“…siamo a Roma, febbraio, 2016” scrive
Diego Bianchi nel Suo pezzo “Due santi
che sembrano rockstar tra suorine affannate e legionari di Cristo”
pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 19 di febbraio ultimo
scorso. È che, come ogni qualsivoglia operazione di marketing richieda, nell’anno
giubilare dei fedeli in Cristo è parso straordinariamente logico tentare il
colpo maestro facendo giungere nella città eterna le mummie del frate Padre Pio
e di un tale Leopoldo santificato. Del primo sono conosciute a menadito la vita
e le opere prodigiose. Ma di questo Leopoldo cosa se ne conosce? Passi per scontata
la mia personale totale indifferenza sul personaggio. Ma i fedeli applauditori creduloni
cosa ne sanno? E qui ci sta bene leggere la giocosa scrittura di Diego Bianchi che
di certo non rimarrà negli annali del giubileo ma che al contrario ci dà conto
di come e perché nell’anno 2016 possano suscitare una partecipazione così
massiccia operazioni di “mercato” che fanno a pugni con ciò che dovrebbe
passare per sacro: «Le religiose! Patrizia! Le suore!!», urla il maestro di cerimonie a
Patrizia, colei che per qualche forma di moderna penitenza si trova al
microfono nel momento più delicato, quello dell’avvio della processione. «Le
suore comincino a prepararsi» dice Patrizia, ma il principale la interrompe.
«No prepararsi, devono venire qui subito!». Si spostano le transenne, le suore
lasciano i segnaposto con scritto «suore», appunto, e avanzano alla testa del
corteo. «Comincino a prepararsi i legionari di Cristo e i ministranti», accenna
Patrizia. Ma non è giornata. Scuotendo il capello e accentuando l’accento
padano, lo spazientito mossiere urla rivolto al microfono: «Nooo, i cappuccini
prima! Cappuccini, seminaristi, clero!».
L’errore di Patrizia o di chi le ha
passato la velina sbagliata deve essere grave assai. E qui, a Roma, nel giorno
in cui le salme imbalsamate di Padre Pio e San Leopoldo in trasferta dai loro
rispettivi santuari, stanno per essere portate in processione da San Salvatore
in Lauro al Vaticano, sbagliare è peccato. L’ordine di partenza, laddove
l’estetica e la liturgia sono sostanza del tutto, è ben più della metà
dell’opera che si riconosce a chi ben comincia. Processioni, palio di Siena,
Formula 1, Olimpiadi, che sia per fede, disciplina o merito, l’anarchia non è
prevista. Quando esce la bara di vetro contenente Leopoldo gli si tributa
l’entusiasmo che si concede ai gruppi spalla chiamati a precedere le rockstar.
Eppure pare che Leopoldo, nella pratica della confessione (l’eccellenza per la
quale i due sono stati fatti santi), fosse molto più comprensivo e pacato
dell’iroso Pio. Patrizia, ormai, ha la voce che trema. «Dodici novizi
cappuccini urgentemente al palco», implora al microfono, e la sensazione è che
ci si sia dimenticati che Padre Pio, da solo, non può uscire. Nell’attesa,
Leopoldo si gode un extra time di visibilità. Un volontario prende dai fedeli
alcuni oggetti personali (foto, fazzoletti) e tocca con questi la sua bara.
Poi, finalmente, Padre Pio esce, l’eccitazione aumenta, i canti crescono, i
fazzoletti sventolano, la processione ha inizio. Impressionanti come solo un
corpo imbalsamato può essere, Leopoldo e Pio avanzano nelle loro teche di
vetro. In questo stato, anni fa, avevo visto solo Lenin, sulla Piazza Rossa di
Mosca. Due salme imbalsamate che vanno in processione nel centro bloccato di
Roma, seguite da gente che canta, prega, fotografa e si fotografa. Se una scena
del genere l’avessimo vista in un documentario su qualche sperduto villaggio
dell’Africa o dell’Asia, difficilmente l’avremmo considerata contemporanea, o
vicina ai nostri «stili di vita». Ma siamo a Roma, febbraio, 2016. Bene,
è quanto ha visto Diego Bianchi. E di Leopoldo? Lo descrive padre confessore
molto tollerante. E di altro? Basta quella sua tolleranza a farne una santità? Poiché
nel campo sconfinato delle santità si potrebbe anche per il Leopoldo scoprire i
suoi “scheletri nell’armadio”. In che senso? Presto detto. Avete contezza di
chi fu un certo Pio V divenuto santo? Basterà leggere la cronaca, di seguito
riportata, risalente alla santa giornata dell’11 di giugno dell’anno 1561 scritta
da Fabrizio D'Esposito – “Pio V per la
Chiesa resta un santo, ma fu lui a far sgozzare i valdesi” – su “il Fatto
Quotidiano” del 31 di agosto dell’anno 2015: (…). “Ora occorre dir come oggi a
buon’ora si è ricominciato a far l’orrenda giustizia di questi Luterani, che
solo in pensarvi è spaventevole: e così sono questi tali come una morte di
castrati; li quali erano tutti serrati in una casa, e veniva il boia e li
pigliava a uno a uno, e gli legava una benda davanti agli occhi, e poi lo
