La “sfogliatura” che si
propone è di un post del 29 di marzo dell’anno 2005. Undici anni addietro, con
gli anni a seguire che hanno visto realizzarsi la “fine” di quelle “utopie” che
dovrebbero essere proprie delle giovani generazioni. Viene da chiedersi a chi
addebitare un simile sconvolgimento nella vita delle giovani persone, giovani
persone che hanno rappresentato da sempre il futuro. Da dove è iniziato lo
sconvolgimento che domina tuttora la vita di
moltissimi giovani, come è stato possibile che la “cecità” dei
cosiddetti adulti non abbia intuito gli sbocchi finali verso i quali in
tantissimi si sentono irresistibilmente attratti? La famiglia, la scuola, la
religione e perché no la politica portano le responsabilità del tracollo delle “utopie”
da sempre ossigeno per le giovani generazioni. Annotavo allora… (…).
…come le mie finestre: ognuna mi dà un pezzo di prato, ma io il prato non lo
vedo mai. Poveri giovani. Non possono pre-vedere, pro-grammare, pro-gettare. E
così non sanno più cosa fare da grandi. Gli si aprono davanti decine di
finestre, e in ognuna vedono un pezzo di qualcosa, ma quel qualcosa non lo
vedranno mai per intero. Stanno lì a guardarle tutte insieme quelle finestre,
le tengono tutte aperte, in fila, orizzontali, e non sanno. Non sanno se
preferiscono occuparsi di astronomia o di chirurgia plastica, informatica o
odontotecnica. Non lo sanno. Perché non mettono più le virgole, perché noi non
glielo insegniamo abbastanza. (…).
Credo
di aver tratto dal bellissimo volume di Paola Mastrocola “La gallina volante” tante altre deliziose citazioni inserite nei
miei post, deliziose per l’appunto come questa appena trascritta, che ho voluto
precedesse il sempre erudito e profondo scrivere di Umberto Galimberti nell’ultima
sua interessante nota, pubblicata col titolo preso a prestito, su di un
supplemento del quotidiano “la Repubblica” del 26 di marzo. Insisto nel ritenere la lettura del volume della professoressa
Mastrocola molto più interessante e gratificante rispetto a pubblicazioni più
titolate e paludate ma che risentono, queste ultime, di una insopportabile
pedanteria pedagogica, nel gran discutere che si va facendo sulle problematiche
esistenziali delle giovani generazioni. Una
risposta, non di certo la risposta, su tali problematiche ce la offre la nota
di seguito riportata. (…). Della
disillusione siamo responsabili noi adulti, che, aderendo incondizionatamente
al "sano realismo" del pensiero unico incapace di volare una spanna
oltre il business, il profitto e l'interesse individuale, abbiamo abbandonato
ogni vincolo di solidarietà, ogni pietà per chi sta peggio di noi, ogni legame
affettivo che fuoriesca dallo stretto ambito familiare. Inoltre abbiamo
inaugurato una visione del mondo che guarda alla terra e ai suoi abitanti solo
nell'ottica del mercato, anche se poi andiamo ipocritamente predicando i
diritti dell'uomo con un'enfasi che trascura di intervenire concretamente sulla
fame e la sete dei diseredati, sulle loro malattie che generano inosservati stermini
per mancanza di medicine, sulla sorte dell'infanzia che sopravvive alla fame e
alla sete, per essere poi, in dimensioni non marginali, impiegata in lavori
minorili, in aberrazioni sessuali, quando non in prelievi d'organo. Il
comportamento di noi adulti e l'indifferenza, contrabbandata per impotenza, con
cui assistiamo alle condizioni dell'umanità nell'epoca della globalizzazione,
minacciano di fare apparire come "naturali" quelle stratificazioni
massicce di sofferenza, che invece sono l'effetto del nostro egoismo
collettivo, che ci tiene lontani dalla giustizia e quindi dalla buona
coscienza. Tutto ciò inevitabilmente lo trasmettiamo ai nostri ragazzi, che non
leggono in noi alcuna tensione ideale, alcuno sguardo utopico che sappia
guardare il futuro al di là della pura e semplice sistemazione dei figli, a cui
