Propongo alla attenzione Vostra ed alla Vostra riflessione
la lettura di uno degli ultimi lasciti del “Maestro” Umberto Eco, un lascito
dal profondo spirito “europeista” tratto da “Cari ragazzi ringraziate di essere europei”, pubblicato sul
quotidiano la Repubblica del 29 di novembre dell’anno 2014: In che
senso si può parlare di una comune cultura europea? Prima di rispondere a
questa domanda vorrei fare una premessa, perché penso che alcuni di voi (o
forse alcuni dei vostri compagni che non sono qui) si chiedano a che cosa serva
loro l'Europa con tutte le sue complicazioni burocratiche, mentre ci si
dovrebbe occupare dei problemi specifici del proprio paese, o della propria
regione, mandando al diavolo persone che parlano lingue incomprensibili.
Ebbene, vi citerò alcune cifre. Nella Prima guerra mondiale del 14-18 ci sono
stati in Europa 9 milioni di morti. Poco, se li paragoniamo ai morti europei
della Seconda guerra mondiale. Escludendo pertanto le perdite umane della
guerra nel Pacifico, abbiamo 41 milioni di morti. Non sono sicuro se il computo
tenga conto anche dei sei milioni di ebrei e dei due milioni di zingari
massacrati nei campi di sterminio nazisti, e in tal caso la cifra salirebbe a
49 milioni. Ma ricordo che l'Europa ha cominciato faticosamente a formarsi come
complesso di popoli ciascuno con un dialetto e poi con una lingua nazionale
diversa dalla fine dell'impero romano, e in questo decorso di secoli ci sono
stati massacri ininterrotti. Lo avrete studiato a scuola, dalle invasioni
barbariche alla guerra dei cento anni, e poi la guerra dei trent'anni, la
guerra dei sette anni, le guerre di successione, le guerre di religione, il
sacco di Roma, sino alle guerre napoleoniche (4 milioni di morti, e solo a
Waterloo, tra francesi, inglesi e prussiani, alla sera giacevano sul campo
41.000 cadaveri).
Voi per fortuna non sapete che cosa sia una guerra: vuole
dire attendere la notte che ci cada una bomba sulla testa, oppure, come accadde
a mio padre, assistere alla distruzione di una scuola elementare dove sotto un
bombardamento sono stati sepolti vivi tutti i bambini, o com'è accaduto a me,
patire il freddo o la fame in una campagna dove eravamo sfollati, vedere
all'orizzonte i bagliori del bombardamento sulla mia città, senza sapere se mio
padre era ancora vivo, e averlo saputo solo tre giorni dopo perché erano
interrotte le linee telefoniche, non viaggiavano più i treni e mio padre ci
poteva raggiungere solo in bicicletta al sabato, attraversando due posti di
blocco, uno fascista e uno partigiano, con due lasciapassare in tasche diverse
e stando attento a non sbagliarsi di tasca. Oppure vi sarebbe potuto accadere,
come è accaduto a molti dei vostri nonni, di essere mandati a morire congelati
nella neve russa portando scarpe di cartone compresso. O ridursi a una acciuga
in un campo di concentramento, se si era fortunati e non si finiva in una
camera a gas. Perché rievoco queste cose? Perché per la prima volta in
millecinquecento anni di storia, dal 1945 a oggi abbiamo avuto quasi
settant'anni ininterrotti di pace (se si esclude un conflitto nei Balcani, atroce
ma localizzato e abbastanza breve). Voi siete i figli di settant'anni di pace.
