"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 29 febbraio 2016

Lalinguabatte. 12 “Santi rockstar al silicone”.



“…siamo a Roma, febbraio, 2016” scrive Diego Bianchi nel Suo pezzo “Due santi che sembrano rockstar tra suorine affannate e legionari di Cristo” pubblicato sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 19 di febbraio ultimo scorso. È che, come ogni qualsivoglia operazione di marketing richieda, nell’anno giubilare dei fedeli in Cristo è parso straordinariamente logico tentare il colpo maestro facendo giungere nella città eterna le mummie del frate Padre Pio e di un tale Leopoldo santificato. Del primo sono conosciute a menadito la vita e le opere prodigiose. Ma di questo Leopoldo cosa se ne conosce? Passi per scontata la mia personale totale indifferenza sul personaggio. Ma i fedeli applauditori creduloni cosa ne sanno? E qui ci sta bene leggere la giocosa scrittura di Diego Bianchi che di certo non rimarrà negli annali del giubileo ma che al contrario ci dà conto di come e perché nell’anno 2016 possano suscitare una partecipazione così massiccia operazioni di “mercato” che fanno a pugni con ciò che dovrebbe passare per sacro: «Le religiose! Patrizia! Le suore!!», urla il maestro di cerimonie a Patrizia, colei che per qualche forma di moderna penitenza si trova al microfono nel momento più delicato, quello dell’avvio della processione. «Le suore comincino a prepararsi» dice Patrizia, ma il principale la interrompe. «No prepararsi, devono venire qui subito!». Si spostano le transenne, le suore lasciano i segnaposto con scritto «suore», appunto, e avanzano alla testa del corteo. «Comincino a prepararsi i legionari di Cristo e i ministranti», accenna Patrizia. Ma non è giornata. Scuotendo il capello e accentuando l’accento padano, lo spazientito mossiere urla rivolto al microfono: «Nooo, i cappuccini prima! Cappuccini, seminaristi, clero!».
L’errore di Patrizia o di chi le ha passato la velina sbagliata deve essere grave assai. E qui, a Roma, nel giorno in cui le salme imbalsamate di Padre Pio e San Leopoldo in trasferta dai loro rispettivi santuari, stanno per essere portate in processione da San Salvatore in Lauro al Vaticano, sbagliare è peccato. L’ordine di partenza, laddove l’estetica e la liturgia sono sostanza del tutto, è ben più della metà dell’opera che si riconosce a chi ben comincia. Processioni, palio di Siena, Formula 1, Olimpiadi, che sia per fede, disciplina o merito, l’anarchia non è prevista. Quando esce la bara di vetro contenente Leopoldo gli si tributa l’entusiasmo che si concede ai gruppi spalla chiamati a precedere le rockstar. Eppure pare che Leopoldo, nella pratica della confessione (l’eccellenza per la quale i due sono stati fatti santi), fosse molto più comprensivo e pacato dell’iroso Pio. Patrizia, ormai, ha la voce che trema. «Dodici novizi cappuccini urgentemente al palco», implora al microfono, e la sensazione è che ci si sia dimenticati che Padre Pio, da solo, non può uscire. Nell’attesa, Leopoldo si gode un extra time di visibilità. Un volontario prende dai fedeli alcuni oggetti personali (foto, fazzoletti) e tocca con questi la sua bara. Poi, finalmente, Padre Pio esce, l’eccitazione aumenta, i canti crescono, i fazzoletti sventolano, la processione ha inizio. Impressionanti come solo un corpo imbalsamato può essere, Leopoldo e Pio avanzano nelle loro teche di vetro. In questo stato, anni fa, avevo visto solo Lenin, sulla Piazza Rossa di Mosca. Due salme imbalsamate che vanno in processione nel centro bloccato di Roma, seguite da gente che canta, prega, fotografa e si fotografa. Se una scena del genere l’avessimo vista in un documentario su qualche sperduto villaggio dell’Africa o dell’Asia, difficilmente l’avremmo considerata contemporanea, o vicina ai nostri «stili di vita». Ma siamo a Roma, febbraio, 2016. Bene, è quanto ha visto Diego Bianchi. E di Leopoldo? Lo descrive padre confessore molto tollerante. E di altro? Basta quella sua tolleranza a farne una santità? Poiché nel campo sconfinato delle santità si potrebbe anche per il Leopoldo scoprire i suoi “scheletri nell’armadio”. In che senso? Presto detto. Avete contezza di chi fu un certo Pio V divenuto santo? Basterà leggere la cronaca, di seguito riportata, risalente alla santa giornata dell’11 di giugno dell’anno 1561 scritta da Fabrizio D'Esposito – “Pio V per la Chiesa resta un santo, ma fu lui a far sgozzare i valdesi” – su “il Fatto Quotidiano” del 31 di agosto dell’anno 2015: (…). “Ora occorre dir come oggi a buon’ora si è ricominciato a far l’orrenda giustizia di questi Luterani, che solo in pensarvi è spaventevole: e così sono questi tali come una morte di castrati; li quali erano tutti serrati in una casa, e veniva il boia e li