'Eurozona non ha mai ritrovato una crescita degna
di questo nome, è da molti anni una vasta zona di ristagno della domanda o di
aumenti quasi impercettibili. Cosa c'è di male se scendono i prezzi? Da
consumatori, non dovremmo rallegrarcene? La deflazione non ci rende più ricchi?
L'apparenza inganna. Gli effetti malefici della deflazione sono di due tipi. Il
primo riguarda i debitori. Se tutti i prezzi scendono, il peso dei debiti
aumenta in termini "reali". L'opposto di quel che accade nei periodi
di alta inflazione quando il debito si alleggerisce da solo col passare del
tempo. L'altro effetto è su salari, redditi, profitti delle imprese: quando i
prezzi scendono i consumatori tendono a rinviare gli acquisti, le imprese a
rinviare gli investimenti e le assunzioni, gli stipendi sono immobili o
diminuiscono. E' anche per questo che il peso dei debiti sale: in uno scenario
in cui tutti i flussi di denaro si assottigliano, e tante categorie
s'impoveriscono, la restituzione dei debiti diventa un onere sempre più
pesante. Una categoria importante di debitori sono gli Stati. In deflazione
ristagna il gettito fiscale; il Pil è immobile. Dunque anche ridurre il debito
pubblico diventa più arduo. La deflazione è una spirale che si auto-alimenta.
Se tutti si convincono che i prezzi di domani saranno inferiori a quelli di
oggi - inclusi i prezzi delle azioni - scatta la corsa a "liquidare"
finché si è in tempo. All'origine delle cadute delle Borse, ci sono grandi
ordini di vendite venuti dai petro-Stati del Golfo Persico. Impoveriti dal
crollo del greggio, dovevano fare cassa da qualche altra parte e hanno cominciato
a mettere sul mercato una parte dei loro (cospicui) portafogli azionari. E' la
descrizione di una tipica rincorsa al ribasso, che dal petrolio si estende ad
altri mercati. Si spiega anche così la debolezza delle banche. In un mondo dove
diventa più oneroso restituire i debiti, è ovvio che la Borse siano preoccupate
sulla tenuta degli istituti di credito. E l'impotenza dei banchieri centrali?
La Federal Reserve inondò per cinque anni l'America e il mondo di liquidità. La
Bce ha seguito il suo esempio più di recente, ma sta cercando di fare la stessa
cosa. Idem la Banca del Giappone e altre. I manuali dicono che stampar moneta
dovrebbe far salire i prezzi. I manuali andranno riscritti per decifrare
l'epoca in cui viviamo e risolvere problemi nuovi.
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