Da “Europa e
sinistra” – con sottotitolo “Se l’Europa diventa un club per forti”
- di Nadia Urbinati, sul quotidiano la Repubblica del 13 di luglio dell’anno 2015:
Come
una cartina di tornasole la Grecia mette in luce un sostrato di vecchie ruggini
dentro il cuore dell’Europa. Divisioni che sotto un linguaggio economico
all’apparenza neutro mostrano un grumo di radicati pregiudizi. Che si
manifestano non solo come primato dell’interesse nazionale (dei forti) ma anche
come superiorità culturale di un’area dell’Europa su un’altra. In questo
inquietante ritorno all’antico si materializza la debolezza della sinistra
europea, che non sa fare argine a questi pregiudizi ma, come nel caso della
socialdemocrazia tedesca, li cavalca. Due sinistre, divise come l’Europa: una
incerta e una vociante. La prima, che non riesce a prendere al volo il caso
greco per rilanciare il progetto politico europeo ( un’occasione di leadership
che la Francia e l’Italia hanno sciupato) e la sinistra austro-tedesca, molto
arrogante e determinata a sostenere alleanze preferenziali con i Paesi vicini
alla Germania, quelli del Nord e dell’Est. Una vecchia storia recitata da nuovi
attori. La divisione delle sinistre corrisponde alla faglia che divide l’Europa
in due, con la parte dominante che ha il suo rappresentante nel ministro
tedesco delle Finanze, Wolfgang Schäuble, presentato come un figlio politico di
Helmut Kohl e sincero europeista, e che ha tuttavia una visione decisamente
centro-europea dell’Europa. Nel suo lobbismo per la Grexit ha messo in chiaro
che egli non crede ad una integrazione europea, ma a un’Europa a diverse
velocità e in sostanza gerachicamente strutturata in relazione alla vicinanza
di interesse e di cultura con la Germania. È per questa ragione che egli ha
sponsorizzato e messo in circolo una visione che sembrava fino a ieri un tabù:
che l’appartenenza all’Europa è reversibile. Il che significa che l’Europa è a
tutti gli effetti un club, anziché un’unione, nel quale per entrare e starci è
necessario accettare alcune regole stabilite dalla Kerneuropa e non egualmente
costruite da tutti i partner europei. L’Europa come club, ecco la visione
tedesca di Kerneuropa : il nucleo europeo rispetto al quale gli altri popoli
sono periferici. Parte del “cuore” europeo non sono necessariamente i Paesi
fondatori (vi è di che dubitare che vi figuri l’Italia) ma i Paesi vicini per
cultura e interesse al centro propulsore del continente, la Germania. Non è un
caso se in questa drammatica vicenda greca, la Germania abbia goduto del
sostegno dei suoi tradizionali Paesi di riferimento, satelliti o alleati: dalla
Finlandia, le repubbliche baltiche e la Slovenia all’Olanda e all’Austra. Qui
il Kerneuropa prende la configurazione geo-politica degli imperi centrali (non
a caso il settimanale Bild ha recentemente definito Angela Merkel la
“cancelliera di ferro”, il nuovo Bismark). Come hanno messo in evidenza diversi
organi di informazione, da Foreing Affairs al Guardian , il pregiudizio anti-
meridionale che l’ affaire greco ha scatenato si è già tradotto nei fatti. Il
Land austriaco della Carinzia con un indebitamento da “caso Greco” ha chiesto e
ottenuto dal governo federale austriaco lo stato di emergenza, condizione per
l’accesso al finanziamento federale per ottenere prestiti a tasso agevolato, di
fatto una ristrutturazione del debito. La Germania ha concesso questa
condizione alla Carinzia. E ora l’Austria è l’alleato di ferro della soluzione
Grexit. Perché questa differenza di trattamento?
La ragione l’ha fatta intuire
Schäuble avanzando l’ipotesi di un Grexit per cinque anni: non c’è “fiducia” nella
Grecia. La fiducia non è lo stesso di garanzia (una condizione accertabile e
quantificabile) e diventa molto importante quando le garanzie sono labili. La
fiducia è un’attitudine psicologica, sorretta da un sostrato di valori morali e
etici condivisi: presume la messa in conto che gli stessi valori guidino i
comportamenti dei partner. Dire che manca la fiducia verso la Grecia equivale a
riconoscere che il partner ellenico non è un partner perché non condivide la
stessa kultur . È nella stessa condizione dello straniero a tutti gli effetti:
e incute diffidenza più che fiducia. Quali che siano le garanzie offerte dal
governo di Atene, dunque, i tedeschi non si fidano nello stesso modo in cui si
sono fidati della Carinzia. Qui siamo già fuori dell’Unione europea. (…). …l’Europa
è ormai un concetto contestato, una figura retorica alla quale non corriponde
una visione normativa comune. Una possibilità di risolvere questa diaspora
sarebbe potuta venire dai partiti socialisti, sorti dopo tutto su principi non
nazionalistici e internazional- solidaristici. Per la calorosa accoglienza
tributata a Alexis Tsipras, il gruppo socialista del Parlamento europeo ha
mostrato di essere ancora sensibile a questi principi. Ma i socialdemocratici
tedeschi seguono tutt’altra strada. La Spd, ha scritto Jan-Werner Müeller su
Foreign Affairs , ha abbandonato completamente il discorso degli “eurobond” per
aiutare i Paesi economicamente in bisogno ed è diventata più merkeliana della
Merkel. Il divorzio interno alla sinistra è anche in Europa un fatto reale e
negativo. Dietro l’anti-ellenismo della Spd vi è il timore che Syriza metta in
moto un movimento alla sua sinistra capace di erodere il consenso alla grande
coalizione. Gli interessi della sinistra dell’establishment e quelli della
sinistra non sono dunque gli stessi. Anche su questo conflitto dentro la
sinistra sta il problema europeo, il declino di una visione unitaria.