menava in un luogo spazioso poco distante da quella casa, e lo faceva
inginocchiare, e con un coltello gli tagliava la gola, e lo lasciava così:
dipoi pigliava quella benda così insanguinata, e col coltello sanguinato
ritornava a pigliar l’altro, e faceva il simile. Ha seguito quest’ordine fino
al numero di 88, il quale spettacolo quanto sia stato compassionevole lo lascio
pensare e considerare a voi”. Si rimane senza fiato di fronte questa cronaca
nuda e fedele. Accadde l’11 giugno 1561 (ancora una data
con l’11 nella storia delle stragi religiose) a Montalto, in Calabria, nel
Cosentino. Gli 88 cadaveri sgozzati furono poi impalati. Ma il peggio avvenne a
Guardia Piemontese, sempre nel Cosentino e sempre a giugno, dove in undici
giorni furono massacrati duemila valdesi e il sangue scorreva per i vicoli
senza sosta, al punto che la porta del paesino fu denominata “Porta del
Sangue”. Sono queste le prime stragi ordinate dalla Chiesa del Concilio di
Trento contro gli eretici “riformati” italiani. Tra cui, appunto, i seguaci del
predicatore Valdo, Il “povero di Lione” del XII secolo, che poi aderirono alle
tesi luterane del 1517. (…). …va segnalato che il condottiero di quelle stragi
ancora oggi è un santo per la Chiesa. Ossia san Pio V passato alla storia come
“il campione della cristianità contro l’Islam” per la battaglia di Lepanto. Nel
1561, il domenicano Michele Ghislieri, noto come il cardinale Alessandrino per
le sue origini piemontesi (era di Bosco Marengo), era l’inflessibile prefetto
della santa Inquisizione e fu lui a ricevere gli “allarmi” dalla Calabria e a
“disinfestare” la regione dall’eresia importata dalla Provenza. Per la Chiesa è
tuttora un santo, (…). Per non dire poi della fascinazione prodotta dalla
apparizione delle mummie nei creduloni accorsi per un avvenimento che della sacralità
si fa beffa e strame. Ha scritto Filippo Ceccarelli sul settimanale “il Venerdì
di Repubblica” del 12 di febbraio 2016 – “La
tecnica al servizio della devozione, anche Padre Pio finisce siliconato” -:
(…).
…il silicone fa davvero miracoli. Detta altrimenti: quanti pellegrini, delle
decine di migliaia che l’altra settimana si sono avvicinate alle spoglie di
Padre Pio, sapevano che il volto del frate è stato in realtà ricostruito con
evolutissima tecnica su una maschera di polimero inorganico prodotta a Londra
dalla Gems Studio, rinomata azienda che lavora per i più importanti musei delle
cere nel mondo? Ora, è possibile e magari probabile che chi ha fede consideri
questo artificio magari non proprio naturale, ma del tutto implicito,
sottinteso, oppure trascurabile, secondario. (…). Il punto sensibile, e per
certi versi decisivo, è che si tratta di una reliquia evoluta, tecnologica,
siliconata, appunto. Lo stesso corpo del santo è conservato dentro la teca
nella sua relativa integrità grazie a complessi ritrovati della chimica
inorganica: materassini in plexiglass, contenitori in Pvc di gel silicei per
l’umidità, insufflaggio d’azoto contro le reazioni ossidative. Come dire che il
sacro, e la devozione che in esso si rispecchia e si riconosce, sono venuti a
patti con la materia artificiale; e che i santi rimangono tali anche nel tempo
della loro riproducibilità post-umana. Con qualche azzardo – e la benedizione
dei frati di San Giovanni Rotondo e il consenso degli ingegneri della Gems
Studio – si può ritenere che rimasugli di ossa e pugni di cenere non spingono
le masse ad accostarsi agli altari. (…). È che, per i cosiddetti “principi
irrinunciabili” stabiliti unilateralmente, s’invoca ad ogni pie’
sospinto la messa al bando, perché “contro-natura”, di ogni qualsivoglia tentativo
di rendere un tantino più laico e meno bigotto e credulone l’italico “stivale”.
È il prezzo altissimo che abbisogna pagare per il privilegio di dare ospitalità
alla “terrena struttura” d’una chiesa che sa tanto di materialismo spinto sino
all’eccesso e di sopraffino marketing. Ha scritto – a pag. 118 - il filogogo
Dino Baldi nel già citato (su questo blog) volume “Vite efferate di Papi” – Quodlibet editore (2015), pagg. 499, € 20
-: (…).
…i santi sobillano malvagità che forse non si sarebbero mai tradotte in atto,
se non ci fossero stati loro a provocarle con quella bontà sinuosa e
ammaliante. Il vero santo allora è quello che non fa niente, che sta dietro le
tende e resta zitto, cerca di non farsi notare e attraversa il mondo a mezz’aria,
come una nuvola bianca che trascorre silenziosa nel cielo;e quindi i veri
santi, a rigore, sono inconoscibili, sono santi ignoti. (…). E non ingrassano
a tutto spiano e “miracolosamente” il marketing più becero.
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