ci rapportiamo, come vuole lo spirito del tempo, in termini esclusivamente
contrattuali, con premi, ricompense, regali a ogni tappa della loro crescita,
quasi non fosse loro interesse diventare adulti e, invece di
"inserirsi", dare un nuovo volto alla società. La disillusione dei
giovani si sposa anche con la loro pigrizia, perché il disfattismo e il
fatalismo non mancano di un certo fascino che induce a farsi sedurre dal canto
delle sirene della disperazione, dispone all'attesa del peggio, fino a farsi
avvolgere da una sorta di notte apocalittica che, come un cielo buio, sembra
precludere loro il futuro e assaporare fino alla nausea l'insignificanza della
loro esistenza. Per non provare l'amarezza della delusione meglio non
illudersi, per non assaporare l'angoscia della disperazione, meglio non
sperare. E senza illusioni e senza speranze, che sono le prerogative dell'età
giovanile, si prende dimora in quel presente disincantato che non guarda né
avanti né indietro, ma semplicemente si contiene in quella prudenza, che spesso
i genitori scambiano per saggezza, quando invece è semplicemente paura, neppure
riconosciuta come tale, perché, come si affaccia, è subito ricacciata nel
sottosuolo delle loro anime afasiche e prudentemente anaffettive. (…). … le
fregature peggiori non sono le mancate realizzazioni delle utopie, ma la
rinuncia anticipata a immaginare utopie, che poi per i giovani vuol dire
immaginare quel futuro che li riguarda, da cui non possono assentarsi. Si
era al tempo della “sfogliatura” ben lontani da quella “crisi epocale” che ancor
oggi stringe nelle sue potenti spire il mondo reso globalizzato. E l’illustre
Autore non avrebbe potuto immaginare, a quel tempo, gli sviluppi della stessa e
di come essa avrebbe condizionato ancor più la vita di tantissime donne e di
tantissimi uomini soprattutto in quel mondo al quale apparteniamo per cultura,
storia e visioni di vita. Tornava l’illustre Autore sull’argomento della “disillusione”
in una Sua nota del 27 di febbraio dell’anno 2010 – “La disillusione giovanile” – pubblicata sul settimanale “D” del
quotidiano la Repubblica: Prima di essere reale, la vita deve essere
fantasticata. La cultura oggi ha ridotto il suo spazio al cinema, ai concerti e
alle mostre. La televisione, che molti definiscono la maggiore industria
culturale (?), s'è fatta in gran parte gioco e divertimento. E in questa
opacità culturale, dove più nessuno discute idee, il nostro paese si addormenta
tra ovvietà e luoghi comuni, stendendo sulle menti lo spesso manto
dell'assopimento del pensiero, mascherato dalla frenesia del fare. Un fare
afinalizzato, dove è difficile reperire un senso, una sollecitazione per
un'idea, un entusiasmo per una passione che prenda quota dal ventre in su. E se
la nostra decadenza, prima che economica, fosse culturale, e dipendesse dall'incapacità
di reperire idee nuove che solo i giovani possono portare, a partire dalla loro
energia non ancora canalizzata, ma forse più feconda e innovativa di chi ormai,
avanti con l'età, si assopisce quando non si avvita sulle proprie idee vecchie
e ormai consolidate, che fungono più da strumenti di sicurezza che da spunti di
innovazione? Potessero risuonare nel cuore dei giovani quelle parole di
Nietzsche: - No. La vita non mi ha disilluso da quando ho scoperto che potrebbe
essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza - non un dovere, non una
fatalità, non una fede -. La vita come mezzo di conoscenza. Con questo
principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma anche gioiosamente
vivere e gioiosamente ridere -. Siamo in grado di creare le condizioni perché
questo accada, magari incominciando da un'istruzione, in ogni ordine e grado,
capace di coniugarsi con la passione di cui si alimenta il cuore dei giovani?
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