Da “Il filo
spezzato dell’Europa” di Stefano Rodotà, sul quotidiano la Repubblica del 16
di luglio dell’anno 2015: Non mi riconosco nell’Europa nata tra il 12
e il 13 luglio. Sembra che l’Unione abbia abbandonato l’ambizione di costruire
il suo popolo. (…). Che altro poteva essere chiesto alla Grecia dopo tutto
quello che le era stato imposto? E che altro poteva avvenire dopo la riduzione
della Grecia a protettorato, (…)? La verità è che questa vicenda ha certificato
anche la dissoluzione della socialdemocrazia europea. Nel vuoto così lasciato,
da tempo hanno cominciato ad insediarsi i populismi antieuropeisti, ai quali i
partiti socialisti o socialdemocratici non sono stati capaci di contrapporre
alcuna plausibile strategia. L’ultimo spettacolo offerto dal partito
socialdemocratico tedesco, attraverso le prese di posizione del suo
vice-cancelliere e del presidente del Parlamento europeo, è a dir poco
imbarazzante. Ma l’allineamento degli altri partiti dell’Internazionale
socialista, a cominciare dalla Francia e dall’Italia, è stato nella sostanza
così totale da rendere ormai indistinguibili i loro programmi da quelli degli
schieramenti conservatori. Con le ultime, unanimi decisioni di Bruxelles siamo
entrati palesemente nell’area del partito unico europeo. (…). Se l’Unione ha
deciso di costruirsi come una organizzazione senza popolo, non vuol dire che il
popolo sia cancellato. Con due effetti. I popoli si prendono le loro rivincite
affidandosi a chi ne evoca una autonomia insidiata da Bruxelles. E si
manifestano fenomeni di rinazionalizzazione, (…), che hanno altrettanto
potenziale distruttivo. Non si può condannare il nazionalismo della decisione
di Tsypras di indire un referendum, e poi distogliere lo sguardo da una
politica tedesca condizionata evidentemente dalle dinamiche interne a questo Stato.
Se, poi, si voleva colpire Tsypras per educare Podemos, si tratta davvero di
una strategia senza sbocco o più precisamente di una strategia che,
infiacchendo la democrazia, favorirà una sostanziale disgregazione dell’Europa.
La questione della necessaria legittimazione dell’Unione europea attraverso
meccanismi diversi da quelli puramente economici era stata ben colta nel giugno
del 1999, quando il Consiglio dell’Unione europea decise di mettere in cantiere
una Carta dei diritti fondamentali. Si giustificò questa iniziativa
sottolineando esplicitamente che “ la tutela dei diritti fondamentali
costituisce un principio fondatore dell’Unione europea e il presupposto
indispensabile della sua legittimità”. Non è un richiamo nostalgico. Quelle
parole coglievano un punto nevralgico per lo sviluppo dell’Unione, essendo
divenuto evidente che, per ottenere piena legittimazione da parte dei
cittadini, all’integrazione economica e monetaria doveva essere affiancata,
come passaggio ineludibile, l’integrazione attraverso i diritti. La Carta dei
diritti fondamentali ha oggi lo stesso valore giuridico dei trattati, ma è
stata cancellata dal quadro istituzionale europeo, sopraffatta dalla logica
economica. Allo storico deficit di democrazia dell’Unione europea si è affiancato
così un sempre più distruttivo deficit di legittimazione, che sconfina ormai
nell’illegalità. Non è arbitrario, allora, prevedere che il “più politica”,
continuamente invocato, altro non possa essere che l’istituzionalizzazione e la
formalizzazione delle logiche anche violente che hanno caratterizzato l’ultima
fase, con un esercizio impietoso del potere che ha prodotto esclusione delle
persone e espropriazione dei diritti. Sempre più lontani dalle parole del
Preambolo della Carta dei diritti dove si afferma che l’Unione “pone la persona
al centro della sua azione”. E sempre più vicini ad una stretta istituzionale
che, modificando i trattati, intende costruire il “fiscal compact” come
essenziale punto di riferimento. L’Europa sociale, l’Europa del vivere in
dignità e diritti, è dunque irrimediabilmente perduta? (…). …una conclusione
così sconsolata – non per i sentimenti personali, ma per le sorti della
democrazia – dovrebbe essere misurata attraverso una analisi che parta da una
domanda diversa. Oltre al nuovo partito unico del rigore e ai diversi populismi
si scorgono forze che possano riprendere il cammino dei diritti sociali non
come rivendicazione egoistica contro “l’idraulico polacco”, ma come possibilità
concreta di una azione statuale e sovranazionale che metta a frutto le analisi
di tanti economisti e giuristi che hanno mostrato la forza distruttiva delle
politiche finora seguite? Si consoliderà questa consapevolezza culturale, si tradurrà
in iniziative concrete? Non dimentichiamo che la guerra fredda venne combattuta
mostrando concretamente la superiorità di una democrazia innervata dai diritti
delle persone. Non dovrebbe essere questo il modello da seguire nel nuovo
conflitto con il totalitarismo economico?
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