Da “La
lezione di Angela: colpirne uno (la Grecia) per educarne ventisei” di
Alessandro Robecchi, su “il Fatto
Quotidiano” del 15 di luglio dell’anno 2015: La storia non mai già scritta,
eppure capita che la si sia già letta. E allora nei giorni della battaglia di
Atene, conclusa con la marcia trionfale dei generali del Fondo Monetario sotto
il Partenone, si è forse esagerato con le metafore e le allegorie. Ma sì, dai,
quelle cose a base di carrarmati e blitzkrieg, con il Beethoven dell’Inno alla
Gioia mai così wagneriano, e le condizioni poste alla Grecia molto simili a
ordini secchi urlati in tedesco: in fila! Marciare! Spalle al muro! Un déja vu
potente, che chiama spontaneamente l’equazione, essendo almeno la terza volta
in cent’anni che si vede la Germania senza argini europei. E però: troppo
facile. Va bene per la vignetta, va bene per il paradosso, che sono preziosi,
eppure la metafora è un’altra, l’immagine è per così dire più moderna: è quella
della testa di cavallo nel letto, della “proposta che non puoi rifiutare”.
Insomma, non il Terzo Reich, ma Il Padrino. Si sa che il creditore tende a non
ammazzare chi gli deve dei soldi, per il semplice motivo che poi il morto non
pagherà i debiti. Tenderà piuttosto a mandargli qualche picciotto armato a
spaventarlo, metterà qualche ragioniere a gestire i suoi affari (il gioco
d’azzardo a Chicago, l’alcol illegale nel proibizionismo, le pensioni greche,
la sanità in Portogallo, il mercato del lavoro in Italia…). Ma anche alla
regola aurea di non ammazzare il debitore ci sono eccezioni. Per esempio una
lezione dura e un’umiliazione cocente potranno sì, far perdere qualche dollaro
al Boss, ma saranno preziosissimo esempio per gli altri debitori. Dunque non
solo colpirne uno per educarne cento (ventisei, nel caso europeo), ma
addirittura sacrificarne uno per tener buoni tutti. Questo è stato fatto
dall’Eurogruppo a guida Shauble-Merkel alla Grecia ribelle. E le metafore
belliche in stile Terzo Reich dipendono appunto dal fatto che passano gli anni,
ma le parole no, e la parola è: rappresaglia. Ammesso che ora gli sconfitti si
adeguino alle sanzioni dei vincitori, sia chinando la testa, sia cambiando
governo e certificando che le elezioni greche si svolgono a Berlino, una cosa è
certa: il Boss guarderà soddisfatto come le altre famiglie si ritirano
intimorite con la coda tra le gambe. La soluzione greca non riguarda la Grecia,
riguarda tutti gli altri, assistere oggi indifferenti all’umiliazione di Atene
significa una cosa sola: essere tutti umiliabili domani. E già si vedono gli
effetti. Altri debitori in bilico sulle curve pericolose dei loro precarissimi
conti già plaudono alla soluzione. Dovendo schierarsi, lo fanno con il Boss a
cui devono molti soldi, illudendosi che quando verrà il momento quello sarà con
loro più comprensivo: stupidi, perché non s’è mai visto uno squalo dire “sono
sazio”, o “non ho più fame”. (…). E si dirà, sì, ma i soldi, sì, ma i debiti… E
questo mentre in silenzio e zitto zitto qualche funzionario a Berlino
ristrutturava senza clamori il debito dell’Austria: premio per esser stati in
silenzio, sconti secchi di un miliardo e mezzo, apprezzamento per non aver
alzato la voce e la testa come i greci. Il messaggio è questo: siate docili e
vivrete. Don Vito Corleone non avrebbe saputo dirlo – e farlo – meglio.
Da “Solo lo
spirito del dopoguerra potrà salvarci dalla crisi eterna” di Mariana Mazzucato,
sul quotidiano la Repubblica del 13 di luglio dell’anno 2015: (…). Alla
fine degli anni Novanta la Germania aveva un problema di domanda aggregata (un
concetto macroeconomico). Dopo un decennio di moderazione salariale, che aveva
fatto calare il costo unitario del lavoro, ma anche il tenore di vita, non
c'era più abbastanza domanda in Germania per i beni prodotti dalla Germania
stessa, che quindi dovette andare a cercare domanda all'esterno. La liquidità
in eccedenza nelle banche tedesche fu prestata all'estero, a banche straniere
come quelle greche. Le banche greche prendevano i prestiti dalla Germania e
prestavano a loro volta alle imprese greche per consentire loro di acquistare
beni tedeschi, incrementando in tal modo le esportazioni teutoniche. Tutto
questo ha fatto crescere tanto l'indebitamento del settore privato ellenico.
Non a caso sono le banche tedesche a detenere una grossa fetta del debito greco
(21 miliardi di euro). Il fattore cruciale è che il maggiore indebitamento non
è stato accompagnato da un incremento della competitività (un concetto
microeconomico). Le imprese greche non investivano in quelle aree che fanno
aumentare la produttività (formazione del capitale umano, ricerca e sviluppo,
nuove tecnologie e cambiamenti strategici nella struttura delle
organizzazioni). Oltre a questo, lo Stato non funzionava, per via della
mancanza di riforme serie del settore pubblico. Pertanto, quando è arrivata la
crisi finanziaria, il settore privato greco si è ritrovato altamente
indebitato, senza la capacità di reagire. Come altrove, questa massa di debito
privato si è tradotta in un secondo momento in un debito pubblico di vaste
proporzioni. Se è vero che il sistema greco era gravato di varie tipologie di
inefficienze, è semplicemente falso che i problemi siano dovuti esclusivamente
all'inefficienza del settore pubblico e a "rigidità" di vario genere.