Forse la pace vi annoia e per questo vi fate delle canne, ma se non ci fossero
stati questi settant'anni voi forse non sareste nati, o sareste morti a sette
anni giocando tra le macerie e inciampando in una bomba inesplosa. (…). Perché
godete di questa fortuna? Perché delle persone illuminate, che si chiamavano
Altiero Spinelli, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schumann e altri,
fondatori dell'Europa unita, hanno capito che non solo per necessità politiche
ed economiche ma anche per profonde ragioni di unità culturale si doveva
riconoscere il nostro continente come una patria comune. (…). Possiamo parlare,
nonostante la diversità delle lingue, di una comune cultura europea? Tutto il
pensiero europeo si è sviluppato sul modello di Platone e Aristotele, e se
prendete la cattedrale di Burgos, in Spagna, e quella di Colonia, in Germania
vi accorgete che certamente sono diversissime, eppure sia noi sia un
extraeuropeo comprendiamo immediatamente che esse hanno qualcosa in comune rispetto
a una pagoda cinese, a una moschea musulmana, a un tempio indiano. Sin dagli
inizi l'Europa ha avuto una sua architettura, prima il romanico, poi il gotico,
poi i vari rinascimenti, il barocco, il rococò, il neoclassico, il liberty... E
mentre sorgevano da occidente a oriente edifici fortemente analoghi, con la
nascita delle università chierici vaganti di lingue diverse (che però parlavano
tutti il latino come lingua comune) viaggiavano da università a università, e a
Bologna, la prima università del mondo, passavano Copernico ed Erasmo da
Rotterdam, Paracelso e Dürer. Non dimentichiamo che tutta la cultura filosofica
medievale è stata europea, senza distinzione di nazionalità, Tommaso d'Aquino
insegnava a Parigi, l'inglese Occam e l'italiano Marsilio sostenevano la causa
dell'imperatore tedesco (per non dire di Dante), mentre tutte le canzoni di
gesta e le storie del Graal migravano tra Inghilterra, Francia, Spagna e
Germania per arrivare con Pulci, il Boiardo e l'Ariosto nell'Italia
rinascimentale. In quell'epoca i banchieri italiani andavano a operare nelle
Fiandre, Leonardo giungeva in Francia alla corte di Francesco I come premier
peintre, architecte , et mecanicien du roi, con una pensione di 5000 scudi (e
dopo di lui hanno lavorato alla corte francese Primaticcio, Rosso Fiorentino,
Andrea del Sarto e Benvenuto Cellini). Non si potrebbe capire Antonello da
Messina senza il fiammingo Petrus Christus, i castelli della Loira senza la
lezione del rinascimento italiano, italiano parlavano gli uomini di cultura di
vari paesi tra cinquecento e seicento, dopo la lingua francese è stata la
lingua di tante corti europee e l'inglese come lingua franca, se si è imposto
per influenza americana, è pur sempre una lingua europea. Tutte le culture
europee sono state influenzate da Dante e da Shakespeare, il quale dal canto
proprio si ispirava alla novellistica italiana. Quando andate all'opera o a un
concerto di musica classica, se ci andate, di solito non vi chiedete a quale
paese appartenessero Verdi o Beethoven, Haendel o Mozart, Vivaldi o Chopin,
Ravel o De Falla. Godete la musica come qualcosa di comune a un intero
continente. Né possiamo dimenticare che i fondatori degli Stati Uniti hanno
concepito la loro civiltà nascente sull'esempio di quella europea e hanno costruito
templi e palazzi sul modello del neoclassicismo italiano, francese e inglese,
mentre molti campus universitari americani sono interamente neogotici perché i
loro fondatori hanno inteso il sapere come eredità che veniva loro dai loro
antenati europei. (…). Ecco che cosa sta alla base dell'identità culturale
europea, un lungo dialogo tra letterature, filosofie, opere musicali e
teatrali. Niente che si possa cancellare nonostante una guerra, e su questa
identità si fonda una comunità che resiste alla più grande delle barriere,
quella linguistica. Ma sino a che punto la barriera linguistica è così
drammatica? Ho sempre parlato del valore sessuale del progetto Erasmus.
Moltissimi universitari vanno a passare un certo periodo all'estero e poi si
sposano laggiù. Il che vuol dire che entro trent'anni potremmo avere una
generazione di bilingui. E d'altra parte si parla sempre più di plurilinguismo
e plurilinguismo non vuol dire solo saper parlare molte lingue: esiste un
plurilinguismo moderato e passivo per cui, se non si sa parlare una lingua, si
riesce in parte a capirla. E accade sovente, tra giovani che hanno viaggiato e
in genere tra persone colte, che si possa sedere intorno a una tavola a cena,
dove ciascuno parla la propria lingua e gli altri riescono a intenderne
qualcosa. Sogno una Europa plurilingue di questo tipo e se oggi ne è pioniere
solo qualche élite dotata di una cultura universitaria, voi potreste domani
rendere comune a moltissimi questa bellissima facoltà. Ringraziate Iddio o la
sorte, come preferite, di essere nati europei e non fidatevi dei falsi profeti
che vorrebbero farci tornare indietro di settant'anni.
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