pigliava a uno a uno, e gli legava una benda davanti agli occhi, e poi lo menava in un luogo spazioso poco distante da quella casa, e lo faceva inginocchiare, e con un coltello gli tagliava la gola, e lo lasciava così: dipoi pigliava quella benda così insanguinata, e col coltello sanguinato ritornava a pigliar l’altro, e faceva il simile. Ha seguito quest’ordine fino al numero di 88, il quale spettacolo quanto sia stato compassionevole lo lascio pensare e considerare a voi”. Si rimane senza fiato di fronte questa cronaca nuda e fedele. Accadde l’11 giugno 1561 (ancora una data con l’11 nella storia delle stragi religiose) a Montalto, in Calabria, nel Cosentino. Gli 88 cadaveri sgozzati furono poi impalati. Ma il peggio avvenne a Guardia Piemontese, sempre nel Cosentino e sempre a giugno, dove in undici giorni furono massacrati duemila valdesi e il sangue scorreva per i vicoli senza sosta, al punto che la porta del paesino fu denominata “Porta del Sangue”. Sono queste le prime stragi ordinate dalla Chiesa del Concilio di Trento contro gli eretici “riformati” italiani. Tra cui, appunto, i seguaci del predicatore Valdo, Il “povero di Lione” del XII secolo, che poi aderirono alle tesi luterane del 1517. (…). …va segnalato che il condottiero di quelle stragi ancora oggi è un santo per la Chiesa. Ossia san Pio V passato alla storia come “il campione della cristianità contro l’Islam” per la battaglia di Lepanto. Nel 1561, il domenicano Michele Ghislieri, noto come il cardinale Alessandrino per le sue origini piemontesi (era di Bosco Marengo), era l’inflessibile prefetto della santa Inquisizione e fu lui a ricevere gli “allarmi” dalla Calabria e a “disinfestare” la regione dall’eresia importata dalla Provenza. Per la Chiesa è tuttora un santo, (…). Per non dire poi della fascinazione prodotta dalla apparizione delle mummie nei creduloni accorsi per un avvenimento che della sacralità si fa beffa e strame. Ha scritto Filippo Ceccarelli sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 12 di febbraio 2016 – “La tecnica al servizio della devozione, anche Padre Pio finisce siliconato” -: (…). …il silicone fa davvero miracoli. Detta altrimenti: quanti pellegrini, delle decine di migliaia che l’altra settimana si sono avvicinate alle spoglie di Padre Pio, sapevano che il volto del frate è stato in realtà ricostruito con evolutissima tecnica su una maschera di polimero inorganico prodotta a Londra dalla Gems Studio, rinomata azienda che lavora per i più importanti musei delle cere nel mondo? Ora, è possibile e magari probabile che chi ha fede consideri questo artificio magari non proprio naturale, ma del tutto implicito, sottinteso, oppure trascurabile, secondario. (…). Il punto sensibile, e per certi versi decisivo, è che si tratta di una reliquia evoluta, tecnologica, siliconata, appunto. Lo stesso corpo del santo è conservato dentro la teca nella sua relativa integrità grazie a complessi ritrovati della chimica inorganica: materassini in plexiglass, contenitori in Pvc di gel silicei per l’umidità, insufflaggio d’azoto contro le reazioni ossidative. Come dire che il sacro, e la devozione che in esso si rispecchia e si riconosce, sono venuti a patti con la materia artificiale; e che i santi rimangono tali anche nel tempo della loro riproducibilità post-umana. Con qualche azzardo – e la benedizione dei frati di San Giovanni Rotondo e il consenso degli ingegneri della Gems Studio – si può ritenere che rimasugli di ossa e pugni di cenere non spingono le masse ad accostarsi agli altari. (…). È che, per i cosiddetti “principi irrinunciabili” stabiliti unilateralmente, s’invoca ad ogni pie’ sospinto la messa al bando, perché “contro-natura”, di ogni qualsivoglia tentativo di rendere un tantino più laico e meno bigotto e credulone l’italico “stivale”. È il prezzo altissimo che abbisogna pagare per il privilegio di dare ospitalità alla “terrena struttura” d’una chiesa che sa tanto di materialismo spinto sino all’eccesso e di sopraffino marketing. Ha scritto – a pag. 118 - il filogogo Dino Baldi nel già citato (su questo blog) volume “Vite efferate di Papi” – Quodlibet editore (2015), pagg. 499, € 20 -: (…). …i santi sobillano malvagità che forse non si sarebbero mai tradotte in atto, se non ci fossero stati loro a provocarle con quella bontà sinuosa e ammaliante. Il vero santo allora è quello che non fa niente, che sta dietro le tende e resta zitto, cerca di non farsi notare e attraversa il mondo a mezz’aria, come una nuvola bianca che trascorre silenziosa nel cielo;e quindi i veri santi, a rigore, sono inconoscibili, sono santi ignoti. (…). E non ingrassano a tutto spiano e “miracolosamente” il marketing più becero.   

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