La causa principale è stata l'inefficienza del settore privato, capace di
tirare avanti solo indebitandosi e sfruttando i "fondi strutturali"
dell'Unione Europea per compensare la propria carenza di investimenti. Quando
la crisi finanziaria ha messo a nudo il problema, il governo ha finito per
dover soccorrere le banche e si è ritrovato a fare i conti con un tracollo del
gettito fiscale, a causa del calo dei redditi e dell'occupazione. I livelli del
debito in rapporto al Pil in Grecia, come in quasi tutti i Paesi, sono
cresciuti in modo esponenziale dopo la crisi, per le ragioni che abbiamo detto.
La reazione della Trojka è stata di imporre misure di rigore, che come adesso
ben sappiamo hanno provocato una contrazione del Pil greco del 25 per cento e
una disoccupazione a livelli record, distruggendo in modo permanente le
opportunità per generazioni di giovani greci. Syriza ha ereditato questo
disastro e si è focalizzata sulla necessità di accrescere la liquidità
incrementando le entrate fiscali attraverso la lotta contro l'evasione, la
corruzione e le pratiche monopolistiche, nonché il contrabbando di carburante e
tabacco. Ha accettato di riformare la normativa del lavoro, di tagliare la
spesa e di alzare l'età pensionabile. Errori sono stati commessi dal giovane
governo, ma certo non si può dire che non stesse facendo progressi, perché
molte riforme avevano già preso il via. Anzi, nei primi quattro mesi di governo
Tsipras il Tesoro ellenico aveva ridotto drasticamente il disavanzo e aveva un
avanzo primario (cioè senza calcolare il pagamento degli interessi sul debito)
di 2,16 miliardi di euro, molto al di sopra degli obbiettivi iniziali di un
disavanzo di 287 milioni di euro. L'austerità ha aiutato? No. Come sottolineava
John Maynard Keynes, nei periodi di recessione, quando i consumatori e il
settore privato tagliano le spese, non ha senso che lo Stato faccia
altrettanto: è così che una recessione si trasforma in depressione. Invece la
Trojka ha chiesto sempre più tagli e sempre più in fretta, lasciando ai greci
poco spazio di manovra per continuare con le riforme intraprese e al tempo
stesso cercare di accrescere la competitività attraverso una strategia di
investimenti. La crisi economica ha prodotto una crisi umanitaria a tutti gli
effetti, con la gente incapace di acquistare cibo e medicine. Secondo uno
studio, per ogni punto percentuale in meno di spesa pubblica si è avuto un
aumento dello 0,43 per cento dei suicidi fra gli uomini: escludendo altri
fattori che possono indurre al suicidio, tra il 2009 e il 2010 si sono uccisi
«unicamente per il rigore di bilancio» 551 uomini. Syriza ha reagito
promettendo cure mediche gratuite per disoccupati e non assicurati, garanzie
per l'alloggio ed elettricità gratuita per 60 milioni di euro. Si è anche
impegnata a stanziare 765 milioni di euro per fornire sussidi alimentari. La
priorità data da Syriza alla crisi umanitaria e il rifiuto di imporre altre
misure di austerità sono stati accolti con grande preoccupazione e una totale
mancanza di riconoscimento per le riforme già avviate. I media hanno alimentato
questo processo e il resto è storia: quello che è successo poi, ovviamente, è
stato abbondantemente raccontato dai giornali. L'indisponibilità a condonare
almeno in parte il debito greco è ovviamente un atto di ipocrisia, se si
considera che al termine della guerra la Germania ottenne il condono del 60 per
cento del suo debito. Una seconda forma di ipocrisia, spesso trascurata dai
mezzi di informazione, è il fatto che tante banche sono state salvate e
condonate senza che la cosa abbia suscitato grande scandalo fra i ministri
dell'Economia. Oggi il salvataggio di cui avrebbe bisogno la Grecia ammonta a
circa 370 miliardi di euro, ma non è nulla in confronto ai salvataggi
internazionali messi in piedi per banche come la Citigroup (2.513 miliardi di
dollari), la Morgan Stanley (2.041 miliardi), la Barclays (868 miliardi), la
Goldman Sachs (814 miliardi), la JP Morgan (391 miliardi), la Bnp Paribas (175
miliardi) e la Dresdner Bank (135 miliardi). Probabilmente l'impazienza di
Obama nei confronti della Merkel nasce dal fatto che lui conosce queste cifre!
Sa perfettamente che quando il debito è troppo grosso, ed è impossibile che
venga restituito alle condizioni correnti, dev'essere ristrutturato. Il terzo
tipo di ipocrisia è il fatto che mentre la Germania imponeva ai greci (e agli
altri vicini del Sud) politiche di austerità, per quanto la riguardava
incrementava la spesa per ricerca e sviluppo, collegamenti fra scienza e
industria, prestiti strategici alle sue medie imprese (attraverso una banca di
investimenti pubblica molto dinamica come la KfW) e così via. Tutte queste
politiche ovviamente hanno migliorato la competitività tedesca a scapito di
quella altrui. La Siemens non si è aggiudicata appalti all'estero perché paga
poco i suoi lavoratori, ma perché è una delle aziende più innovative al mondo,
anche grazie a questi investimenti pubblici. Un concetto microeconomico. Che
rimanda a un altro macroeconomico: una vera unione monetaria è impossibile tra
paesi così divergenti nella competitività. (…).
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